• Libera circolazione delle merci

1 marzo 2013

Cassazione civile, sez. V, 01/03/2013, n. 5201 [Libera circolazione delle merci - Importazione indiretta mediante vendite successive - First sale rule]

Libera circolazione delle merci - Importazione indiretta mediante vendite successive - First sale rule.

SENTENZA

(Presidente: Dott. PIVETTI Marco - Relatore: Dott. CIRILLO Ettore)

 

sul ricorso 2177-2010 proposto da:
AGENZIA   DELLE  DOGANE  in  persona  del  Direttore   pro   tempore, elettivamente  domiciliato  in ROMA VIA  DEI  PORTOGHESI  12,  presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e  difende  ope legis;
- ricorrente -

contro

SALUMIFICIO  MOTTOLINI SRL in persona del legale  rappresentante  pro tempore,  elettivamente domiciliato in ROMA VIA ROMEO  ROMEI  N.  27, presso  lo  studio  dell'avvocato AURELI  BEATRICE,  rappresentato  e difeso dall'avvocato CANEPA ENRICO giusta delega in calce;
- controricorrente -

avverso  la  sentenza  n.  13/2008 della  COMM.TRIB.REG.  di  GENOVA, depositata il 17/02/2009;
udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 15/01/2013 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;
udito  per  il  ricorrente l'Avvocato COLLABOLLETTA  che  ha  chiesto l'accoglimento;
udito  per  il controricorrente l'Avvocato CANEPA che ha  chiesto  il rigetto;
udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. FIMIANI  Pasquale  che ha concluso per l'accoglimento  Agenzia  delle Dogane.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

01. In fattispecie d'importazione indiretta di carni originarie del Sudamerica mediante vendite successive, per contestazione emerse nel corso di un'indagine condotta dalla Guardia di finanza riguardo all'applicazione del prezzo di prima vendita da parte di salumifici e breasaolifici valtellinesi, l'Agenzia delle dogane procede al recupero dei dazi all'importazione nei confronti della Società indicata in epigrafe (MOTTOLINI).

02. Nel successivo contenzioso gli atti impositivi sono annullati (cfr. CTR-Liguria, 17/2/2009, n. 13). L'Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione affidato a plurimi motivi, per violazioni di legge (CDC, artt. 29, 62, 65; DAC, artt. 147 e 181; D.Iva, art. 69) e correlati vizi motivazionali, e si difende con memoria. La contribuente resiste con controricorso e presenta brevi osservazioni per iscritto sulle conclusioni del P.G..

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

(La cd. "first sale rule").

03. Il ricorso in esame, al pari di altri simili fissati per l'odierna udienza di discussione, ruota attorno alla cd. first sale rule. Essa rappresenta un particolare metodo di determinazione del valore doganale delle merci, applicabile ogniqualvolta una data merce sia assoggettata a vendite a catena prima della sua importazione definitiva. La regola in questione è stabilita dall'art. 147 DAC e prevede che l'utilizzo, a fini daziali, del "prezzo relativo ad una vendita anteriore all'ultima vendita sulla cui base le merci sono state introdotte nel territorio doganale della Comunità". Siccome il prezzo della prima vendita è normalmente più basso di quelli di ogni successiva rivendita, il metodo in questione consente agli operatori di realizzare risparmi, potendo calcolare i dazi ad valorem su una base imponibile più bassa.

04. Nell'UE l'utilizzo della first sale rule coesiste con il criterio opposto della last sale rule (CGCE sent. n. 11 del 6 giugno 1990), nel senso che, per poter dichiarare come valore in dogana (ai sensi dell'art. 29 CDC (Reg. (CEE) n. 2913/1992) il "prezzo relativo ad una vendita anteriore all'ultima vendita sulla cui base le merci sono state introdotte nel territorio doganale della Comunità", l'art. 147 DAC (Reg. (CEE) n. 2454/1993) stabilisce che "...deve essere dimostrato adeguatamente all'autorità doganale, che quella vendita era stata conclusa ai fini dell'esportazione verso il territorio doganale in questione" (cfr. Comitato CDC, commento n. 7, p. 3.2.2).

05. Dalla letteratura europea e nordamericana e dalle interpretazioni giurisprudenziali, nazionali e comunitarie, non emergono orientamenti che ne abbiano alterato le linee fondamentali, pur avendo taluni aspetti suscitato la recente attenzione degli organismi dell'UE in riferimento all'attuazione però del nuovo codice doganale comunitario di cui al Reg. (CEE) n. 450/2008 (cfr. Comitato CDC, TAXUD/MCCIP/2010/100-3 del 25 novembre 2011, art. 230.02, e TAXUD/B4(2011)266601 dell'1 marzo 2011).

(La vicenda).

06. A seguito di verifiche effettuate a posteriori dalla Guardia di finanza riguardo a bresaolifici valtellinesi, l'Agenzia delle dogane sottopone a revisione le importazioni indirette di carni sudamericane (in massima parte brasiliane) effettuate da vari salumifici della zona (DEL ZOPPO, PINI, MOTTOLINI, MENATTI, PANZERI) mediante forniture effettuate in Italia a cura di primaria ditta grossista italiana, a sua volta approvvigionatasi della merce all'estero.

07. Prima dello sdoganamento finale sono poste in essere due vendite e plurime fatturazioni: a) la prima vendita è effettuata mediante spedizione marittima delle carni dal fornitore sudamericano alla ditta grossista a prezzo CIF e loro introduzione, in posizione fiscale estera, in depositi doganali presso magazzini generali italiani; b) la seconda vendita, rectius rivendita, è effettuata mediante rivendita ai bresaolifici, fatta anteriormente allo sdoganamento e a prezzo globalmente costituito dall'originario importo fatturato CIF, più i dazi doganali, conguagli per oneri accessori e l'utile della ditta grossista; c) per la rivendita ai bresaolifici la ditta grossista emette tre fatture: i) ex art. 7 d.iva per costo di merce estera resa CIF, oltre noli e assicurazioni;

ii) ex art. 15 d.iva per le spese della merce nazionalizzata equivalenti ai dazi anticipati in dogana per i bresaolifici; iii) ex art. 12 d.iva a conguaglio dei costi per la conservazione e l'inoltro della merce ai bresaolifici e per gli utili della ditta grossista.

(L'applicazione della "first sale rule").

08. Per i bresaolifici le tre fatture di rivendita costituiscono sì il corrispettivo complessivamente pattuito tra i bresaolifici stessi e la ditta grossista per la fornitura delle carni sudamericane in Italia, ma ciò non rileva a fini daziari in base alla first sale rule, ossia al principio del first sale price, che riporta il valore in dogana al prezzo dovuto dalla ditta grossista al fornitore extracomunitario, atteso che si tratta di vendita finalizzata all'esportazione verso il territorio italiano di carni macellate e tracciabili secondo i protocolli comunitari.

09. Per il fisco italiano, invece, essendo allegate alle bollette doganali solo le fatture di merce allo stato estero, relative alle rivendite delle carni ai bresaolifici, sarebbe opzionata dalle contribuenti la tassazione daziaria sull'ultima vendita, ossia quella da parte della ditta grossista, il cui corrispettivo comprende non solo il prezzo CIF originario (fatturato dal fornitore sudamericano), ma anche i conguagli separatamente fatturati e da assoggettare dunque a globale imposizione daziaria ad valorem. Peraltro, ai fini dell'applicazione del first sale price non è provato che la prima vendita alla ditta grossista sia di per sè stessa conclusa ai fini dell'esclusiva esportazione verso il territorio doganale comunitario, ben potendo, in ipotesi, le carni in deposito doganale essere rivendute verso paesi terzi.

(La giurisprudenza nazionale e il dibattito processuale).

10. Le decisioni favorevoli all'Agenzia delle dogane sostengono che il dazio deve essere pagato non sul prezzo della prima vendita tra il fornitore sudamericano e il grossista italiano, ma su quello della seconda vendita o rivendita tra il grossista e il bresaolificio, per l'importo pattuito per la fornitura (mediante contratto "quadro") con detrazione dell'importo del dazio compreso nel prezzo. Tali decisioni ritengono che: (a) Le fatture di rivendita al prezzo CIF tra la ditta grossista e il salumificio, allegate alle bollette doganali, sono da considerarsi estere, (b) Per il solo fatto di essere estere, esse sono assoggettate a dazio e, trattandosi delle medesime operazioni commerciali, egualmente devono essere assoggettate a dazio anche le fatture emesse a conguaglio dalla ditta grossista, (c) Le ditte contribuenti/dichiaranti hanno allegato alle bollette le rispettive fatture di rivendita tra grossista e salumifici, pari sì all'originario prezzo CIF, ma rientranti nella seconda vendita; il che significa che le contribuenti/dichiaranti hanno esercitato l'opzione di sottoporre a dazio, il valore della seconda vendita tra grossista e bresaolificio, che però comprende anche l'ulteriore fattura a conguaglio egualmente assoggettabile a dazio, (d) Inoltre, avendo le ditte contribuenti/dichiaranti presentato solo in sede di verifica le fatture di prima vendita tra fornitore sudamericano e ditta grossista, detta allegazione è intempestiva in quanto l'art. 8 reg. CEE 79/695 ("il dichiarante è autorizzato, a sua richiesta e con le riserve sotto indicate, a modificare, per quanto concerne una o più indicazioni di cui all'art. 3, paragrafo 1, le dichiarazioni accettate dal servizio doganale alle condizioni previste all'art. 7:

a) la modifica deve essere chiesta prima dello svincolo delle merci per la libera pratica; b) la modifica non può più essere accordata qualora la domanda sia formulata dopo che il servizio doganale ha informato il dichiarante della propria intenzione di procedere a una visita delle merci o della constatazione che ha effettuato in merito all'inesattezza delle indicazioni in questione; c) la modifica non deve avere l'effetto che la dichiarazione riguardi merci diverse da quelle che ne hanno formato inizialmente l'oggetto") e l'art. 65 CDC ("...nessuna rettifica può più essere autorizzata se la richiesta è fatta dopo che l'autorità doganale: (a) ha informato il dichiarante di voler procedere alla visita delle merci, oppure (b) ha constatato l'inesattezza delle indicazioni date, oppure (c) ha autorizzato lo svincolo delle merci") sanciscono che il valore dichiarato non può essere modificato dopo lo sdoganamento, (e) Infine, il margine di rivendita contenuto nelle fatture a conguaglio, costituisce componente del prezzo di rivendita e rientra nel valore imponibile daziario.

11. Invece, le decisioni favorevoli alle contribuenti sostengono che il dazio deve essere pagato sul prezzo della prima vendita tra fornitore sudamericano e ditta grossista, secondo i criteri dettati dagli artt. 29 CDC e 147 DAC. Tali decisioni ritengono che la prima vendita è effettuata allo scopo d'introdurre la merce nel territorio doganale della comunità, atteso che (a) le carni sono scortate da certificati sanitari di macellazione secondo le regole CE e che (b) le carni sono rese al vettore con destinazione (CIF) Genova. Inoltre, la fattura alla stato estero della seconda vendita tra grossista e bresaolificio recano il medesimo valore di transazione della prima tra il fornitore sudamericano e il grossista italiano. Infine, la normativa (art. 147 DAC) e la prassi comunitaria (TAXUD/800/2002-IT) prevedono che il dichiarante può chiedere alle autorità doganali di accettare per il valore in dogana in base alla vendita anteriore all'ultima a seguito della quale le merci sono state introdotte nel territorio doganale della Comunità, se dimostri adeguatamente la vendita precedente è stata conclusa al fine dell'esportazione nel territorio doganale della Comunità.

12. Tali approdi interpretativi costituiscono, in estrema sintesi, le tesi difensive che si contrappongono nell'odierno dibattito processuale sul ricorso in esame. In tale dibattito sono, invece, assolutamente pacifici alcuni dati circa la dichiarazione doganale del bresaolificio contribuente, ossia (a) quantità, (b) qualità, (c) destinatario (salumificio contribuente), (d) paesi di spedizione/esportazione/origine (Brasile) e di destinazione (Italia), (e) condizioni di consegna (CIF Genova), (f) conforme indicazione dell'importo totale fatturato e del valore statistico, (g) allegazione della fattura dell'ultima vendita.

13. Altrettanto pacifico è che in detta fattura, emessa per merce venduta allo stato estero prima dello sdoganamento (e non soggetta a IVA D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 7) tra la ditta grossista e il salumificio destinatario delle carni sudamericane, si richiami la clausola costo, nolo e assicurazione per resa CIF Genova, con descrizione di carni bovine conforme per qualità, quantità, origine e valore a quella dichiarata in dogana.

(La giurisprudenza comunitaria).

14. La Corte giustizia CE, nella fondamentale decisione n. 1 del 6 giugno 1990, afferma che "il prezzo risultante da un contratto di compravendita stipulato tra persone stabilite nella Comunità può considerarsi come il valore di transazione ai sensi dell'art. 3, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 28 maggio 1980, n. 1224, relativo al valore in dogana delle merci". Aggiunge che, "qualora, in caso di vendite consecutive di una merce, più prezzi effettivamente pagati o da pagare soddisfino le condizioni stabilite dall'art. 3, n. 1, del regolamento (CEE) n. 1224/80, l'importatore può scegliere uno di detti prezzi per la determinazione del valore di transazione".

Chiarisce, inoltre che, "se si è riferito ad uno di detti prezzi nella dichiarazione del valore in dogana, importatore non può modificare tale dichiarazione dopo lo svincolo delle merci per la libera pratica, conformemente all'art. 8, n. 1, della direttiva del Consiglio 24 luglio 1979, 79/695/CEE, relativa all'armonizzazione delle procedure d'immissione in libera pratica". Stabilisce, infine, che "una somma pagata dal compratore al venditore, fatturata separatamente e indicata come commissione d'acquisto", fa parte del prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate ai sensi dell'art. 3, n. 1, del regolamento (CEE) n. 1224/80".

15. La stessa Corte di giustizia CE, nella successiva decisione C- 79/89 del 18 aprile 1991 (Brown Boveri & Cie), ribadisce che, "ai sensi dell'art. 8 della direttiva del Consiglio 24 luglio 1979, 79/695/CEE, relativa all'armonizzazione delle procedure di immissione in libera pratica delle merci, la dichiarazione relativa al valore in dogana non può essere modificata dopo il momento da prendere in considerazione per la determinazione del valore in dogana, vale a dire dopo lo svincolo delle merci per la libera pratica".

16. Più di recente, la Corte di giustizia CE, nella decisione n. 138 del 15 settembre 2011, precisa che "in presenza dei presupposti stabiliti dall'art. 66 del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario, ("Su richiesta del dichiarante, l'autorità doganale invalida una dichiarazione già accettata quando il dichiarante fornisce la prova che la merce è stata dichiarata per errore per il regime doganale indicato nella dichiarazione o che, in seguito a circostanze particolari, non è più giustificato il vincolo della merce al regime doganale per il quale è stata dichiarata. Tuttavia, quando l'autorità doganale ha informato il dichiarante di voler procedere alla visita delle merci, la richiesta d'invalidare la dichiarazione può essere accolta solo dopo tale visita. 2. Una volta concesso lo svincolo delle merci, la dichiarazione non può più essere invalidata, tranne nei casi definiti conformemente alla procedura del comitato. 3. L'invalidazione della dichiarazione non pregiudica l'applicazione delle disposizioni repressive in vigore"), detto dichiarante può chiedere all'autorità summenzionata di invalidare tale dichiarazione, e ciò anche dopo che l'autorità medesima abbia concesso lo svincolo della merce".

17. Su un piano differente, la decisione C-263/06 del 28 febbraio 2008 n. 263 (Carboni) rileva che "le autorità doganali non possono determinare il valore doganale ai fimi dell'applicazione del dazio antidumping ... sulla base del prezzo fissato per le merci di cui trattasi in una vendita precedente a quella per la quale è stata resa la dichiarazione in dogana, qualora il prezzo dichiarato corrisponda a quello effettivamente pagato o da pagare da parte dell'importatore".

(La prassi comunitaria).

18. Secondo le fonti comunitarie, "...occorre garantire l'uniforme applicazione del codice e prevedere, a tal fine, una procedura comunitaria che permetta di stabilirne le modalità di applicazione in termini appropriati" e perciò "occorre istituire un Comitato del codice doganale per garantire in tale settore una stretta ed efficace collaborazione tra gli Stati membri e la Commissione" (Reg.CE 2454/93 - DAC). Perciò il Reg.CE 2913/92, al Titolo 9^ - Capitolo 1^, ha istituto il Comitato del codice doganale con il compito di "esaminare qualsiasi questione attinente alla normativa doganale che sia sollevata dal presidente, per iniziativa di questi oppure a richiesta del rappresentante di uno Stato membro" (art. 248 CDC).

19. In particolare, riguardo agli esiti di tale attività, nelle fonti comunitarie si rileva che "I commenti danno indicazioni su come applicare una determinata disposizione" e che, "pur non essendo stati adottati come strumenti giuridici, i commenti rispecchiano il punto di vista del Comitato del codice doganale ... e costituiscono un supporto per l'interpretazione e l'applicazione uniforme delle pertinenti disposizioni comunitarie" (v. TA-XUD/800/2002-IT dell'8 ottobre 2003).

20. Sull'applicazione dell'art. 147 DAC nel caso di vendite successive, il commento n. 7 del Comitato del codice doganale (sezione valore in dogana), chiarisce: "3.2.2. Vendita anteriore - Qualora sia stata effettuata una vendita anteriore (vale a dire diversa dall'ultima descritta al paragrafo 3.2.1) riguardante le merci in questione, il dichiarante può chiedere all'autorità doganale di accettarle come base per la determinazione del valore in dogana, ma esclusivamente se può dimostrare che, rispetto alla vendita in questione, vi sono circostanze specifiche e pertinenti che hanno indotto ad esportare le merci nel territorio doganale della Comunità. Quale ulteriore misura di agevolazione, per "ultima vendita" si possono intendere anche le vendite concluse quando le merci si trovano già nella Comunità europea (ad esempio in deposito doganale).

21. Inoltre precisa: "4. Criteri pertinenti alla prova che deve fornire il dichiarante (...) Ai fini dell'applicazione della terza frase dell'art. 147, la dimostrazione che le merci sono state vendute per l'esportazione nel territorio doganale della Comunità può includere i seguenti elementi di prova: - le merci sono fabbricate in conformità delle specifiche CE o risulta evidente (in base ai loro marchi ecc.) che non hanno altro impiego o destinazione, - le merci in questione sono state fabbricate o prodotte specificamente per un compratore nella Comunità europea, - merci specifiche sono ordinate da un intermediario che le ottiene da un fabbricante il quale le spedisce direttamente nella Comunità europea. (...) 5.

Responsabilità del dichiarante 5.2. Vendite successive - Ai sensi delle disposizioni dell'art. 147, il dichiarante deve indicare su quale base intende determinare il valore in dogana delle merci, tenendo conto dei seguenti elementi probatori: (...) - se la dichiarazione si basa sulla terrei frase dell'art. 147 (cioè una vendita anteriore pertinente) gli elementi di prova presentati alla dogana devono dimostrare che la vendita soddisfa i criteri di cui al precedente paragrafo 4. Qualora il dichiarante non sia in grado di fornire le prove richieste in merito ad una vendita anteriore sulla cui base è stata presentata una dichiarazione di valore in dogana, si dovrà ricorrere all'ultima vendita (cfr. paragrafo 3.2.1 precedente) per stabilire il valore in dogana conformemente al metodo del valore della transazione".

22. Sui documenti e sulle informazioni che la dogana può esigere a titolo di prova per la determinazione del valore in dogana, il Commento n. 6 del Comitato del codice doganale (sezione valore in dogana) chiarisce: "(2) Come altre dichiarazioni presentate alla dogana, le informazioni contenute in una dichiarazione di valore in dogana possono richiedere di essere confermate da prove. 1m dichiarazione del valore in dogana è generalmente accompagnata da taluni documenti (ad esempio fatture) a sostegno di quanto dichiarato. Tuttavia, se le dichiarazioni, sotto forma di documento o altro, necessarie a corroborare i dati che figurano nella dichiarazione del valore in dogana sono insufficienti, la dogana può chiedere al dichiarante di presentare ulteriori dati o informazioni.

(...) (8) I documenti rappresentano prove la cui forma di presentazione può variare. La loro funzione principale è di riflettere il circuito commerciale delle merci e di registrare i dati relativi alle transazioni cui si riferiscono. Di conseguenza, le autorità doganali dovrebbero essere disposte ad accettare qualsiasi documento indipendentemente dalla sua forma di presentazione, a condizione che: (a) non sia messa in questione l'autenticità del documento e (b) le informazioni contenute nel documento possano suffragare i dati dichiarati o le informazioni richieste.

23. Sui punti sopra indicati convergono le linee interpretative offerte dai commenti del Comitato del codice doganale contenuti nelle raccolte dei testi del 12 maggio 1997 (XX1/1129/96-IT; v. anche Circ. 27/11/1997 n. 303 - Min. Finanze) e dell'8 ottobre 2003 (TAXUD/800/2002-IT).

(Gli approdi interpretativi applicati alla fattispecie).

24. Nella specie, la fattura collegata alla bolletta doganale è materialmente quella della rivendita delle carni da parte del grossista italiano al bresaolificio valtellinese, ma in essa è pacifico che vi sia indicazione espressa del prezzo CIF per merce di dichiarata origine sudamericane. Gli usi commerciali (ora recepiti in Incoterms 2010) stabiliscono che la clausola di resa CIF (Cost, Insurance and Freight, in italiano: costo, assicurazione e nolo) sia utilizzata nel caso di trasporto marittimo, il che è difficile da ipotizzare per merce già in deposito doganale italiano da sdoganare e instradare verso i salumifici valtellinesi e costituisce, dunque, indubbio indice rivelatore di una filiera commerciale di approvvigionamento estero.

25. L'art. l3 Reg.CE n. 1760/2000 sulla tracciabilità e l'etichettatura pone l'obbligo, tra l'altro, d'indicare "... il numero di approvazione del macello presso il quale sono stati macellati l'animale o il gruppo di animali e ... il Paese terzo in cui è situato tale macello" e specifica che "l'indicazione deve recare le parole "Macellato in (nome dello Stato membro o del paese terzo) (numero di approvazione)". Ciò vale, ai fini dell'art. 47 DAC, a dimostrare che "le merci sono fabbricate in conformità delle specifiche CE", secondo quanto richiesto dal commento n. 7 del Comitato del codice doganale.

26. Non ha rilievo decisivo il fatto che la fattura richiesta dall'art. 181 DAC (in relazione all'art. 62 comma 2 CDC) e collegata alla bolletta doganale sia solo quella della rivendita dal grossista al bresaolificio. Sul punto la Corte di giustizia CE, nella ridetta decisione n. 11 del 6 giugno 1990, afferma "che, in caso di vendite consecutive di merci per l'esportazione nel territorio doganale della Comunità, l'importatore è libero di scegliere, tra i prezzi pattuiti per ciascuna delle vendite, quello che egli assumerà come base per il valore in dogana, purchè sia in grado di fornire alle autorità doganali, per quel che riguarda il prezzo prescelto, tutti gli elementi e i documenti necessari". Precisa, inoltre che la normativa comunitaria "... autorità il dichiarante a modificare le dichiarazioni che sono state accettate dall'ufficio doganale, purchè, in particolare, la modifica venga richiesta prima dello svincolo delle merci per la libera pratica" e ne trae la conseguenza che "l'importatore il quale, al momento della dichiarazione del valore in dogana, abbia operato una scelta quanto al prezzo che servirà da base per la determinazione di detto valore non può modificare la sua dichiarazione nè, quindi, le indicazioni relative al valore in dogana dopo che l'ufficio doganale ha autorizzato la messa in libera pratica della merce".

27. Dunque, vale il principio che, nell'ipotesi di vendite consecutive di merce, l'importatore può sì scegliere uno dei relativi prezzi per la determinazione del valore di transazione, ma, una volta che si è riferito a uno di essi nella dichiarazione in dogana, non può più modificare tale dichiarazione dopo lo svincolo delle merci per la libera pratica, atteso il tenore dell'art. 8 n. 1, della direttiva del consiglio 24 luglio 1979, 79/695/CEE, nonchè la similarità e la eadem ratio del successivo art. 65 CDC. 28. Sennonchè, a ben vedere, ciò che è immodificabile dopo lo svincolo delle merci (per la Corte di Giustizia e per l'art. 65 lett. c) CDC) è solo il prezzo indicato come valore in dogana e il suo ammontare, potendo sempre essere offerto successivamente, anche su richiesta dall'autorità doganale (art. 181 bis comma 2 DAC), ogni elemento di obiettivo e ulteriore riscontro (art. 147 comma 2 DAC).

29. Il prezzo CIF dichiarato è sì quello riportato nell'allegata prima fattura di rivendita tra il grossista e il bresaolificio, ma ciò che rileva è che si tratta anche dello stesso valore CIF risultante dalla fattura di prima vendita, tra il fornitore sudamericano e il grossista italiano, prodotta alla Guardia di finanza in sede di controllo. Trattasi di circostanza non contestata.

30. Tanto premesso, la funzione della documentazione di riscontro della dichiarazione di valore è di riflettere il circuito commerciale delle merci e di registrare i dati relativi alle transazioni cui si riferiscono. Sicchè, secondo le indicazioni del Comitato del codice doganale, le autorità degli Stati membri devono accettare qualsiasi documento indipendentemente dalla sua forma di presentazione, a condizione che non sia messa in questione l'autenticità del documento e che le informazioni contenute nel documento possano suffragare i dati dichiarati o le informazioni richieste (Commento n. 6, p. 2 e p. 8). Nella specie l'invocare in sede di verifica a posteriori le fatture di prima vendita dei fornitori sudamericani alla ditta grossista non modifica affatto l'ammontare del prezzo CIF indicato nella dichiarazione di valore, nè la quantità e la qualità delle carni, nè l'origine extracomunitaria delle stesse, nè la loro destinazione comunitaria quali merci rese "in conformità delle specifiche CE" (v. Art. 13 del Regolamento sull'etichettatura), secondo quanto richiesto dal Comitato del codice doganale (Commento n.7, p. 3.2.2 e p.4).

31. Non si tratta di rettifica del valore richiesta dopo "lo svincolo delle merci", ma di documentazione di riscontro offerta in sede di verifica D.Lgs. n. 374 del 1990, ex art. 1 e art. 78 CDC ("1. Dopo aver concesso lo svincolo delle merci, l'autorità doganale può procedere alla revisione della dichiarazione, d'ufficio o su richiesta del dichiarante. (...) 3. Quando dalla revisione della dichiarazione o dai controlli a posteriori risulti che le disposizioni che disciplinano il regime doganale considerato sono state applicate in base ad elementi inesatti o incompleti, l'autorità doganale, nel rispetto delle norme in vigore e tenendo conto dei nuovi elementi di cui essa dispone, adotta i provvedimenti necessari per regolarizzare la situazione"), a fronte di fattura di rivendita che usa la terminologia tipica del trasporto marittimo internazionale sulla resa CIF Genova per consegna a costo, nolo e assicurazione.

32. Quanto alla circostanza che le fatture emesse dalla ditta grossista nei confronti del salumificio potrebbero essere prive di riferimento alle vendite anteriori e che tale fatto potrebbe rendere dubbia la sicura identificazione delle fatture extracomunitarie quali vendite anteriori delle partite di merce importate dalla contribuente, si tratta di rilievo fattuale inammissibile perchè svolto dalla difesa erariale - per la prima volta - in memoria e, comunque, neppure corroborato dai necessari requisiti di autonoma specificità e d'immediato riscontro.

(Considerazioni finali).

33. Nella specie, l'Amministrazione doganale non ha dimostrato in modo specifico che la prima vendita (first sale), intervenuta tra fornitore sudamericano e la ditta grossista, non sia da considerare come vendita conclusa ai fini dell'esportazione verso il territorio doganale della Comunità. Il rilievo secondo cui, una volta pervenute al deposito doganale in Italia, le carni avrebbero potuto essere rivendute ad acquirenti extracomunitari fa leva su una possibilità meramente teorica e per di più priva di concreta rilevanza, bastando che le merci siano lavorate in conformità delle specifiche CE (Commento n.7, p.4). Ne consegue che la circostanza in questione - e cioè la specifica finalizzazione della prima vendita (Commento n. 7, p. 3.2.2) - deve considerarsi accertata, sicchè il salumificio importatore non ha bisogno di fornire altri riscontri al riguardo e comunque risulta che la parte contribuente ha, già in fase precontenziosa, fornito sul punto strumentazione probatoria non specificamente contestata.

34. E' altrettanto pacifico che il salumificio importatore abbia pagato il dazio commisurandolo al valore risultante da tale prima vendita (first sale price) e, quindi, tale sia stato il valore dal medesimo dichiarato in dogana. E' indiscutibile che l'importatore ha la possibilità di scegliere se dichiarare come valore in dogana il valore corrispondente al prezzo della vendita finale (last sale price) o quello di una vendita precedente (first sale price), purchè finalizzata all'esportazione nella comunità (nel senso precisato dal Comitato CDC). Ne consegue che, nella specie, la parte contribuente ha diritto di pagare il dazio commisurandolo al prezzo della prima vendita, ossia quella intervenuta tra fornitore sudamericano e ditta grossista. Per quanto riguarda la prova di tale prezzo e dell'identità delle carni v'è da rilevare che il dubbio finale dell'Amministrazione doganale, circa la corrispondenza tra fatture degli acquisti della ditta grossista e fatture delle vendite di quest'ultima al salumificio importatore, è puramente ipotetico e formale, disancorato com'è da dati fattuali sui prezzi unitari delle carni e sulla loro tracciabilità in entrata e in uscita, senza tener conto del rigorosissimo sistema d'identificazione delle partite introdotte ed estratte (R.D. n. 126 del 1927, artt. 36 e 40) e di contabilità delle merci nei depositi doganali (p.19 e p.20 Circ. 21/12/1991 n. 371, applicativa dei Reg. (CEE) n. 2503/1988 e n. 2561/1990).

35. Riguardo alle fatture da allegare all'importazione, per la determinazione del dazio ciò che conta è soprattutto il valore dichiarato, a meno che non sia contestata l'attendibilità intrinseca della dichiarazione in dogana, cioè sia denunciata la non corrispondenza sostanziale al valore di transazione al quale la dichiarazione stessa doveva far riferimento. L'onere di presentazione in dogana delle fatture rilevanti è sancito sì dall'art. 181 DAC, ma le eventuali manchevolezze restano sanabili nel corso del procedimento di rettifica (D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 e art. 78 CDC), ben potendo essere offerto successivamente, anche su richiesta dall'autorità doganale (art. 181 bis comma 2 DAC), ogni elemento di obiettivo e ulteriore riscontro (art. 147 comma 2 DAC) e dovendo le autorità degli Stati membri accettare ogni documento a riprova, indipendentemente dalla sua forma di presentazione, semprechè non ne sia messa in dubbio l'autenticità e le informazioni ivi contenute suffraghino i dati dichiarati o le informazioni richieste (Commento n.6, p.2 e p.8).

36. In conclusione, rigettato il ricorso, la sentenza d'appello, munita di dispositivo conforme a diritto, va solo parzialmente integrata nei sensi sopra indicati.

I contrasti esistenti nella giurisprudenza di merito e l'assenza di precedenti specifici nella giurisprudenza di legittimità giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità tra le parti.

 

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2013

Questo contenuto è riservato agli abbonati. Se già disponi di un accesso valido clicca qui per autenticarti, altrimenti clicca qui per richiedere una PROVA GRATUITA!
Inoltre puoi:
- contattare i numeri 06.56.56.7212 o 392.993.6698
- inviare una richiesta al servizio clienti
- consultare le formule di abbonamento