25 febbraio 2019
E' lecito pubblicare in rete i video degli agenti di polizia mentre compiono le formalità in commissariato, ma solo a fini giornalistici
Secondo la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (sentenza del 14 febbraio 2019, causa C-345/17) è ammesso pubblicare su Internet le riprese di operazioni di polizia svolte dagli agenti nei commissariati, sempre che ciò sia svolto unicamente per scopi giornalistici.
La questione da cui la Corte di Giustizia ha tratto tale decisione si basava su fatti svoltisi in Lettonia quando era ancora in vigenza la direttiva n. 95/46/CE, oggi superata dal Regolamento UE n. 2016/679. Durante le operazioni di raccolta di una deposizione, nel contesto di un illecito amministrativo, un uomo aveva filmato gli agenti di polizia mentre svolgevano le operazioni di procedura, pubblicando tali immagini in un video su You Tube.
A seguito di questa pubblicazione, era intervenuto il Garante nazionale per la protezione dei dati della Lettonia, il quale aveva dichiarato che con la pubblicazione delle riprese, l'uomo aveva violato la normativa lettone sul trattamento dei dati personali, in quanto agli agenti di polizia non era stata previamente comunicata l'informativa in relazione ai loro dati personali trattati con la ripresa e la successiva pubblicazione del video e nemmeno allo stesso Garante era stato preventivamente chiesto se la pubblicazione del video contestato su Internet potesse ritenersi legittima in base alla normativa sui dati personali. Il Garante pertanto aveva ordinato all'uomo di provvedere alla rimozione del video dal web.
L'uomo si era dunque rivolto ai giudici nazionali ricorrendo contro il provvedimento del Garante e chiedendo il risarcimento per i danni subìti; nel suo ricorso, l'uomo sostenne che la finalità della pubblicazione del video era stata quella di attirare l'attenzione della società su una condotta a suo avviso illecita delle forze di polizia; ma i giudici, anche in grado d'appello, respinsero il ricorso. A parere dei giudici, nel video si udivano le voci anche di altri agenti di polizia che esercitavano le loro funzioni e non solo di quelli che raccoglievano la deposizione dell'uomo. Peraltro, affermarono nella loro pronuncia che, nel caso di specie non era possibile stabilire se dovesse prevalere il diritto alla libertà di espressione oppure il diritto di terzi al rispetto della vita privata, posto che l'uomo non aveva precisato la finalità della pubblicazione del video in questione. Allo stesso modo, detto video non mostrava fatti di attualità con un interesse sociale, né comportamenti disonesti degli agenti di polizia e, dato che non poteva ravvisarsi alcun fine giornalistico, ai sensi della legge sulla stampa e sugli altri mezzi di comunicazione di massa, né scopi di espressione letteraria o artistica, le eccezioni della legge sul trattamento dei dati personali non potevano applicarsi al caso di specie. L'uomo dunque avrebbe dovuto informare preventivamente gli agenti di polizia.
Nel ricorso davanti alla Corte Suprema della Lettonia contro la suddetta decisione, il reo sostenne, in particolare, che il video in questione mostrava funzionari pubblici in un luogo aperto al pubblico; circostanze queste che non rientrerebbero nell'ambito di applicazione ratione personae della legge sulla protezione dei dati.
La Corte suprema si rivolgeva, a sua volta, alla Corte Europea, domandando ai giudici di sciogliere i dubbi sulla questione se il fatto di filmare, all'interno di un commissariato di polizia, taluni agenti nell'esercizio delle loro funzioni e il fatto di pubblicare il video così registrato su Internet rientrino nell'ambito di applicazione della normativa sul trattamento dei dati personali e se una condotta, come quella dell'uomo, possa essere considerata un trattamento di dati effettuato per finalità giornalistiche e godere pertanto delle eccezioni previste dalla norma per tali scopi.
La decisione della CGUE
I giudici europei premettono che anche l'immagine delle persone, registrata da una videocamera, costituisce un dato personale e questo vale sia nell'ambito di applicazione della direttiva n. 46 che in quello attuale del Regolamento n. 679/2016; lo stesso ragionamento vale in relazione al concetto di trattamento di dato personale che ben può applicarsi alla ripresa video che viene immagazzinata in un sistema di registrazione continua, ossia la memoria di una videocamera o fotocamera e con riferimento al trattamento effettuato in modo automatizzato, la Corte precisa altresì che costituisce trattamento automatizzato la pubblicazione delle immagini video online, in quanto far apparire alcune informazioni su una pagina Internet, implica la realizzazione di un'operazione di caricamento di questa pagina su un server nonché delle operazioni necessarie per rendere questa pagina accessibile alle persone che si sono collegate ad Internet.
La registrazione e la successiva pubblicazione su Internet di video che riprendono agenti di polizia mentre espletano le loro funzioni costituisce, pertanto, di certo un trattamento di dati personali.
I giudici chiariscono anche che le riprese effettuate da una persona che non ricopre il ruolo di giornalista professionista non escludono il fatto che tale trattamento sia stato svolto per scopi giornalistici; il concetto di "finalità giornalistica" deve essere inteso in senso lato e in esso può farsi rientrare il più generale scopo della divulgazione al pubblico di informazioni, opinioni o idee.
Se, dunque, risulta inequivocabile (cosa che spetta ai giudici di merito accertare) che la finalità di trattamento nella pubblicazione di un video come quello del caso di specie è unicamente quella di divulgare al pubblico informazioni, opinioni o idee, anche in tali circostanze si applicano le eccezioni previste dalla normativa sul trattamento dei dati personali in relazione ad un trattamento di dati svolto per scopi giornalistici, con la conseguenza che i video di agenti di polizia ripresi nella loro qualità di pubblici ufficiali intenti nell'espletare le loro mansioni e pubblicati su Internet possono ritenersi legittimi.