23 marzo 2020
Corte di Giustizia: clausole contrattuali abusive, obbligo di valutazione anche di quelle connesse?
Il giudice nazionale, che è chiamato da un consumatore a verificare se alcune clausole contrattuali siano abusive, dovrà esaminare la validità anche delle altre clausole, purché queste siano connesse all’oggetto della controversia.
Questo è quanto è stato stabilito dalla Corte di Giustizia con la sentenza dell’11 marzo 2020, nella causa C‑511/17, rilevando che, se del caso, il giudice nazionale dovrà adottare opportune misure istruttorie al fine di acquisire gli «elementi di diritto e di fatto necessari» ad effettuare tale verifica.
Il fatto
A dicembre del 2007 una signora ungherese (parte attrice) stipulava con l’UniCredit Bank Hungary un contratto di mutuo ipotecario, espresso in valuta estera, che conteneva alcune clausole che di fatto conferivano all’istituto di credito il diritto di modificarne unilateralmente il contenuto.
Successivamente parte attrice, ritenendo che tale contratto contenesse talune clausole che potevano essere considerate abusive, propone ricorso davanti alla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest Capitale, Ungheria - di seguito “Corte di Budapest”) ai fini di far dichiarare l’invalidità, con effetto retroattivo, di dette clausole contrattuali alla luce di quanto previsto dalla Direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.
La Corte di Budapest, così chiamata in causa da parte attrice, si è posta il quesito se, in virtù della suddetta Direttiva, dovesse esaminare d’ufficio il carattere eventualmente abusivo di tutte le clausole del contratto di mutuo - oggetto della controversia - domanda che a sua volta rivolge alla Corte di Giustizia.
La domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta alla Corte di Giustizia da parte della Corte di Budapest, verteva di fatto sull’interpretazione dell’art. 6, par. 1, della Direttiva 93/13/CEE, in cui si sancisce che «gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
Va considerato che «il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende» - art. 4, par. 1, Direttiva 93/13/CEE.
Quindi, il contesto normativo a cui la Corte di Giustizia fa riferimento per trarre idonei criteri di valutazione per il caso di specie, al fine di emettere una decisione in relazione alla validità di clausole abusive presenti in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista, è quello del Diritto dell’Unione europea e del Diritto ungherese.
In particolare, la legislazione ungherese nel 2014 ha adottato una normativa volta a disciplinare l’accertamento di eventuali clausole di carattere abusivo che consentono alle banche il diritto di modifica unilaterale di un contratto di mutuo, concluso con un consumatore, e le relative conseguenze che possano derivare dalla loro abusività. Con tali disposizioni pertanto i giudici ungheresi «non sono più chiamati a pronunciarsi sulla compatibilità di dette clausole con la Direttiva».
Ma nonostante questo, la Corte di Budapest si è posta la domanda se, alla luce anche della giurisprudenza della Corte di Giustizia, non si debba assumere comunque il compito di esaminare, rispetto alla compatibilità con la Direttiva, anche le altre clausole del contratto di mutuo, quali quelle «relative all’attestazione notarile, ai motivi di risoluzione e a talune spese incombenti al consumatore», che non erano di fatto oggetto del ricorso.
Con la prima questione pregiudiziale il giudice del rinvio si chiede se l’art. 6, par.1 della Direttiva «debba essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, investito di un ricorso proposto da un consumatore e diretto a far accertare il carattere abusivo di talune clausole contenute in un contratto, che quest’ultimo ha concluso con un professionista, è tenuto ad esaminare d’ufficio e individualmente tutte le altre clausole contrattuali, che non sono state impugnate da tale consumatore, al fine di verificare se esse possano essere considerate abusive».
Così come, con la seconda e la terza questione, che, a parere della Corte, occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio si chiede se, il medesimo articolo, insieme all’art. 4, par. 1 della Direttiva, «debbano essere interpretati nel senso che, qualora, per valutare il carattere abusivo della clausola contrattuale che funge da fondamento per le pretese di un consumatore, occorra prendere in considerazione tutte le altre clausole del contratto che quest’ultimo ha concluso con un professionista, una siffatta presa in considerazione implica, in quanto tale, un obbligo, per il giudice nazionale adito, di esaminare d’ufficio il carattere eventualmente abusivo di tutte le suddette clausole».
La decisione
La Corte, con sentenza dell’11 marzo 2020, stabilisce che il giudice davanti al quale un consumatore vuole far valere che alcune clausole, presenti in un contratto concluso con un professionista, sono abusive, «non è tenuto ad esaminare d'ufficio e individualmente il carattere eventualmente abusivo di tutte le altre clausole di tale contratto non impugnate dal consumatore».
Ciò nonostante, il giudice dovrà effettuare comunque un esame delle clausole, pur non contestate dal consumatore, ma connesse all’oggetto della controversia nel momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari per questo scopo.
Di fatto, se questi «elementi di diritto e di fatto contenuti nel fascicolo sottoposto al giudice nazionale fanno sorgere seri dubbi quanto al carattere abusivo di talune clausole, che non sono state prese in considerazione dal consumatore ma che presentano un nesso con l’oggetto della controversia, senza tuttavia che sia possibile procedere a valutazioni definitive al riguardo, spetta al giudice nazionale adottare, se necessario d’ufficio, misure istruttorie necessarie per completare tale fascicolo, chiedendo alle parti, nel rispetto del contraddittorio, di fornirgli i chiarimenti e i documenti necessari a tale scopo».
A contrario, il giudice non è obbligato, rispetto a quanto stabilito nella Direttiva, «ad esaminare d’ufficio e individualmente l’insieme delle altre clausole contrattuali, che non sono state impugnate da tale consumatore, al fine di verificare se esse possano essere considerate abusive», ma solamente quelle – come menzionato - associate all’oggetto stesso della controversia.
Inoltre, la Corte nelle motivazioni apportate alla decisione, rammenta che - ai sensi dell’art. 8 della Direttiva 93/13/CEE - «gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore» e quindi sono «liberi di prevedere, nel loro diritto interno, un esame d’ufficio più esteso».
Infine, ai fini della presente controversia, la Corte richiama l’attenzione sul possibile “effetto cumulativo” delle clausole contrattuali, in funzione della dichiarazione di abusività delle stesse.
Infatti il proposito di tenere conto di tutte le altre clausole inserite nel contratto concluso tra consumatore e professionista, trova spiegazione nel fatto che l’esame stesso della «clausola impugnata deve prendere in considerazione tutti gli elementi che possono essere pertinenti per comprendere tale clausola nel suo contesto».
Questo perché, «in funzione del contenuto di tale contratto, può essere necessario, ai fini della valutazione del carattere abusivo di detta clausola» - come accennato - «valutare l’effetto cumulativo di tutte le clausole di detto contratto».
Pur tuttavia , rispetto a quanto sostenuto, nell’ambito della presente valutazione sull’invalidità della clausola proposta dal consumatore rispetto al caso di specie, il giudice nazionale non è certamente obbligato ad esaminare autonomamente le suddette clausole rispetto alla determinazione del loro eventuale carattere abusivo.
Conclusioni
Alla luce di quanto esaminato, la Corte «dichiara che:
1) l’art. 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, investito di un ricorso proposto da un consumatore e volto a far accertare il carattere abusivo di talune clausole contenute in un contratto che quest’ultimo ha concluso con un professionista, non è tenuto ad esaminare d’ufficio e individualmente l’insieme delle altre clausole contrattuali, che non sono state impugnate da tale consumatore, al fine di verificare se esse possano essere considerate abusive, ma solo quelle che sono connesse all’oggetto della controversia, come delimitato dalle parti, non appena disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tale scopo, completati eventualmente da misure istruttorie.
2) l’art. 4, par. 1, e l’art. 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE devono essere interpretati nel senso che, sebbene, per valutare il carattere abusivo della clausola contrattuale che funge da fondamento per le pretese di un consumatore, occorra prendere in considerazione tutte le altre clausole del contratto stipulato tra un professionista e tale consumatore, questa considerazione non implica, di per sé, un obbligo, per il giudice nazionale adito, di esaminare d’ufficio il carattere eventualmente abusivo di tutte le suddette clausole».