27 dicembre 2018
Chi consente la visualizzazione di programmi televisivi in diretta o in streaming su Internet è fornitore di rete di comunicazione elettronica?
di Annalisa Spedicato
Il 13 dicembre scorso, la Corte Europea, in risposta ad una domanda pregiudiziale promossa dal Consiglio di Stato francese (procedimento C-298/17), si è pronunciata sull'interpretazione dell'art. 31 della direttiva n. 2002/22/CE modificata dalla direttiva n. 2009/136 sulle comunicazioni elettroniche, chiarendo che un'impresa che propone la visione di programmi televisivi in streaming e in diretta sul proprio sito Internet, guadagnando con la web advertising, non possa, per tale unico motivo, essere considerata un organismo che fornisce reti di comunicazione elettronica destinate alla distribuzione di servizi di diffusione televisiva o radiofonica al pubblico, ai sensi dell'articolo 31, paragrafo 1, della direttiva [servizio universale].
Come chiarito dalla Corte Europea, la suddetta direttiva, che istituisce un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, non trova applicazione nei confronti di tali imprese le quali, limitandosi a proporre unicamente la visione di programmi televisivi in streaming e in diretta su un sito Internet, non possono essere qualificate come fornitori di reti di comunicazione elettronica, in quanto essi stessi ne sono fruitori al pari degli altri utenti. La rete, in tal caso, è semplicemente lo strumento, il mezzo attraverso cui è fornito un accesso al contenuto di servizi audiovisivi, ragion per cui il semplice fatto che un'impresa, per offrire tali servizi, utilizzi una rete di comunicazione elettronica quale definita all'articolo 2, lettera a), della direttiva quadro, come la rete Internet, non consente di ritenere che essa stessa sia un fornitore di una simile rete, considerando che la «fornitura di una rete di comunicazione elettronica» è definita all'articolo 2, lettera m), della direttiva quadro come «la realizzazione, la gestione, il controllo o la messa a disposizione di una siffatta rete».
Ed in effetti, la stessa direttiva quadro, nel considerando 5 precisa che è necessario separare la disciplina dei mezzi di trasmissione dalla disciplina relativa ai contenuti e che il quadro normativo comune, di cui fa parte la direttiva servizio universale, non si applica ai contenuti dei servizi forniti mediante reti di comunicazione elettronica che utilizzano servizi di comunicazione elettronica (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2013, UPC Nederland, C‑518/11); così anche secondo il considerando 45 della direttiva servizio universale, i fornitori di contenuti non rientrano nel quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica e tali servizi non sono soggetti agli obblighi di servizio universale per dette attività. Ne consegue che a un'impresa che si limiti ad offrire, tramite un sito Internet, l'accesso a contenuti forniti su Internet come la visione di programmi televisivi o radiofonici in streaming o in diretta, non si applica l'articolo 31, paragrafo 1, della direttiva servizio universale.
Resta il fatto che la direttiva servizio universale lascia agli Stati membri la libertà di imporre obblighi di trasmissione diversi da quelli di cui all'articolo 31, paragrafo 1, della medesima, nei confronti di imprese che, senza fornire reti di comunicazione elettronica, propongono la visione di programmi televisivi in streaming e in diretta su Internet. Ad ogni modo, ricordano i giudici, gli Stati membri, anche nell'ambito di tali imposizioni che restano interne agli ordinamenti statali, devono rispettare il diritto dell'Unione, in particolare le norme relative alla libera prestazione dei servizi sancita dall'articolo 56 TFUE.
Annalisa Spedicato
Avvocato esperto in IP, ICT e Privacy