14 gennaio 2019
Diritto alla deindicizzazione e motori di ricerca: conclusioni dell’Avvocato Generale Szpunar nella causa C-507/17 (Google/CNIL)
di Maria Alessandra Monanni
Il diritto di deindicizzazione dei propri dati personali da un motore di ricerca, quale Google, come delle informazioni legate al proprio nominativo, in seguito ad una specifica richiesta sul motore di ricerca - dati che allo stato di specie potrebbero non avere più la giusta pertinenza in quanto sia oramai mutato lo stato delle cose da renderle obsolete, oppure ritenute da principio false e quindi lesive per il soggetto interessato, per la sua reputazione e immagine - è strettamente connesso con il diritto all’oblio (diritto stabilito dalla Corte di Giustizia europea e così definito nella giurisprudenza).
Con il termine "deindicizzazione" si vuole indicare il procedimento che viene messo in pratica dai motori di ricerca per permettere la rimozione di contenuti e informazioni che sono frutto del risultato di una ricerca sul web. Nello specifico si tratta di una rimozione non propriamente dei contenuti presenti in rete, dei link legati al proprio nominativo, ma della loro visibilità all’interno dei risultati ottenuti dai motori di ricerca.
Alla luce della presente definizione e in virtù della nuova normativa sulla Privacy, Regolamento (UE) 2016/679, ai sensi dell’art. 17 ("diritto alla cancellazione" - "diritto all’oblio"), una persona ha il diritto di "ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l'obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali". Per cui ha il diritto di ottenere la deindicizzazione dei link legati al proprio nome e cognome che riportavano notizie ed informazioni che, allo stato della richiesta, non avevano più alcuna attinenza e interesse rispetto alle "finalità per le quali questi dati erano stati raccolti o altrimenti trattati" o siano stati "trattati illecitamente" e, nel caso di specie, rischiavano di essere lesive per il soggetto interessato.
Una domanda di deindicizzazione potrà essere evasa solamente in seguito ad una valutazione del contesto e tipologia di contenuto per il quale si richiede la rimozione, oltre alla complessità dello stesso, in quanto è certamente differente deindicizzare un singolo link rispetto ad un intero sito web. Pertanto, chi intende esercitare questo diritto dovrà descrivere nel dettaglio i termini della richiesta inserendo nello specifico gli URL da rimuovere (a tal riguardo i motori di ricerca ormai hanno predisposto degli appositi moduli, al fine di esaminare che possa sussistere ancora un "interesse pubblico" alla notizia o meno).
Tale questione si colloca al centro delle Conclusioni dell’Avvocato generale Maciej Szpunar pubblicate il 10 gennaio 2019 presso la Corte di Giustizia europea, sia in riferimento alla causa C-136/17 (G.C. e a./CNIL) che alla causa C-507/17 (Google/CNIL). In entrambi i casi si pone il problema se Google possa essere sottoposta a diffida, in riferimento al caso specifico, al fine di procedere o meno su richiesta di una persona fisica alla deindicizzazione di link ottenuti in seguito ad una ricerca specifica, a partire dal nome della persona interessata, che siano lesivi per la stessa. Tenendo in debito conto l’importanza per i motori di ricerca di garantire la protezione del diritto di accesso alle informazioni e della libertà di espressione.
Si sottopongono quindi le rispettive questioni pregiudiziali all’attenzione della Corte di Giustizia, la cui valutazione parte dall’interpretazione della Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 24 ottobre 1995, "relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati" (GU 1995, L 281, p. 31), al fine di esaminare obblighi, responsabilità, competenze e potenzialità dei motori di ricerca. Infatti "gli Stati membri garantiscono, conformemente alle disposizioni della presente direttiva, la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche e particolarmente del diritto alla vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali". Rispetto a ciò l’Avvocato generale mette in evidenza che "i divieti e le restrizioni previsti dalla direttiva 95/46 non possono essere applicati nei confronti di un gestore di un motore di ricerca, come fosse esso stesso ad aver fatto figurare i dati di natura delicata nelle pagine Internet indicizzate. Poiché l’attività di un motore di ricerca avviene logicamente solo dopo che i dati (di natura delicata) sono stati messi in linea, tali divieti e restrizioni possono quindi essere applicati a un motore di ricerca solo riguardo a tale indicizzazione e, quindi mediante una verifica a posteriori, quando la persona interessata presenta una richiesta di deindicizzazione" - come da Conclusioni dell’Avvocato generale nella causa C-136/17.
Nel fatto di specie, causa C-507/17 (Google/CNIL), l’Avvocato generale Szpunar ha emesso un parere circa la possibilità per un motore di ricerca, Google, di deindicizzare i diversi link ottenuti dalla ricerca effettuata sul web, utilizzando come parola chiave il nome della persona interessata, procedendo alla cancellazione di tutti i nomi a dominio del suo motore di ricerca - al fine di non visualizzare più i link oggetto di controversia - indipendentemente dal luogo da cui sia stata effettuata la ricerca del nome del soggetto interessato. Oltre a valutare se il gestore di un motore di ricerca possa rimuovere solo "i link controversi che appaiono in esito a una ricerca effettuata a partire dal nome del richiedente sul nome di dominio corrispondente allo Stato in cui si ritiene sia stata effettuata la domanda di cancellazione o, più in generale, sui nomi di dominio del motore di ricerca corrispondenti alle estensioni nazionali di tale motore per tutti gli Stati membri dell’Unione europea".
Il 21 maggio 2015, la presidente della Commission nationale de l’informatique et des libertés (Francia) (Commissione nazionale per l’informatica e le libertà, di seguito la «CNIL») decide di diffidare Google ad applicare la suddetta tipologia di rimozione dal web. Google respinge la diffida, procedendo perciò a rimuovere solamente "i link in questione, dai soli risultati visualizzati in esito a ricerche effettuate a partire dai nomi di dominio corrispondenti alle varianti del suo motore di ricerca negli Stati membri dell’Unione europea".
Alla scadenza del termine di risposta alla diffida, Google propone un ulteriore elemento di valutazione rappresentato dal cosiddetto "blocco geografico" ("geoblocking"), attraverso il quale si impedisce all’utente "di accedere, a partire da un indirizzo IP, che è reputato essere ubicato nello Stato di residenza della persona interessata, ai risultati controversi in esito ad una ricerca effettuata a partire dal nome di quest’ultima, indipendentemente dalla variante del motore di ricerca interrogata dall’utente".
La CNIL, dopo aver preso atto che Google non si era adeguata alla diffida, con delibera del 10 marzo 2016 ha comminato alla stessa una sanzione di Euro 100.000, a seguito della quale Google ricorre al Consiglio di Stato francese (Conseil d’État) richiedendo l’annullamento di detta delibera. Il Consiglio di Stato perciò decide di sottoporre la controversia alla valutazione della Corte di Giustizia europea, presentando le diverse questioni pregiudiziali.
La Corte, richiamando nella sua analisi il caso "Google Spain", che di per sé aveva avviato il dibattito in materia di diritto all’oblio a livello europeo e della possibilità di cancellazione dei propri dati e all’interruzione del trattamento - come previsto dall’art.12 della Direttiva 95/46/CE - non menzionava la possibilità di applicare tale disposizione anche ai motori di ricerca. La Corte quindi decise che essa poteva essere applicata anche ai motori di ricerca (infatti è proprio da tale delibera che i motori di ricerca iniziano a predisporre appositi moduli per segnalare le rimozioni di link).
Sulla base di questi presupposti la Corte deve decidere il caso in questione, relativo alla causa c-507/17, se Google abbia l’obbligo di deindicizzare i contenuti in tutto il mondo o solo a livello europeo e se si possa utilizzare la tecnica del "geoblocking" per impedire la visualizzazione di un determinato link in base alla posizione.
L’Avvocato generale Szpunar stima innanzitutto che la normativa europea applicabile alla fattispecie in esame - Direttiva 95/46/CE- non disciplina in maniera esplicita il tema della "territorialità della deindicizzazione", pertanto ritiene che sia opportuno operare una differenziazione a seconda del luogo a partire dal quale sia eseguita la ricerca. Difatti "le richieste di ricerca effettuate al di fuori del territorio dell’Unione europea non dovrebbero essere interessate dalla deindicizzazione dei risultati di ricerca".
Pertanto, l’Avvocato generale non è propenso ad una interpretazione così ampia della normativa europea che abbia effetti "oltre l’ambito territoriale dei 28 Stati membri". Egli evidenzia "che, pur se effetti extraterritoriali sono ammessi in determinati casi, riguardanti il mercato interno, chiaramente delimitato - ad esempio in materia di diritto della concorrenza o di diritto dei marchi - per la natura stessa di Internet, che è su scala mondiale ed è presente ovunque in pari misura, tale possibilità non è comparabile".
Egli ritiene che sia opportuno pensare di eseguire un "bilanciamento del diritto fondamentale all’oblio con il legittimo interesse del pubblico ad avere accesso all’informazione ricercata", proprio perché se si consentisse a deindicizzare contenuti a livello mondiale, le autorità europee "non sarebbero in grado di definire e determinare il diritto a ricevere informazioni, e ancor meno di effettuarne un bilanciamento con gli altri diritti fondamentali della protezione dei dati e alla vita privata". Tanto più che detto interesse pubblico di accesso ad un’informazione muterà necessariamente "da uno Stato terzo all’altro, secondo la sua ubicazione geografica". Qualora "fosse possibile procedere ad una deindicizzazione su scala mondiale, sussisterebbe il rischio che sia impedito di aver accesso alle informazioni a soggetti che si trovano in Stati terzi e che, per reciprocità, gli Stati terzi impediscano di aver accesso alle informazioni a soggetti che si trovano negli Stati membri dell’Unione".
L’Avvocato generale pertanto propone alla Corte di asserire che "il gestore di un motore di ricerca non è tenuto, allorché accoglie una richiesta di deindicizzazione, di effettuare tale deindicizzazione su tutti i nomi di dominio del suo motore affinché, indipendentemente dal luogo a partire dal quale è effettuata la ricerca in base al nome del richiedente, i link controversi non compaiano più".
L’Avvocato generale sottolinea invece che, "una volta che sia stato accertato il diritto a una deindicizzazione all’interno dell’Unione, il gestore di un motore di ricerca deve adottare tutte le misure a sua disposizione per garantire una deindicizzazione efficace e completa, a livello del territorio dell’Unione europea, incluso mediante la cosiddetta tecnica del «blocco geografico» a partire da un indirizzo IP che è reputato essere ubicato all’interno di uno Stato degli Stati membri, e ciò indipendentemente dal nome di dominio utilizzato dall’utente Internet che effettua la ricerca".
Da quanto narrato occorrerà quindi vedere se la Corte farà fede a quanto proposto dall’Avvocato generale oppure deciderà diversamente; certamente le Conclusioni da lui esposte rappresentano un aspetto essenziale sul dibattito in materia di diritto all’oblio e procedimento di deindicizzazione dai motori di ricerca.
Dott.ssa Maria Alessandra Monanni
Legal Specialist in Proprietà Intellettuale
Copywriter e Blogger