• Concorrenza - Abuso di posizione dominante -Farmaceutica

13 marzo 2020

Consiglio di Stato, sez. VI, 13/03/2020, n. 1832 [Concorrenza - Abuso di posizione dominante - Provvedimento AGCM su diritti di commercializzazione di un pacchetto di farmaci antitumorali - Verifica della sussistenza di comportamenti restrittivi della concorrenza  - Violazione art. 102 TFUE per rinegoziazione dei prezzi - Imposizione di prezzi iniqui per commercializzazione farmaci]

Concorrenza - Abuso di posizione dominante - Provvedimento AGCM su diritti di commercializzazione di un pacchetto di farmaci antitumorali - Verifica della sussistenza di comportamenti restrittivi della concorrenza  - Violazione art. 102 TFUE per rinegoziazione dei prezzi - Imposizione di prezzi iniqui per commercializzazione farmaci - Diritto alla negoziazione dei prezzi tramite l'AIFA - Meccanismo di cooperazione tra autorità di concorrenza disciplinato dall’art. 22, comma 1, del Reg. n. 1/2003 - Abuso diritto di negoziazione.


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8447 del 2017, proposto da
Aspen Italia S.r.l., Aspen Pharma Trading Limited, Aspen Pharma Ireland Limited, Aspen Pharmacare Holdings Limited, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Marcello Clarich, Piero Fattori, Mariangela Di Giandomenico ed Alessandro Greco, con domicilio eletto presso lo studio Alessandro Greco in Roma, via del Plebiscito, n. 112;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Associazione Codici - Centro per i Diritti del Cittadino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Letizia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ivano Giacomelli in Roma, via Giuseppe Belluzzo, n. 1;

nei confronti

Altroconsumo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Paoletti, Giorgio Afferni e Lorenzo Schiano Di Pepe, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Francesco Paoletti in Roma, via Maresciallo Pilsudski, n. 118;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 8945/2017.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2020 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Giorgio Afferni, Marcello Clarich, Piero Fattori, Alessandro Greco e Francesco Sclafani dell’Avvocatura Generale dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

 

1 - Le società Aspen Pharma Trading Limited (APTL), Aspen Pharma Ireland Limited (APIL), Aspen Pharmacare Holdings Limited (APHL) e Aspen Italia s.r.l. (AI) hanno impugnato il provvedimento n. 26185 del 29 settembre 2016 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”).

2 – Tali società fanno parte del gruppo sudafricano Aspen, che nel 2009 ha acquistato dal gruppo GSK (“Glaxo”) i diritti di commercializzazione di un pacchetto di farmaci antitumorali, denominato “farmaci Cosmos”, che include le quattro specialità medicinali oggetto di accertamento da parte dell’Autorità (Alkeran 50 mg/10mg e 2mg, Leukeran 2 mg, Purinethol 50 mg e Tioguanina 40 mg).

I Cosmos sono farmaci indicati per la cura di tumori del sangue cui sono prevalentemente esposte le fasce deboli della popolazione e da tempo presenti sul mercato e da anni privi di copertura brevettuale.

In ragione della loro essenzialità, sono stati inseriti nella fascia di rimborsabilità totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

3 - A seguito di notizie riguardanti i rilevanti aumenti del prezzo registrati nel corso del 2014 dei predetti farmaci, l’Autorità avviava il procedimento n. A-480, nei confronti di APTL e di AI, al fine di verificare la sussistenza di comportamenti restrittivi della concorrenza eventualmente posti in essere dalle citate società.

3.1 - In data 27 novembre 2014, venivano svolti accertamenti ispettivi presso le sedi delle società medesime, anche in collaborazione con l’Autorità di concorrenza irlandese (“CCPC”), in forza di una richiesta di cooperazione ai sensi dell’articolo 22 del Regolamento (CE) n. 1/2003.

A seguito di tale attività, l’Autorità estendeva soggettivamente il procedimento nei confronti di APIL (delibera dell’11 febbraio 2015) e di APHL, società capogruppo sudafricana (delibera del 13 maggio 2015).

3.2 – In data 30 ottobre 2015, veniva notificata alle società la comunicazione delle risultanze istruttorie (“CRI”), quindi, su istanza di Aspen, il termine di conclusione del procedimento veniva prorogato al 30 marzo 2016, per consentire il più ampio contraddittorio. Il 9 febbraio 2016 si teneva l’audizione delle parti dinanzi al Collegio, durante la quale l’Autorità disponeva che gli uffici provvedessero a precisare le contestazioni con riferimento alla possibile commissione di un abuso di posizione dominante in violazione dell’art. 102, lett. a), TFUE, trasmettendo una nuova CRI, che veniva notificata in data 22 aprile 2016.

4 – A conclusione del procedimento istruttorio, con il provvedimento impugnato, l’Autorità ha accertato che il comportamento complessivamente adottato dalle predette società integra un abuso di posizione dominante in violazione dell’art. 102 TFUE, consistente nell’imposizione di prezzi iniqui per la commercializzazione in Italia di quattro specialità terapeutiche per la cura di malattie del sangue (Farmaci Cosmos), realizzata tramite un esercizio distorto e strumentale del diritto alla negoziazione dei prezzi con l’Agenzia Italiana del Farmaco ( “AIFA”). Per l’effetto, le società sono state condannate in solido al pagamento di una sanzione di Euro 5.225.317 e diffidate a porre in essere ogni adempimento volto alla definizione di prezzi non iniqui con riferimento alle medesime quattro specialità medicinali.

4.1 – Secondo l’Autorità, per mezzo di una negoziazione aggressiva e volta ad ottenere extra-profitti da ciascuna specialità medicinale considerata, Aspen, forte della posizione dominante detenuta nei quattro distinti mercati corrispondenti ad ognuno dei farmaci Cosmos, era riuscita ad esercitare una indebita pressione sull’Agenzia Italiana del Farmaco e, dunque, ad imporle un consistente aumento del prezzo di ciascun farmaco, pur in assenza di oggettivi elementi che lo giustificassero.

A tale risultato Aspen sarebbe giunta per mezzo di un uso distorto del diritto alla rinegoziazione che l’ordinamento le riconosce, dapprima, avanzando una richiesta strumentale di riclassificazione dei farmaci Cosmos dalla fascia di rimborsabilità interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) alla fascia C (con costo a carico del paziente), richiesta tuttavia rigettata da AIFA in ragione del carattere salvavita ed insostituibile dei farmaci Cosmos; quindi, insistendo per la revisione al rialzo dei prezzi; infine, facendo ricorso alla minaccia di interrompere la fornitura di detti farmaci, nella consapevolezza che, in caso di mancato accordo, essi sarebbero stati collocati in classe C, secondo quanto previsto dalla normativa di settore.

5 - In data 13 febbraio 2017, parte ricorrente presentava ricorso per motivi aggiunti con il quale domandava l’annullamento della nota dell’Autorità del 23 dicembre 2016 che, in risposta alla comunicazione di Aspen del 13 dicembre 2016, rilevava che le “iniziative poste in essere dal gruppo Aspen non appaiono specificamente dirette alla definizione dei prezzi non iniqui dei farmaci” ed invitava le società “a dare seguito a quanto prescritto nel provvedimento”.

6 – Con la sentenza n. 8945 del 2017, il T.A.R. per il Lazio ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti.

Avverso tale sentenza ha proposto appello l’originaria parte ricorrente per i motivi di seguito esaminati.

Si sono costituite in giudizio l’Associazione Altroconsumo e l’Autorità Antitrust.

Dopo la discussione del 20 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1 – Nel rispetto dell’ordine logico delle questioni appare prioritario l’esame delle censure con cui si deduce la sussistenza di vizi di ordine procedimentale nell’iter che ha portato all’emanazione del provvedimento sanzionatorio.

1.1 - Con un primo ordine di doglianze l’appellante deduce l’illegittimità delle ispezioni svolte in Irlanda presso APIL in mancanza di una autorizzazione scritta dell’Autorità italiana ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.P.R. 217/98.

Al riguardo, il T.A.R. ha richiamato il meccanismo di cooperazione tra autorità di concorrenza disciplinato dall’art. 22, comma 1, del Reg. 1/2003, escludendo la necessità di una specifica autorizzazione dell’Autorità italiana per estendere l’indagine ad una società diversa da quella oggetto della richiesta.

Secondo l’appellante, a dispetto di quanto ritenuto dal T.A.R., l’operato dell’Autorità Irlandese (CCPC) in conformità al disposto dell’art. 22, comma 1, Reg. 1/2003 ed alle regole procedurali irlandesi non poteva comunque esonerare l’Autorità dall’adozione di un atto autorizzativo dell’ispezione presso APIL, se non in violazione dell’art. 10, comma 2, del D.P.R. 217/1998, nonché dei principi generali del procedimento amministrativo (in primis il principio di pubblicità e trasparenza ex art. 1, comma 1, l. 241/1990).

1.2 - La censura è infondata.

In via preliminare, appare opportuno delineare il quadro normativo entro il quale devono essere collocati i fatti di cui l’appellante contesta la regolarità.

Come noto, il regolamento n. 1 del 2003, nell’operare una complessiva riorganizzazione del sistema europeo di antitrust enforcement, ha, tra l’altro, dato il via all’European Competioton Network, con la realizzazione di un coordinamento istituzionale sia in senso verticale, fra la Commissione e ciascuna Autorità nazionale, sia orizzontale, fra le singole Autorità garanti degli stati membri, reso operante dalla inter-operabilità dei rispettivi sistemi antitrust.

Tra le finalità di tale nuovo assetto riveste una particolare rilevanza quella di sviluppare meccanismi di cooperazione durante le indagini al fine di dare effettività all’applicazione delle disposizioni sostanziali che regolano la concorrenza, tenuto anche conto che i fenomeni economici da indagare, più frequentemente, travalicano il confine nazionale entro il quale ogni singola autorità esercita i poteri che il rispettivo ordinamento statuale le conferisce.

Sono emblematici di tale prospettiva sovrannazionale il considerando 15 del regolamento citato, secondo cui: “La Commissione e le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri dovrebbero formare insieme una rete di pubbliche autorità che applicano le regole di concorrenza comunitarie in stretta cooperazione. A tal fine è necessario istituire dei meccanismi di informazione e di consultazione”, e il considerando 28: “Perché le autorità garanti della concorrenza dei diversi Stati membri abbiano maggiori possibilità di applicare efficacemente gli articoli 81 e 82 del trattato, è utile consentire loro di prestarsi assistenza reciproca mediante lo svolgimento di accertamenti e l’attuazione di altre misure di acquisizione dei fatti”.

Più nel dettaglio, come già rilevato dal T.A.R., viene in considerazione l’art. 22 del regolamento n. 1 del 2003, in base al quale: “Per stabilire l’esistenza di un’infrazione all’articolo 81 o all’articolo 82 del trattato l’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro può procedere, sul proprio territorio, a qualsiasi accertamento o altra misura di acquisizione dei fatti prevista dalla legislazione nazionale in nome e per conto dell’autorità garante della concorrenza di un altro Stato membro. Qualsiasi scambio o uso delle informazioni raccolte è effettuato ai sensi dell’articolo 12”.

In base a quest’ultimo articolo: “Ai fini dell’applicazione degli articoli 81 e 82 del trattato, la Commissione e le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri hanno la facoltà di scambiare e utilizzare come mezzo di prova qualsiasi elemento di fatto o di diritto, comprese informazioni riservate. Le informazioni scambiate possono essere utilizzate come mezzo di prova soltanto ai fini dell’applicazione degli articoli 81 o 82 del trattato e riguardo all’oggetto dell’indagine per il quale sono state raccolte dall’autorità che le trasmette. Tuttavia qualora la legislazione nazionale in materia di concorrenza sia applicata allo stesso caso e in parallelo al diritto comunitario in materia di concorrenza e non porti ad un risultato diverso, le informazioni scambiate ai sensi del presente articolo possono essere utilizzate anche per l’applicazione della legislazione nazionale in materia di concorrenza”.

1.3 - Alla luce del delineato quadro regolatorio, appare assolutamente condivisibile la conclusione a cui è già giunto il giudice di primo grado, secondo cui la richiesta di cooperazione serve solo ad acquisire la disponibilità dell’autorità straniera a svolgere atti di indagine che la sua legge nazionale le consente di compiere, illustrando il contesto investigativo su cui orientare gli accertamenti ispettivi.

In altri termini, la norma europea citata non subordina la possibilità di svolgere le indagini e quella di poterne utilizzare gli esiti a specifici vincoli procedimentali, limitandosi a subordinare l’attività di indagine al rispetto della normativa nazionale propria dell’autorità che effettuata l’accertamento (“qualsiasi accertamento o altra misura di acquisizione dei fatti prevista dalla legislazione nazionale”).

Ne consegue che il rilievo di parte appellante, facente leva sul mancato rispetto della norma interna rappresentata dall’art. 10, comma 2, del D.P.R 217/1998, non coglie nel segno.

Tale norma – secondo cui “I funzionari dell’Autorità incaricati dal responsabile del procedimento di procedere alle ispezioni esercitano i loro poteri su presentazione di un atto scritto che precisi l’oggetto dell’accertamento e le sanzioni per il rifiuto, l’omissione o il ritardo, senza giustificato motivo, di fornire informazioni ed esibire documenti richiesti nel corso dell’ispezione, nonché nel caso in cui siano fornite informazioni ed esibiti documenti non veritieri – non regola, infatti, i rapporti con le autorità straniere, il cui operato evidentemente non può essere assoggettato alla norma interna di un altro stato, né disciplina l’utilizzabilità delle informazioni reperite da un’autorità estera.

A conferma dell’assunto che precede, giova evidenziare che una più restrittiva disciplina del meccanismo descritto dal combinato disposto degli artt. 22 e 12 citati è contemplata dallo stesso regolamento (art. 12 ultimo comma), che però la riferisce inequivocabilmente alla sola e differente fattispecie in cui le informazioni scambiate possono essere utilizzate come mezzo di prova per comminare sanzioni a persone fisiche (“soltanto quando … le informazioni sono state raccolte in un modo che rispetta lo stesso livello di tutela dei diritti di difesa delle persone fisiche di quello previsto dalle norme nazionali dell’autorità che le riceve. In tal caso le informazioni scambiate non possono tuttavia essere utilizzate dall’autorità che le riceve per imporre sanzioni detentive”).

1.4 – A fugare ogni dubbio, deve osservarsi che nel caso in esame il materiale istruttorio è stato regolarmente acquisito dall’Autorità irlandese sulla base del suo diritto interno.

Invero, le due ispezioni svolte dalla CCPC sono state autorizzate dall’Autorità giudiziaria irlandese in conformità alla disciplina ivi applicabile.

Al riguardo, deve anche sottolinearsi come le società ispezionate non hanno sollevato alcuna contestazione avanti al Giudice irlandese. Inoltre, come attestato dagli “statement of evidence” redatti durante l’ispezione irlandese, le parti hanno avuto copia conforme sia dell’atto di avvio del procedimento con relativa traduzione di cortesia, sia della richiesta di cooperazione formulata dall’Autorità italiana, per cui sono state poste nella condizione di conoscere le ragioni dell’ispezione e gli addebiti contestati dall’Autorità italiana.

1.5 - Alla luce delle considerazioni che precedono, la questione interpretativa per la quale l’appellante sollecita la rimessione alla CGUE ai sensi dell’Art. 267 del TFEU (“se l’art. 22, comma 1, Reg. 1/2003, nella parte in cui stabilisce che l’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro può procedere, sul proprio territorio, a qualsiasi accertamento o altra misura di acquisizione dei fatti prevista dalla legislazione nazionale in nome e per conto dell'autorità garante della concorrenza di un altro Stato membro, debba essere interpretato nel senso che osti a una norma o interpretazione del diritto interno, in virtù della quale l’autorità garante procedente non possa svolgere i propri accertamenti e acquisizioni dei fatti in difetto dell’autorizzazione emanata per ogni soggetto giuridico interessato dall’autorità garante per conto della quale gli stessi accertamenti hanno luogo, secondo le disposizioni del diritto interno di quest’ultima autorità”) risulta irrilevante e comunque mal posta, dal momento che non viene in considerazione alcuna violazione del diritto dell’Unione europea, né la necessità di interpretare la norma interna in senso conforme al diritto comunitario.

In altri termini, la questione sollevata dall’appellante non attiene all’interpretazione della norma europea, ma piuttosto all’estensione della norma interna, a scapito del pieno esplicarsi del dovere di collaborazione tra le autorità degli stati membri, in ultima analisi potenzialmente idonea a comprimere lo stesso ambito del diritto comunitario senza alcuna valida ragione, dal momento che, di fatto, non può dirsi integrata alcuna violazione effettiva (o anche solo ipotetica) delle facoltà procedimentali delle parti e del loro diritto di difesa.

Tanto precisato, deve oltretutto ricordarsi che nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 267 TFUE, la Corte di Giustizia non è competente a interpretare il diritto nazionale, compito che incombe esclusivamente al giudice del rinvio (cfr. Corte di Giustizia, 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04; 18 novembre 2010, Georgiev, C-250/09 e C-268/09).

Da un’altra prospettiva, il quesito, così come proposto, non delinea neppure quale possibile diversa interpretazione della norma comunitaria possa in ipotesi predicarsi avuto riguardo al testo della stessa, che appare chiaro ed inequivoco (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 5998 del 2017: “il rinvio ex art. 267 TFUE non è necessario laddove le precisazioni interpretative risultano sufficientemente chiare, nella loro ratio applicativa e nella loro riferibilità al caso in esame”).

2 - Con un secondo ordine di censure, parte appellante denuncia l’illegittima acquisizione, durante l’ispezione effettuata dall’Autorità Irlandese, dell’hard drive del direttore generale di APIL senza la verifica contestuale e la selezione dei soli contenuti pertinenti all’oggetto del procedimento, che è stata svolta solo successivamente presso gli uffici della CCPC per poi trasmettere all’Autorità italiana la documentazione selezionata in risposta alla richiesta di informazioni ex art. 12 del Regolamento n. 1 del 2003.

L’appellante precisa che tale condotta integrerebbe la violazione dell’art. 8 della CEDU e degli artt. 7 e 8 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea.

A confutazione degli argomenti valorizzati dal T.A.R., secondo cui l’ordinamento irlandese ha predisposto tutte le cautele e le garanzie per una legittima ingerenza nella vita privata e lavorativa dell’individuo, cita il precedente della Irish High Court del 5 aprile 2016, sostenendone l’assimilabilità al caso in esame.

2.1 - La censura è infondata.

Richiamando le considerazioni già svolte, ciò che rileva ai fini del presente giudizio è che l’Autorità italiana ha ritualmente acquisito, alla stregua dell’art. 22 del Regolamento citato, le sole informazioni aziendali rilevanti ai fini dell’indagine, senza in alcun modo violare alcun diritto delle persone fisiche coinvolte.

Altre supposte, ed allo stato non provate, violazioni poste in essere dall’Autorità irlandese – al riguardo deve osservarsi che la stessa Aspen non contesta che il titolare dell’hard drive era il manager maggiormente coinvolto nella strategia abusiva oggetto di indagine e che lo stesso aveva dichiarato che il supporto sequestrato conteneva la documentazione aziendale, dando il suo consenso all’acquisizione – non rilevano nel procedimento in esame, tanto più che, per quale che consta, alcuna contestazione è stata sollevata né avanti l’Autorità irlandese, né avanti il relativo giudice competente.

Non solo, l’Autorità italiana ha consentito ad Aspen di esaminare tutti i documenti acquisiti in ispezione e di contestarne la pertinenza ai fini del procedimento.

Alla luce di tali considerazioni, perde di ogni consistenza la richiesta di rinvio ai sensi dell’art. 267 del TFEU (“se l’art. 12 del Reg. 1/2003 debba essere interpretato nel senso che le informazioni scambiate tra autorità di concorrenza possano essere utilizzate lecitamente come mezzo di prova ai fini dell’applicazione dell’art. 102 TFEU a condizione che l’autorità che le raccoglie e trasmette non abbia violato la normativa nazionale ad essa applicabile”), posto che, in fatto, non risulta accertata alcuna violazione della normativa nazionale applicabile, dal momento che le ispezioni dell’Autorità Irlandese, come già detto, sono state regolarmente autorizzate dall’Autorità giudiziaria di quel Paese e, per quel che consta, alcuna contestazione è mai stata ivi sollevata per la supposta violazione dei diritti della persona protetti dalle convenzioni internazionali citate, da cui l’irrilevanza della questione sottesa al quesito proposto da parte appellante.

3 – Con un ulteriore ordine di censure, le società deducono la violazione dei principi generali sul procedimento amministrativo in relazione alla trasmissione di due successive comunicazioni delle risultanze istruttorie.

L’appellante prospetta che la prima CRI verteva interamente su una contestazione di abuso del diritto in relazione alla negoziazione con AIFA, mentre la successiva CRI formulava una nuova contestazione di imposizione di prezzi iniqui articolata in una complessa analisi economica di sproporzione dei prezzi dei farmaci Cosmos assolutamente non rinvenibile nella prima CRI.

Al riguardo, l’appellante, oltre a rilevare la tardività della contestazione dell’illecito ex art. 14 della l. 689/1981, ha anche dedotto che il richiamato modus procedendi dell’Autorità avrebbe violato i principi generali dell’azione amministrativa di cui agli art. 1 della l. 241/1990 e 97 della Costituzione e, in primo luogo, il principio di trasparenza, incompatibile con revisioni della contestazione originaria, in difetto di adeguate garanzie partecipative per la parte incolpata del fatto illecito.

3.1 - La censura è infondata.

Invero, dalla lettura delle due CRI emerge inequivocabilmente che il tipo di illecito contestato è il medesimo, ovvero la violazione dell’art. 102, lett. a), TFUE mediante l’imposizione di prezzi iniqui ottenuti attraverso una trattativa negoziale aggressiva.

La prima CRI conclude per “la sussistenza di un abuso di posizione dominante da parte di Aspen, in violazione dell’art. 102, lett. a), nella forma dell’esercizio strumentale del proprio diritto alla rinegoziazione dei prezzi … attraverso una pressione indebita … e finalizzata all’imposizione di prezzi elevatissimi nel mercato nazionale ... altrimenti non ottenibili”.

La seconda CRI – resasi opportuna dalla richiesta di meglio specificare le contestazioni articolate nella prima– come anticipato, si presenta sostanzialmente analoga, ancorché arricchita da una più chiara scansione dei momenti focali della condotta complessiva oggetto di accertamento, e da una più approfondita analisi dei prezzi e dei ricavi dei farmaci in questione, per concludere che “in definitiva, la condotta di Aspen viola l’art. 102, lett. a) TFUE, integrando un’ipotesi di sfruttamento della dominanza vantata nei mercati rilevanti, nella forma dell’imposizione di prezzi non equi per le specialità medicinali …, realizzato attraverso una pressione indebita esercitata sul Regolatore ”.

In definitiva, la seconda CRI, tenendo conto delle difese delle parti, formula solo in modo più dettagliato l’originaria e medesima contestazione – sia dal punto di vista fattuale che da quello formale giuridico – spiegando le ragioni per le quali i prezzi imposti dovevano ritenersi iniqui.

Le prospettazioni di parte appellante sono, inoltre, contraddette dal fatto che la seconda CRI risponde proprio alla dinamica del confronto procedimentale tra le parti che ha caratterizzato il procedimento, essendo stata predisposta proprio a fronte delle osservazioni della società.

Risulta, pertanto, destituita di ogni fondamento la prospettata illegittimità dell’ampliamento degli addebiti in corso di procedimento, sotto il profilo del mancato riconoscimento alla parte delle garanzie procedimentali.

3.2 – Contrariamente alla statuizione del T.A.R., deve ritenersi che le norme di principio, relative all’immediatezza della contestazione, o comunque ad una non irragionevole dilatazione dei suoi tempi, contenute nel Capo I della l. 24 novembre 1981, n. 689, sono dotate di applicazione generale dal momento che, in base all’art. 12 della stessa legge, le stesse devono essere osservate con riguardo a tutte le violazioni aventi natura amministrativa per le quali è applicata la sanzione del pagamento di una somma di danaro, compresa la materia dell’Antitrust (cfr. Consiglio di Stato n. 512 del 2020).

Tuttavia, la censura con la quale si contesta la violazione dell’art. 14 della l. 689/1981 deve ritenersi inammissibile, o in ogni caso infondata, dovendosi al riguardo ricordare che, per giurisprudenza costante (ex multis Consiglio di Stato n. 8893 del 2019) il termine ivi previsto decorre non dalla commissione della violazione, ma dall’accertamento dell’infrazione.

Più precisamente, il termine per la contestazione dell’infrazione non decorre dalla sua consumazione, ma dal completamento dell’attività di verifica di tutti gli elementi dell’illecito, dovendosi considerare anche il tempo necessario all’amministrazione per valutare e ponderare adeguatamente gli elementi acquisiti e gli atti preliminari per l’individuazione in fatto degli estremi di responsabilità amministrativa (cfr. Corte Cass. 18 aprile 2007, n. 9311; Corte Cass. 21 aprile 2009, n. 9454; Corte Cass. 13 dicembre 2011, n. 26734).

Nel caso di specie parte appellante, nello svolgere la censura, non specifica in modo chiaro da quale data avrebbe dovuto decorrere il termine, né quale sarebbe, di conseguenza, la data entro la quale l’Autorità avrebbe dovuto notificare il provvedimento, tenuto anche conto che, proprio per consentire una adeguata valutazione degli elementi istruttori acquisiti, l’Autorità ha concesso diversi rinvii al fine di meglio delineare la contestazione, e proprio a seguito degli specifici rilievi di Aspen.

4 – Prima di passare all’esame delle censure con cui si contesta la sussistenza, sotto diversi profili, della condotta abusiva accertata a carico delle società appellanti, pare doveroso delineare l’orizzonte entro il quale si colloca la fattispecie in esame, della quale non può essere messa in discussione la peculiarità, consistente nella contestazione di un abuso di posizione dominate per l’aumento di prezzi, all’interno di un mercato regolato ed in riferimento a prodotti già in commercio da decenni e non più tutelati da alcuna copertura brevettuale.

In primo luogo, la singolarità del caso si apprezza, già su piano generale, ove si consideri che, tra la gamma delle misure di contrasto alle condotte anticompetitive, i casi pratici di contestazione della fattispecie di abuso dominante per prezzi eccessivi che si sono registrati sono assai limitati, anche prendendo in considerazione l’intero panorama europeo; ciò risente della delicatezza della fattispecie dell’abuso di posizione dominate, specie sotto il profilo delle cd. condotte di sfruttamento, che implica una restrizione della libertà economica dell’impresa dominante, che deve essere attentamente calibrata alla stregua dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.

In secondo luogo, deve evidenziarsi la specificità del contesto nel quale si colloca la condotta abusiva nel caso in esame che si caratterizza per la presenza di un ente pubblico – AIFA – istituzionalmente preposto, tra l’altro, alla promozione e alla tutela della salute attraverso la regolamentazione dell’immissione in commercio dei prodotti farmaceutici e all’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse pubbliche destinate alla rimborsabilità dei farmaci per massimizzare i benefici della collettività in termini di salute pubblica.

Al riguardo, non è in discussione che anche le imprese operanti nei mercati regolati siano soggette al controllo antitrust - sicché, in questi casi, regolazione e disciplina della concorrenza possono anche sovrapporsi - tuttavia, in via generale (e salve le successive puntualizzazioni alla luce della specialità del caso), non può nascondersi che in un contesto del genere, stanti le accennate prerogative dell’ente pubblico, che nel caso di specie rappresenta l’acquirente unico dei farmaci soggetti a prescrizione, un’ipotetica condotta abusiva di innalzamento dei prezzi, quale quella contestata nel caso in esame, non appare conciliarsi con uno degli obiettivi a cui si collega la stessa presenza del regolatore, che, come detto, si caratterizza per l’intervento volto a salvaguardare il diritto alla salute, assunto nel nostro ordinamento tra i compiti istituzionali dello Stato.

Alla luce di tale assunto, sul piano teorico, deve ritenersi effettivamente meno probabile che si verifichi nei mercati in questione – caratterizzati dalla presenza di un regolatore settoriale che annovera tra i suoi compiti anche quello di contrattare i prezzi praticati dalle imprese – un aumento del prezzo che assuma rilevanza dal punto di vista antitrust, sotto forma di abuso di posizione dominante per incremento dei prezzi. Deve, invero, rimarcarsi che tra i compiti del regolatore debba farsi rientrare anche quello di scongiurare a priori eventuali condotte commerciali opportunistiche a danno della collettività in un settore particolarmente sensibile quale quello farmaceutico.

4.1 – Spostando l’attenzione verso un altro aspetto caratterizzante la fattispecie, sempre in linea teorica, non deve essere trascurato che, in generale, un’impresa che detiene una posizione dominante può giustificare condotte che astrattamente possono incorrere nel divieto di cui all’articolo 102 TFUE, dimostrando che l’effetto che ne deriva può essere controbilanciato, o anche superato, da vantaggi che vanno anche a beneficio della platea di consumatori.

Più nello specifico, nel settore farmaceutico, elevati prezzi di vendita di determinati farmaci, che possono apparire irragionevolmente superiori ai relativi costi di produzione, anche tenuto conto di un adeguato margine di profitto, possono giustificarsi in ragione della necessità di finanziare gli investimenti in ricerca posti in essere dalla stessa casa farmaceutica in altri settori, per lo sviluppo di nuove cure e di nuovi farmaci.

L’intervento dell’Autorità che contesti prezzi troppo elevati deve, dunque, essere attentamente meditato, onde evitare che lo stesso, invece di reprimere una condotta abusiva ed approfittatrice, costituisca un deterrente ai nuovi investimenti ed alla ricerca.

4.2 – I punti critici innanzi evidenziati rappresentano lo sfondo entro il quale la condotta abusiva contestata alle appellanti sarà valutata, alla luce però della specifica caratterizzazione del fatto concreto, delle evidenze emerse in sede procedimentale e delle specifiche deduzioni processuali delle parti.

Più precisamente, può sin da ora anticiparsi che le considerazioni generali innanzi esposte devono essere adeguatamente confrontate con la natura dei farmaci oggetto di causa che, all’epoca della condotta abusiva della società, si caratterizzavano per essere cure salvavita, dunque irrinunciabili, per una determinata fascia di pazienti, in tal modo, da un lato, condizionando ed attenuando il potere di AIFA, anche sotto il profilo della possibile introduzione dei generici degli stessi farmaci; dall’altro, rendendo ingiustificabile l’abnorme aumento dei prezzi concretizzatosi.

5 – Passando all’esame delle specifiche censure svolte da parte appellante, con il primo motivo si contestano i capi della sentenza in cui il T.A.R. per il Lazio ha rigettato la censura relativa alla non corretta identificazione del mercato rilevante da parte dell’Autorità.

A tal fine, si rileva come, nonostante il Giudice di primo grado riconosca che l’approccio dell’Autorità si sia posto in contrasto con l’usuale prassi decisionale – avendo nel caso di specie superato la generica classificazione ATC 3 di agenti alchilanti e di antimetaboliti per pervenire all’individuazione di un mercato rilevante più specifico, isolando il singolo principio attivo – abbia poi avvalorato la soluzione adottata dall’Autorità, non ravvisando vizi di travisamento dei fatti, vizi logici e vizi di violazione di legge.

Con l’appello, le società ribadiscono di aver contestato proprio la ragionevolezza, logicità e congruità dell’impostazione adottata dall’Autorità sotto il profilo dell’eccesso dei margini di opinabilità e sconfinamento nell’irragionevolezza nonché le carenze istruttorie e motivazionali inficianti tale impostazione.

Più precisamente, si lamenta la mancata analisi di sostituibilità del prodotto sul lato della domanda e dell’offerta, anche alla luce della prassi decisionale della Commissione europea in relazione all’identificazione dei mercati rilevanti antitrust per farmaci oncologici, che sarebbe stata necessaria per delimitare il mercato al livello della singola molecola/principio attivo.

Sotto un primo profilo, si rileva che la prassi è nel senso di definire i farmaci antitumorali sulla base del livello ATC 3 e della tipologia di tumore trattato, considerando le alternative di trattamento in termini non solo di molecola, ma di protocolli e combinazioni di molecole e prendendo in esame specificamente nelle proprie indagini le più aggiornate linee guida europee sul trattamento dei tumori sviluppate dalla European Society for Medical Oncology (ESMO).

5.1 - Da un altro punto di vista, l’appellante contesta le conclusioni dell’Autorità circa la pretesa insostituibilità terapeutica dei farmaci Cosmos per alcune fasi della terapia e per determinate tipologie di pazienti, che assorbirebbe l’analisi di sostituibilità economica.

A tal fine deduce che:

a) le dichiarazioni rilasciate all’Autorità dalla Fondazione GIMEMA, circa il presunto ruolo ancora essenziale ricoperto dai farmaci Cosmos per determinate malattie del sangue e in determinati stadi delle stesse patologie, sono essenzialmente riferite all’assenza di generici per gli stessi farmaci;

b) tale assunto non sarebbe corretto, dal momento che in altri stati europei i generici dei Cosmos erano già diffusi;

c) in ogni caso, tale affermazione non potrebbe assumere una valenza di conferma dell’assenza di alternative terapeutiche, rinvenibili invece in prodotti basati su molecole diverse e non necessariamente sulla stessa molecola;

d) sarebbe la stessa Guida Tumori AIRC a evidenziare e suggerire la sostituibilità dei farmaci Cosmos ad un livello più ampio rispetto a quello del singolo principio attivo;

e) la preferenza dei farmaci Cosmos come accertata nel provvedimento, più che discendere da una compiuta analisi terapeutica, deriva dal loro essere un’alternativa a basso costo a farmaci con indicazioni terapeutiche sovrapponibili (quindi potenzialmente sostituti).

Parte appellante ricorda di aver sottoposto all’Autorità, nel corso del procedimento, oltre alle opinioni specialistiche di esperti ematologi italiani e stranieri sulle alternative di trattamento anche con riferimento ai principi attivi (corredate da puntuali indicazioni su modalità di somministrazione e caratteristiche di tollerabilità), una tabella completa recante tutte le alternative per ciascuno dei farmaci Cosmos e per le relative indicazioni di trattamento anche in termini di molecole/principi attivi (persino corroborata dalla panoramica IMS relativa ai prodotti ed alle alternative disponibili in Spagna, ma riferibili anche all’Italia), che l’Autorità avrebbe totalmente omesso di vagliare, in alcun modo verificandone le modalità di azione terapeutica a confronto con quelle dei farmaci Cosmos.

A supporto della propria tesi, parte appellante evidenzia che l’enfatizzato rilievo della modalità di somministrazione dei farmaci Cosmos in compresse da assumere a domicilio, nell’ottica di valorizzarne l’insostituibilità non avrebbe alcun fondamento a fronte della necessità per tutti i pazienti affetti da patologie oncologiche ematiche, ivi inclusi quelli trattati con i farmaci Cosmos, di frequenti ricoveri diurni in ospedale. Non solo, come evidenziato nelle dichiarazioni rese dalla stessa AIFA nel corso del procedimento, i farmaci Cosmos sono utilizzati nell’ambito di diversi schemi di combinazioni chemioterapeutiche multiple, il che avvalora l’importanza di prendere in esame più in generale diversi trattamenti o protocolli di combinazioni di farmaci alternativi, piuttosto che limitarsi a valutare l’efficacia e azione terapeutica degli stessi farmaci in termini di singola molecola/principio attivo.

In definitiva, secondo parte appellante, a dispetto di quanto ravvisato dall’Autorità (e confermato dal T.A.R. per il Lazio), la insostituibilità terapeutica in termini di principio attivo non sarebbe stata affatto corroborata da una adeguata analisi istruttoria.

5.2 – Sotto il profilo più prettamente giuridico, parte appellante critica la sentenza impugnata nel punto in cui afferma che, anche riconoscendo la parziale sostituibilità per alcuni pazienti in combinazione con altri farmaci, la connotazione di insostituibilità per alcune fasi della terapia e per i bambini e gli anziani sarebbe sufficiente a delineare “un distinto mercato”.

Secondo parte appellane, l’Autorità avrebbe, invece, dovuto necessariamente procedere a valutare quanto gli usi terapeutici/gruppi di pazienti per cui veniva sostenuta l’insostituibilità dei farmaci Cosmos incidessero rispetto al totale delle vendite.

In riferimento dalla delimitazione del mercato rilevante, sarebbe inoltre erroneo l’assunto del T.A.R. in merito all’assorbimento dell’analisi economica che, invece, rimane centrale e portante nella valutazione tecnica del mercato rilevante antitrust in adesione ai principi comunitari (cfr. Comunicazione della Commissione Europea sulla definizione del mercato rilevante).

6 - La censura complessivamente considerata è infondata, prendendo spunto da una definizione di mercato rilevante che trascura la fattispecie concreta e lo scopo dell’indagine necessaria alla delimitazione di tale nozione.

In via generale, giova ricordare che la definizione del mercato, sotto il profilo merceologico e geografico, è necessaria per individuare l’ambito nel quale le imprese interessate sono in concorrenza tra loro e le pressioni concorrenziali alle quali le stesse sono sottoposte, in termini di sostituibilità dell’offerta, sostituibilità della domanda e concorrenza potenziale.

Deve, peraltro, osservarsi che gli artt. 2 e 3 della l. 287/1990 non richiedono esplicitamente che venga individuato un mercato rilevante nella valutazione concorrenziale di un’intesa o di un presunto abuso di posizione dominante. In entrambi i casi, le norme fanno riferimento alle restrizioni della concorrenza “all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”. Tuttavia, come è stato autorevolmente osservato, tale inciso attiene più propriamente all’individuazione dell’ambito di applicabilità della legge (nel senso che ne sono escluse quelle fattispecie i cui effetti travalicano i confini nazionali e quelle di importanza trascurabile).

L’esigenza di individuare un mercato rilevante si pone, non di meno, quale presupposto indefettibile per determinare se la condotta indagata abbia la capacità di alterare “in maniera consistente il gioco della concorrenza” e, nel caso specifico di cui all’art. 3, al fine di accertare l’esistenza di una posizione dominante e le eventuali caratteristiche abusive di un determinato comportamento. Ne deriva che l’identificazione di un mercato di riferimento è funzionale alla stessa individuazione delle restrizioni della concorrenza vietate dagli articoli 2 e 3 della legge.

In altri termini, l’individuazione del mercato rilevante va correttamente intesa non come un fine a sé stante, ma come una delle fasi funzionali alla valutazione sotto il profilo concorrenziale della fattispecie. Non è, dunque, corretto un metodo volto a ricercare una definizione assoluta della nozione, dal momento che questa assume un significato relativo, in funzione della specifica indagine che viene in considerazione in rapporto al comportamento che si assume illecito.

In base a tale approccio, l’individuazione del mercato rilevante non è che il passo che precede l’analisi delle condizioni strutturali (ad esempio quote di mercato, grado di concentrazione) del mercato e delle altre informazioni disponibili per valutare se ci sia il rischio di comportamenti anticoncorrenziali o se, specie nei casi di abuso di posizione dominante, tali comportamenti siano stati realizzati.

Al riguardo, è significativa la definizione basilare, rispetto alla quale sono stati poi elaborati i criteri tecnici per la perimetrazione concreta, che individua il mercato rilevante come il più piccolo contesto (in termini di prodotti e di area geografica) in cui, se si creassero condizioni di monopolio, il monopolista potrebbe profittevolmente fissare un prezzo significativamente superiore a quello concorrenziale e mantenerlo per un certo periodo di tempo.

Tale situazione è quella che, anche a prescindere da una valutazione ex ante, si è di fatto pacificamente concretizzata nel caso di specie, con ciò smentendo ogni rilievo dell’appellante circa i criteri utilizzati allo scopo di delimitare il mercato rilevante.

6.1 - Ad ogni buon conto, ribadita la connotazione funzionale della valutazione e tenuto conto dello specifico caso in esame, l’analisi effettuata dall’Autorità è esente dalle critiche rivoltele dalle società.

Come si spiegherà meglio in seguito, appare non solo ragionevole, ma sostanzialmente obbligata la scelta di privilegiare il criterio della cd. sostituibilità sul versante della domanda a scapito di altri criteri, stante la natura dei prodotti che viene in considerazione: farmaci antitumorali.

In base a tale declinazione, il mercato rilevante comprende tutti i beni considerati fungibili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti stessi e dell’uso al quale sono destinati.

Nello specifico, l’attenzione deve essere incentrata soprattutto sulla possibilità per il consumatore di spostarsi su un altro prodotto, rendendo in tal modo non profittevole l’adozione di un prezzo non concorrenziale.

La stessa giurisprudenza europea ha più volte ribadito che: il mercato del prodotto rilevante comprende tutti i prodotti o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati (cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 28 febbraio 2013, Ordem dos Técnicos Oficiais de Contas, C 1/12). Peraltro, tale nozione implica che vi possa essere concorrenza effettiva tra i prodotti o servizi che ne fanno parte, il che presuppone un sufficiente grado di intercambiabilità per lo stesso uso tra tutti i prodotti o servizi che fanno parte dello stesso mercato (Corte di Giustizia, 13 febbraio 1979, Hoffmann-La Roche, C-85/76).

Quanto alla cd. sostituibilità sul lato dell’offerta – a prescindere dal fatto che, già su un piano teorico, non appare così scontato che tale analisi debba essere condotta in sede di delimitazione del mercato rilevante, potendo essere più proficuamente considerata nella successiva fase di valutazione del potere di mercato – la stessa rileva solo a condizione che tale sostituzione sia sincronizzata, a livello temporale, con la sostituibilità sul lato della domanda, richiedendo in genere la sussistenza di una capacità produttiva già esistente o facilmente convertibile.

In riferimento a questo aspetto, la peculiarità del caso di specie impone di tenere conto della necessità del vaglio amministrativo preliminare all’ingresso nel mercato di un farmaco potenzialmente sostituto; tale passaggio amministrativo – e la tempistica ad esso correlata – rappresenta nel caso di specie una barriera all’entrata atta ad escludere nel breve periodo la sussistenza di potenziali concorrenti, e ciò è valevole, come si illustrerà oltre, sia nella valutazione della mercato rilevante (sotto il profilo della sostituibilità dell’offerta), sia nella valutazione del potere di mercato dell’impresa sanzionata.

Le coordinate teoriche innanzi sommariamente ricordate, adeguatamente applicate nello specifico contesto in esame, confermano la bontà della valutazione effettuata dall’Autorità.

6.2 – Come già esposto nella parte in fatto, la condotta di Aspen ha interessato quattro distinti mercati farmaceutici nazionali: i mercati dei farmaci a base di melfalan (Alkeran in compresse e Alkeran in fiale per iniezione); clorambucile (Leukeran); mercaptopurina (Purinethol); tioguanina (Tioguanina), indicati insieme anche come farmaci “Cosmos”.

Il criterio stabilito a livello europeo per la definizione del mercato rilevante nel settore farmaceutico fa riferimento alle classi terapeutiche, come definite dall’azione chimica e dallo scopo terapeutico del medicinale. Tali classi sono sinteticamente riprodotte nell’“Anatomical Therapeutic Chemical classification system” (ATC), che suddivide i farmaci secondo una classificazione di tipo alfa-numerico (articolata in cinque livelli gerarchici, dal più ampio livello ATC 1 al più ristretto ATC 5) delle classi terapeutiche, secondo lo standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Le diverse classi così individuate creano segmenti di mercato distinti, per i quali la sostituibilità tra farmaci è molto bassa.

Come ricordato dalla stessa appellante, la definizione del mercato rilevante in ambito farmaceutico, in base alla indicazione della Commissione, parte normalmente dalla classe III del sistema ATC index.

Deve subito chiarirsi che – stante anche il fatto che la classificazione ATC è figlia di una metodologia che non si pone quale scopo quello dell’analisi antitrust – tale indicazione non riveste per nulla carattere assoluto e vincolante, essendo invece ben possibile che, al ricorrere di determinate circostanze, legate alla specifica patologia che viene in considerazione ed alle esigenze di cure di una determinata classe di pazienti, uno specifico mercato possa corrispondere anche alla classe V dell’ATC index, come avvenuto nel caso di specie.

Di fatto, ben può accadere che, ad esempio, due prodotti che non condividono nemmeno la terza classe dell’ATC index diventino tra loro concorrenti perché utilizzati per la cura delle medesime patologie, così come può accadere che, al contrario, prodotti che condividono diverse classi dell’ATC index non siano impiegati per la cura delle medesime patologie e non diventino mai concorrenti effettivi (cfr. Tribunale UE, 1° luglio 2010, T-321/05, Astra Zeneca e Consiglio di Stato, 12 febbraio 2014, n. 693).

Più quindi affermarsi che la classe III dell’ATC index, in cui confluiscono i farmaci dotati della stessa AIC – in quanto messi in commercio per finalità terapeutiche normalmente omogenee – rappresenta un mero indice, ovvero un punto di partenza dal quale procedere per una verifica dell’effettiva sostituibilità dei prodotti.

In altre parole, richiamando le considerazioni generali già svolte, deve aversi riguardo alla effettiva possibilità di sostituzione per il paziente, potendosi – anzi dovendosi – in base alla scrupolosa indagine di tale aspetto, derogare al criterio di base, laddove questo non risulti di fatto significativo per la delimitazione del mercato rilevante nello specifico caso concreto.

Come già anticipato, è evidente che in tale indagine assume un ruolo centrale la valutazione di sostituibilità dei prodotti dal punto di vista della domanda, da intendere, non certo come astratta possibilità di sostituzione, ma come sostituibilità effettiva (cfr. Tribunale UE, T-427/08; Tribunale UE, T-321/05, Astra Zeneca). E nei mercati farmaceutici, in cui i prodotti sono acquistabili solo dietro prescrizione medica, la domanda è intermediata dalle valutazioni dei medici le quali, molto più delle astratte indicazioni terapeutiche di un farmaco, rappresentano il vero parametro di riferimento per definire il mercato rilevante “poiché i medici prescriventi sono mossi principalmente da considerazioni di opportunità terapeutica e di efficacia dei medicinali” (Consiglio di Stato, 15 luglio 2019, n. 4990; cfr. anche Corte di giustizia, 23 gennaio 2018, C-179/16; Tribunale UE, T-321/05, Astra Zeneca).

In definitiva, deve essere ribadito che, se non esiste una classe di riferimento vincolante in base alla quale le Autorità di concorrenza siano tenute a determinare il mercato rilevante, nulla vieta che uno specifico mercato possa corrispondere alla classe V dell’ATC index.

Anzi, quest’ultima opzione si impone ogni volta che, nei fatti, alla luce delle valutazioni espresse dalla domanda medica, un principio attivo non abbia sostituti effettivi nelle altre specialità farmaceutiche in commercio, le quali non si prestano ad essere usate per gli stessi impieghi cui il principio attivo è preordinato.

Proprio tale ultima evenienza ha caratterizzato la vicenda all’esame del Collegio, dove l’Autorità ha superato la generica classificazione ATC III di agenti alchilanti (Leukeran ed Alkeran) e di antimetabolito (Purinethol e Tioguanina) per pervenire all’individuazione di un mercato rilevante più specifico, isolando il singolo principio attivo. Il precipitato fattuale dell’analisi svolta è stata la definizione di quattro distinti mercati rilevanti, nominalmente al livello ATC V (principi attivi Melfalan, Clorambucile, Mercaptopurina, Tioguanina), all’interno di ciascuno dei quali era rinvenibile il solo farmaco Cosmos, basato sul principio attivo corrispondente (rispettivamente: Alkeran, Leukeran, Purinethol, Tioguanina).

6.3 - Superato tale primo rilievo, un punto decisivo del presente giudizio ruota intorno all’effettiva sostituibilità terapeutica (o meno) dei predetti farmaci.

Al riguardo, l’indagine effettuata dall’Autorità in sede procedimentale appare completa e scrupolosa, attenta anche ai contributi scientifici provenienti dalla stessa società.

L’ampia istruttoria ha messo in luce che per ciascuno dei principi attivi non esistevano prodotti sostituibili, ovvero medicinali alternativi, in quanto le caratteristiche dei principi attivi in esame (incluso il bassissimo livello di tossicità e assenza di effetti collaterali di rilievo) hanno reso ciascuno di essi non sostituibile con gli altri principi attivi in commercio.

Tale assunto trova conforto in plurime e differenti fonti scientifiche, quali i pareri tecnici forniti dagli ematologi della fondazione indipendente GIMEMA, dalla “Guida ai tumori Airc”, nonché dal Comitato Tecnico Scientifico di AIFA.

In base a tali risultanze, i principi attivi dei farmaci Cosmos presentano caratteristiche – elevata tollerabilità, minore incidenza di effetti collaterali alla terapia, formulazione che non vincola alla ospedalizzazione, distribuzione tramite la rete di farmacie territoriali – che li rendono indispensabili per il paziente affetto dalle leucemie e insostituibili con altre specialità medicinali in commercio, specie per determinate popolazioni di pazienti e in precise fasi della terapia.

Le patologie in questione – come almeno in parte confermato anche nei pareri degli esperti prodotti da Aspen – sono, in particolare, la Leucemia linfoblastica acuta (per Purinethol e Tioguanina), la Leucemia linfocitica cronica (per il Leukeran) e il mieloma multiplo (che è la principale malattia curata dall’Alkeran impiegato anche nei linfomi c.d. non Hodgkin).

In particolare, considerato che le menzionate patologie sono tipiche dell’anziano o del bambino, la tollerabilità particolarmente elevata unitamente alle altre rilevate caratteristiche, secondo i citati contributi tecnico-scientifici, hanno reso i farmaci Cosmos essenziali nella terapia domiciliare di tale porzione della popolazione.

Come detto, l’Autorità ha tenuto in considerazione anche i pareri prodotti dalla stessa Aspen nel corso dell’istruttoria, i quali, a differenza di quanto sostenuto nell’atto di appello, non hanno affatto contraddetto in modo perentorio le valutazioni degli esperti consultati dall’Autorità.

In definitiva, in base alle diverse fonti mediche consultabili, risulta adeguatamente provato l’assunto che i prodotti Cosmos – pur risultando intercambiabili con altri farmaci per alcuni pazienti – sono essenziali e non sostituibili per la cura, specie nella fase domiciliare della terapia, di specifiche categorie di pazienti come bambini ed anziani.

6.4 - Tale fascia della popolazione ben può delimitare i confini del mercato rilevante allo scopo dell’indagine anticoncorrenziale, rappresentando una porzione comunque sufficientemente significativa della popolazione complessiva all’interno della quale Aspen ha potuto agire da monopolista senza il timore che i consumatori – e cioè i pazienti – dirottassero le proprie scelte verso altri prodotti.

6.5 - La difesa dell’Autorità ha ben evidenziato che anche i nuovi documenti depositati in giudizio da Aspen, in cui sarebbero indicate terapie alternative, sono inconferenti, in quanto successivi alla negoziazione tra Aspen ed AIFA, smentendo anche in modo puntuale la loro valenza, che non risulta idonea a scalfire l’assodata insostituibilità terapeutica dei farmaci nel momento della loro negoziazione.

Più precisamente, trattasi: a) di farmaci immessi in commercio successivamente alla chiusura del procedimento (settembre 2016) o comunque successivamente all’accordo con cui sono stati approvati i prezzi accertati dall’Autorità come iniqui (aprile 2014); b) di medicinali in formulazione farmaceutica diversa dai Cosmos: soluzioni iniettabili o per infusione venosa che non possono rappresentare un valido sostituto nell’ambito di una terapia domiciliare, oltre a comportare una maggiore tossicità; c) di protocolli terapeutici basati sulla combinazione di più farmaci con diversi principi attivi, che riguardano altre patologie e/o distinte fasi della terapia (es. fase di prima linea).

In ogni caso, a prescindere dalla loro ammissibilità dal punto di vista processuale, deve evidenziarsi che le linee guida della European Society for Medical Oncology (ESMO), così come il cd. studio Oxera, sono stati elaborati successivamente alla contrattazione tra parte appellante ed AIFA.

Il fatto che le stesse non riportano nuove “scoperte” mediche, ma descrivono anche prassi terapeutiche antecedenti all’adozione del provvedimento impugnato, non sposta i termini della questione, dal momento che anche l’ipotetica non coerenza dell’analisi di sostituibilità effettuata dall’Autorità con l’oggettiva sussistenza di cure alternative non pare assumere la rilevanza determinante che vorrebbe farle assumere parte appellante.

Al riguardo, valgono le considerazioni generali già svolte (punto 6) in cui si è precisato che l’individuazione del mercato rilevante va correttamente intesa non come un fine a sé stante, ma come una delle fasi funzionali alla valutazione sotto il profilo concorrenziale della fattispecie.

Ne consegue che la prospettazione della difesa di Aspen, da un lato, non risulta coerente con la finalità in base alla quale deve essere ricavata la nozione di mercato rilevante come innanzi precisata, dall’altro, trascura la peculiare situazione di fatto sussistente nel periodo della contrattazione, accertata in modo scrupoloso dall’Autorità, che rende esente da ogni rilievo l’individuazione del mercato rilevante così come delineato nel provvedimento impugnato.

Come ben messo in luce, in ambito nazionale (ma non solo) all’epoca dei fatti vi era la sostanziale convinzione, confermata in parte degli stessi consulenti di Aspen, che i farmaci in questione fossero non sostituibili per una data classe di pazienti. Tale diffusa convinzione, che come già evidenziato si basa su plurimi e concordanti pareri scientifici, anche a prescindere dalla sussistenza di altri protocolli o medicinali in uso altrove, vale a circoscrivere il mercato rilevante nello specifico caso di specie, essendo su tali basi – ovvero la generalizzata e razionale convinzione soggettiva circa l’insostituibilità dei farmaci – che si è determinata la dinamica della domanda e dell’offerta nel relativo mercato.

Del resto, la stessa teoria economica, nell’analisi della domanda di un determinato prodotto, non assume affatto un approccio prettamente oggettivo in termini di sostituibilità dello stesso, ben potendo rilevare anche componenti soggettive, legate al fatto che le decisioni dei consumatori sono frutto anche di condizionamenti sociali e di convinzioni diffuse in uno specifico contesto spazio-temporale.

È indicativo di tale assunto il fatto che, durante la fase procedimentale, gli stessi consulenti della società si siano espressi, quanto meno in parte, in sintonia con le conclusioni degli esperti consultati dall’Autorità.

Non può poi non evidenziarsi che, su un piano logico, tale dato appare l’imprescindibile presupposto della condotta abusiva posta in essere dalla società che, di fatto, si è concretizzata con l’abnorme aumento dei prezzi, che non avrebbe avuto alcuna possibilità di verificarsi in presenza di alternative concretamente percorribili.

Per le stesse ragioni, anche i rilievi facenti leva sul fatto che all’estero per alcuni dei farmaci in discorso sarebbe stato già diffuso il relativo generico, stante la peculiarità del settore che viene in considerazione, non sono sufficienti a screditare l’impianto posto alla base del provvedimento impugnato (sul punto vedasi oltre ed in particolare il punto 8.3).

Non deve, inoltre, trascurarsi un altro aspetto, particolarmente pregnante nella valutazione della sostituibilità del prodotto nello specifico ambito in esame, e cioè l’esigenza di continuità terapeutica, che determina plausibilmente una forte rigidità della domanda anche in presenza di (sopraggiunte) alternative terapeutiche data la cd. “resistenza al cambiamento” da parte del paziente.

Infine, non risulta convincente la prospettazione di parte appellante, secondo cui la flessione delle vendite – peraltro diversamente quantificata da Aspen (37%) e dall’Autorità (20%) – a seguito del rialzo dei prezzi dei farmaci Cosmos, sarebbe prova certa della presenza di validi sostituti sul mercato.

Al riguardo, il provvedimento impugnato individua una condivisibile spiegazione logico-economica del fenomeno in una plausibile conseguenza della riduzione delle esportazioni parallele a seguito dell’aumento del prezzo.

6.6 – In considerazione degli assunti che precedono, non coglie nel segno neppure la dedotta mancata considerazione della pressione concorrenziale esercitata dalle alternative terapeutiche esistenti per gli altri gruppi di pazienti e per le altre indicazioni terapeutiche, che avrebbe imposto di valutare quanto le categorie di pazienti e le indicazioni terapeutiche con riferimento alle quali è stata sostenuta l’insostituibilità dei farmaci Cosmos incidessero sul totale delle vendite.

Anche rispetto a quest’ultimo rilievo vale ribadire la peculiarità del caso in esame, dove viene in considerazione un mercato all’interno del quale, stante la rigidità della domanda, per una determinata classe di consumatori, all’aumento eccessivo del prezzo corrisponde il rischio di essere esclusi dal mercato, senza la possibilità di passare ad altre alternative, con gli effetti catastrofici che ciò implicherebbe, stante l’uso a cui è rivolto il farmaco.

Pertanto, la verifica degli effetti dell’aumento del prezzo su altri mercati rientra certamente nell’ambito delle valutazioni commerciali dell’impresa, ma non attiene alla delimitazione del mercato rilevante ai fini del presente giudizio, dove ciò che rileva è la possibilità di alterare il gioco della concorrenza, come in effetti si è verificato.

6.7 - Tale circostanza vale anche a superare il rilevo circa la mancata verifica della sostituibilità dei farmaci Cosmos con altri prodotti sotto il profilo economico.

Sul punto, deve invero ribadirsi che una volta dimostrata l’insostituibilità di un farmaco sotto il profilo terapeutico, non rimane alcuno spazio per verificare se esistano prodotti “comparabili” sotto il profilo del prezzo.

Anche la recente giurisprudenza europea ha avuto modo di argomentare nel senso che le prescrizioni mediche solitamente non si basano su valutazioni di prezzo, bensì sugli effetti terapeutici del farmaco, sulle caratteristiche del paziente e sulle esperienze passate dello stesso medico prescrittore; ne consegue che un’analisi delle componenti concorrenziali nel settore farmaceutico deve prendere in considerazione soprattutto gli aspetti qualitativi (“non-price competitive factors”) (cfr. T-691/14 Servier SAS).

6.8 - Alla luce delle considerazioni svolte, stante l’esaustività dell’indagine condotta dall’Autorità e l’assenza di precise e specifiche diverse opzioni collocabili al momento in cui AIFA contrattava con Aspen – fermo il principio che anche elementi valutativi e complessi, quale quello della sostituibilità di una determinata cura, assumono all’interno della fattispecie contestata la dimensione oggettiva di “fatto storico” accertabile in via diretta dal giudice amministrativo, se del caso a mezzo dell’ausilio di esperti – non appare necessario approfondire tale aspetto tramite un’attività istruttoria.

Invero, come già accennato, stante lo scopo dell’indagine e la ricordata nozione strumentale di mercato rilevante, la sussistenza di cure alternative per le medesime patologie deve essere collocata temporalmente al momento della contrattazione con AIFA, essendo irrilevante la successiva evoluzione della ricerca.

Non solo, anche l’ipotetica sussistenza, già all’epoca della contrattazione, di talune cure potenzialmente alternative non appare determinante, posto che ciò che rileva, in sintonia con lo scopo dell’indagine e la peculiarità del prodotto farmaceutico, la cui domanda come già messo in luce è intermediata dalla valutazione del medico prescrittore, è la percezione della parte preponderante della comunità scientifica nazionale e di AIFA circa la non sostituibilità dei farmaci in questione per una determinata classe di pazienti. Tale aspetto è stato accuratamente indagato dall’Autorità, giungendo agli accennati incontrovertibili risultati. E si è già detto della parziale conferma degli stessi da parte degli stessi consulenti di Aspen i quali, in sede procedimentale, non hanno comunque saputo indicare in modo specifico delle soluzioni differenti.

6.9 - Alla luce delle considerazioni che precedono, deve convenirsi con il T.A.R. che ha ritenuto non sussistenti, nel caso in esame, i presupposti per aderire alla richiesta di parte ricorrente di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, affinché si pronunci sulla possibilità di determinare, in applicazione dell’art. 102 TFUE, il mercato rilevante in maniera autonoma rispetto al contenuto delle Autorizzazioni all’Immissione in Commercio (AIC), stante la non rilevanza della questione per la soluzione del caso all’odierno esame.

7 - Con il secondo motivo di appello si contestano le statuizioni della sentenza di primo grado tese a disattendere il terzo motivo di gravame ove si era dedotto che, anche a prescindere dalla irragionevole definizione del mercato rilevante, non sarebbe stato comunque legittimamente attribuibile ad Aspen un potere di mercato e, quindi, una dominanza ai sensi dell’art. 102 TFEU.

Secondo l’appellante, l’attribuzione ad Aspen di una posizione dominante sarebbe del tutto ingiustificata laddove si consideri che:

a) Aspen ha acquistato i farmaci Cosmos solo nel 2009 e ha potuto commercializzarli in Italia assai più tardi, addirittura riottenendo da AIFA la titolarità dell’AIC per tali prodotti solo nel marzo 2013;

b) si tratta di farmaci non coperti da alcuna protezione brevettuale da più di 50 anni e sostituibili anche per il trattamento delle patologie di anziani e bambini;

c) non vi erano barriere all’ingresso rispetto alla commercializzazione in Italia di tali farmaci sotto il profilo regolatorio/normativo o economico e l’unica sostanziale barriera sarebbe stata rappresentata dai prezzi troppo bassi vigenti prima della negoziazione con AIFA;

d) la commercializzazione di generici dei Cosmos in altri paesi europei consentiva ragionevolmente di escludere la sussistenza di un monopolio di Aspen per queste molecole;

e) il potere della domanda rappresentata da AIFA, quale regolatore di settore, avrebbe preteso un corrispettivo allineato ai prezzi più bassi dell’Unione europea per tali farmaci.

8 - La censura è infondata.

Appare in gran parte assorbente quanto già argomentato a proposito del primo motivo di censura: la condotta di Aspen si è perpetrata in un contesto caratterizzato dalla completa mancanza sia di specialità terapeutiche alternative ai farmaci Cosmos nella cura delle patologie per le quali questi erano impiegati, sia dalla mancanza in Italia di versioni generiche dei prodotti distribuiti da Aspen.

8.1 – Una posizione dominante è ravvisabile quando l’impresa, grazie al suo potere di mercato, può attuare pratiche ed ottenere benefici che non potrebbe conseguire in un contesto competitivo.

Ai fini della presente indagine, è evidente il legame tra il concetto di potere di mercato con quello, a rigore successivo, di abuso di tale potere, nel senso che intanto può predicarsi la sussistenza di un potere di mercato in quanto è possibile che la impresa che lo detiene sia in grado di abusarne.

In questo senso l’analisi deve considerare che l’illecito in esame punisce quell’impresa che, stante la propria forza di mercato, si insinua nella dinamica concorrenziale al fine di minarla a proprio vantaggio, a danno dei concorrenti o, come nel caso di specie, a danno dei consumatori.

Richiamando i fatti che caratterizzano la vicenda, ciò è quanto si è di fatto verificato nel caso in esame, non potendosi pertanto mettere in discussione la sussistenza di un reale potere di mercato di Aspen, assimilabile per certi versi a quello di un monopolista.

8.2 - Le censure delle appellanti al riguardo sono incentrate sostanzialmente sulla insussistenza di barriere all’entrata nel mercato di riferimento, da cui l’impossibilità di configurare una effettiva posizione di dominanza, in quanto Aspen era soggetta alla pressione concorrenziale dei potenziali entranti, produttori di farmaci generici.

Al riguardo, vale quanto già accennato: al fine di valutare se determinate imprese assenti da un mercato si trovino in un rapporto di concorrenza potenziale con un’impresa già presente su tale mercato, occorre determinare se esistano possibilità reali e concrete che le prime entrino in detto mercato e facciano concorrenza alla seconda.

Seppur detto criterio non richieda la dimostrazione della certezza che il potenziale concorrente entrerà effettivamente sul mercato interessato e, ancor meno, che sarà in grado, in seguito, di operarvi stabilmente, deve escludersi che un rapporto di concorrenza potenziale possa derivare dalla sola possibilità, meramente ipotetica, di un ingresso nel mercato, ovvero, per quanto riguarda lo specifico caso in esame, da una semplice volontà del produttore di medicinali generici in tal senso.

Ai fini della valutazione delle probabilità effettive di ingresso dei generici nel mercato assume, dunque, una particolare rilevanza il fatto che l’impresa produttrice avesse adottato, o avesse comunque in corso, le necessarie misure preparatorie sufficienti a consentirgli di entrare nel mercato di cui trattasi entro un periodo di tempo idoneo, solo così può affermarsi che questa esercitasse una pressione concorrenziale sul produttore di farmaci originari.

Non solo, la valutazione dell’esistenza di una concorrenza potenziale deve essere effettuata alla luce della struttura del mercato e del contesto economico e giuridico che ne disciplina il funzionamento.

Tanto precisato, per quanto riguarda il settore farmaceutico e, più in particolare, l’apertura del mercato ai produttori di medicinali generici, occorre tenere debitamente conto dei vincoli normativi che caratterizzano tale specifico settore.

A livello europeo viene in considerazione l’articolo 6 della direttiva 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, in base alla quale nessun medicinale può essere immesso in commercio in uno stato membro senza che un’AIC sia stata rilasciata dalle autorità competenti di detto Stato membro oppure senza un’autorizzazione rilasciata a norma del regolamento (CE) 726/2004, che istituisce procedure comunitarie per l’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario.

Nel novero delle attività preparatorie necessarie a consentire al produttore del generico, concorrente potenziale, di entrare nel mercato di cui trattasi devono, dunque, essere annoverate anche quelle volte a disporre, entro un termine ragionevole, delle autorizzazioni amministrative richieste per la commercializzazione della versione generica del medicinale (AIC).

8.3 - Nel caso in esame, l’idea che versioni generiche dei Cosmos fossero in grado di fare un tempestivo ingresso nei mercati italiani non era credibile (e difatti ciò non è accaduto), in quanto per nessuno dei prodotti risultavano in corso procedure per il rilascio di AIC di generici dei farmaci Aspen. Ai fini dell’ingresso del generico devono, inoltre, considerarsi i tempi tecnici necessari alla registrazione.

Al riguardo, la giurisprudenza ha ribadito la necessaria sussistenza di un “sufficiente grado di intercambiabilità tra il farmaco originario e i medicinali generici interessati. Ciò si verifica se i fabbricanti di medicinali generici interessati sono in grado di presentarsi a breve termine sul mercato interessato con una forza sufficiente per costituire un contrappeso serio al produttore del farmaco originario già presente sul mercato” (Corte di Giustizia, 21 febbraio 1973, Europemballage et Continental Can, C-6/72).

Sul punto, l’Autorità ha chiarito che, anche ammesso che i fornitori dei generici esistenti dopo gli aumenti dei prezzi dei Cosmos ritenessero profittevole entrare nel mercato italiano, i relativi tempi di ingresso sarebbero stati comunque molto lunghi (circa 3 anni), posto che all’epoca della negoziazione con AIFA nessun genericista (produttore di medicinali non branded) aveva ancora fatto domanda di AIC per entrare nel mercato italiano.

In riferimento all’aspetto della tempistica di ingresso – che l’appellante ritiene “tempestivo” e, dunque, idoneo ad esercitare una pressione concorrenziale sufficiente in conformità agli “Orientamenti relativi alla valutazione delle concentrazioni orizzontali a norma del regolamento del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese, GUUE C 31, 5.2.2004” - si richiamano le considerazioni già svolte, dovendosi ribadire come tale tempistica debba essere sincronizzata con la tempistica di sostituzione sul lato della domanda, che nel caso di specie, trattandosi di farmaci salvavita, non è certo immediata e di agevole attuazione per le ragioni già esposte.

L’applicazione dei modelli economici circa la sostituibilità del prodotto non può essere acritica ed avulsa dalle specificità del caso concreto. Al riguardo, deve rimarcarsi come si sia al cospetto di un prodotto alquanto specifico e, dunque, ogni considerazione, anche di tipo economico, quale l’ipotetica assenza di barriere all’ingresso o la sussistenza di potenziali concorrenti operanti su altri mercati europei, non può che confrontarsi con l’esigenza della necessaria immediata disponibilità del farmaco, non sostituibile, per i pazienti che ne abbisognano. È in questa prospettiva che deve essere correttamente declinata la nozione di “ingresso tempestivo” dei concorrenti.

8.4 - Da tali assunti emerge inequivocabilmente che Aspen al momento della contrattazione non era soggetta ad alcuna effettiva pressione concorrenziale, neppure potenziale, stante la peculiarità dei prodotti in questione.

La non procrastinabile necessità di disporre dei farmaci assorbe anche gli ulteriori aspetti atti a verificare la sussistenza di concorrenti potenziali, quali i costi di entrata e la profittabilità del mercato, sui quali in ogni caso il provvedimento si è adeguatamente soffermato.

Per le stesse ragioni, non appare dirimente, al fine di escludere una posizione di dominanza dell’appellante, il fatto che alcuni genericisti siano oggi effettivamente entrati nel mercato nazionale.

Peraltro, per due dei farmaci in questione (Tioguanina e Leukeran) nessun generico è entrato nel mercato italiano; mentre, la commercializzazione ha avuto inizio solo nel gennaio 2018 per il generico dell’Alkeran e nell’ottobre 2018 per Xaluprine, generico del Purinethol.

8.5 - Le considerazioni già svolte valgono anche a confermare la valutazione del T.A.R. che, pur riconoscendo la specialità del mercato in questione, regolato e con la presenza di un acquirente pubblico come AIFA, ha correttamente ritenuto che nel caso della negoziazione dei Cosmos il rapporto negoziale era squilibrato a favore della società, in ragione della natura dei farmaci, insostituibili per la cura di determinati pazienti.

Tale conclusione non si pone in contraddizione con l’assunto generale secondo cui “un prezzo notevolmente superiore a un prezzo competitivo è meno probabile che si verifichi nei mercati in cui è presente un regolatore settoriale il cui compito è, tra l’altro, quello di fissare o controllare i prezzi praticati dalle imprese attive in tale settore”; tale condivisibile impostazione deve, infatti, essere verificata nel singolo caso concreto, non potendosi ammettere un automatismo tra sussistenza di un mercato regolato e non configurabilità di un potere di mercato da parte di un’impresa che vi opera, come meglio di seguito precisato (in particolare vedasi punti 10.1 e seguenti).

9 - Con il terzo motivo di appello si contesta la prospettazione del provvedimento, non censurata dal T.A.R., rispetto alla ravvisata strategia di pressione negoziale di Aspen nei confronti di AIFA, che avrebbe consentito di ottenere i prezzi iniqui dei farmaci Cosmos.

Giova esaminare sin da ora anche il quarto motivo di appello, con cui si censura il capo della sentenza del T.A.R. per il Lazio che ha respinto il quinto motivo del ricorso di primo grado, relativo alla ravvisata qualificazione delle condotte di Aspen come abusive ai sensi dell’art. 102 TFUE.

A tal fine, l’appellante deduce:

a) di aver agito nel pieno rispetto delle norme applicabili e ciò anche in rifermento alla iniziale richiesta di riclassificazione dei farmaci Cosmos, posto che è lo stesso art. 6 della Delibera CIPE 3/2001 a prevedere che, in caso di mancato accordo tra AIFA e azienda sul prezzo, il farmaco viene comunque classificato in fascia C;

b) che Aspen non avrebbe mai lasciato i pazienti italiani privi dei farmaci Cosmos, ricordando che il titolare di AIC può legittimamente decidere di interrompere le forniture, anche per motivi commerciali, conformemente all’articolo 34 del D. Lgs. 219/2006, purché per un periodo limitato a 3 anni (art. 38, comma 7, dello stesso D. Lgs. 219/2006), e nel contempo definire con l’autorità di regolazione il modo migliore per garantire l’approvvigionamento di confezioni estere per soddisfare la domanda dei pazienti;

c) che non è stato rinvenuto alcun elemento di prova in relazione al fatto che Aspen abbia intenzionalmente causato, con l’uso strumentale del proprio “Oncology Allocation Programme”, l’indisponibilità dei farmaci Cosmos in Italia nel periodo della negoziazione per indurre AIFA ad accettare le proprie proposte di revisione dei prezzi;

d) che la lettera del 14 ottobre 2013 non avrebbe alcun contenuto intimidatorio, limitandosi a sollecitare la definizione del negoziato in termini coerenti con il limite massimo di 180 giorni previsto dal Decreto Balduzzi (art. 12 del D.L. 158/2012).

Alla luce di tali rilievi, secondo l’appellante, non sussisterebbero gli elementi costituitivi dell’abuso del diritto né di una condotta in violazione dell’art. 102 TFUE.

10 - Anche tale censura, nelle sue plurime articolazioni, è infondata.

Sul punto, deve rammentarsi che la sussistenza di una posizione di dominio sul mercato – indiscutibilmente sussistente nel caso di specie per le ragioni già esposte – non è di per sé illecita o censurabile; ciò che è vietato è l’abuso di tale posizione (cfr. Commissione Europea, Casi AT.40220 Qualcomm, premi di esclusiva; AT.39711 Qualcomm, comportamento predatorio; su cui, v. la sentenza del Tribunale (Seconda Sezione) del 9 aprile 2019 Qualcomm, Inc. e Qualcomm Europe, Inc. contro Commissione europea). In questo senso è stato evidenziato che l’impresa, acquisita una posizione di dominanza, assume una sorta di speciale responsabilità, dovendo adoperarsi per non incidere, distorcendola, la libera competizione del relativo mercato di riferimento (cfr. Corte di Giustizia, Nederlandsche Banden – Industrie Michelin NV, C-322/81).

Tale assunto comporta, di fatto, una limitazione della libertà economica dell’impresa dominante, tra cui rientra quello di fissare il prezzo di vendita di un prodotto. Per tale ragione, come già accennato, le condotte potenzialmente abusive devono essere attentamente verificate alla stregua del principio di proporzionalità, dovendosi scongiurare che l’intervento dell’Autorità possa, in ipotesi, costituire un deterrente allo sviluppo di nuovi prodotti, o tecniche commerciali, suscettibili di rappresentare un beneficio per i consumatori.

Sotto tale profilo, nel caso in esame, l’Autorità ha correttamente calibrato il proprio intervento, dal momento che dalla condotta dell’impresa non sono derivati che effetti negativi per il sistema complessivo della sanità pubblica, ponendo a rischio la fornitura dei farmaci ed aggravando l’esborso economico necessario per garantire le cure salvavita per una determinata classe di pazienti, senza che sia emerso alcun attuale, o potenziale, beneficio che potesse in ipotesi giustificare prezzi così elevati.

10.1 - Al fine di scongiurare ogni equivoco tra abuso del diritto e imposizione di prezzi iniqui, richiamando le considerazioni già svolte al punto 3.1, deve ricordarsi che la condotta che il provvedimento imputa ad Aspen consiste nell’imposizione di prezzi iniqui attraverso una negoziazione finalizzata al perseguimento della strategia abusiva.

Pur considerandosene la specialità e la criticità, si è già detto che non osta all’intervento dell’Autorità antitrust il fatto che il mercato in questione sia regolato, potendo venire comunque in considerazione condotte volte a strumentalizzare o manipolare gli strumenti di regolazione per restringere le dinamiche concorrenziali (cfr. Corte di Giustizia, 14 ottobre 2010, C-280/08, Deutsche Telekom; Consiglio di Stato, 12 febbraio 2014, n. 693).

Dal punto di vista metodologico, deve inoltre ricordarsi che l’analisi delle condotte poste in essere dalla società non deve essere frammentata ed analizzata secondo una prospettiva atomistica, che ben può condurre a ravvisare la conformità delle stesse, singolarmente considerate, alle norme di settore.

Come più volte sottolineato dalla giurisprudenza, nell’accertamento degli illeciti antitrust deve invece essere privilegiata una visione di insieme (cfr. Consiglio di Stato, 15 maggio 2015, n. 2479; Consiglio di Stato, 24 settembre 2012, n. 5067).

Risulta particolarmente aderente al caso in esame, il principio in base al quale l’abuso di posizione dominante può risultare da un insieme di atti che se singolarmente valutati sarebbero leciti, ma che acquisiscono la loro illiceità per il fatto di inserirsi in una strategia complessivamente abusiva (cfr. Consiglio di Stato, n. 1673 del 2014 e n. 693 del 2014).

Appare, pertanto, irrilevante il fatto che nei singoli segmenti della contrattazione Aspen si sia attenuta alle specifiche disposizioni di legge, dovendosi invero considerare la vicenda nella sua globalità.

10.2 - Oltre a tali premesse di carattere teorico, nell’indagare il connotato abusivo che hanno assunto le azioni della società, appare opportuno richiamare le considerazioni già svolte circa le caratteristiche dei farmaci in discorso, quali farmaci salvavita indispensabili perché privi di sostituti.

Per tale ragione, AIFA ha rappresentato che la richiesta di riclassificazione formulata da Aspen, in quanto indirizzata a tale tipologia di farmaci, configurava “una circostanza del tutto eccezionale”, posto che “il passaggio in fascia C implica infatti che i farmaci sono messi in commercio a prezzo totalmente libero e a carico del paziente, ossia secondo un regime che non si addice a farmaci salvavita ed insostituibili”.

Sul punto, deve rimarcarsi come tale valutazione di AIFA appare assolutamente coerente con l’attuale ordinamento giuridico nazionale, stante la preminenza del diritto alla salute che impone di “garantire cure gratuite anche agli indigenti” (art. 32 Cost.), non potendosi pertanto ipotizzare la rinuncia al mantenimento dei farmaci Cosmos nell’ambito del SSN, stante il loro carattere essenziale e la conseguente eventualità di esporre i pazienti al rischio di non poter più accedere a cure salvavita.

Tale precisazione aiuta a delineare la reale portata della condotta che, come detto, ai fini della presente indagine, non deve essere valutata in modo avulso dal contesto nel quale si inserisce.

10.3 - La sussistenza di un “comportamento aggressivo dell’impresa volto a mettere AIFA sotto pressione” risulta confermata dall’inequivoco tenore della corrispondenza intercorsa tra le parti.

Al riguardo, deve richiamarsi la scrupolosa disamina svolta dal T.A.R.; in questa sede ci si limita a focalizzare l’attenzione sulle evidenze documentali più rappresentative dell’intento perseguito da Aspen:

a) la lettera del 14 ottobre 2013 in cui Aspen si dichiarava disponibile a mantenere i farmaci Cosmos in regime di rimborso, purché AIFA fosse disposta ad accettare “in tempi brevi” un “aumento significativo” dei prezzi vigenti, da definire “entro stretto giro (novembre 2013)”, insistendo, in caso contrario per il passaggio alla fascia C, precisando che “la scrivente procederà tempestivamente ai sensi di legge a comunicare l’interruzione della commercializzazione in Italia dei prodotti, a far data da gennaio 2014”;

b) lo scambio di mail del 5 dicembre 2013, nel quale si ribadisce che: “è stato detto all’AIFA che Aspen è disposta a negoziare ma che fornirà i prodotti solo fino a gennaio (come da lettera inviata) (...) se un accordo che fissi i prezzi pari a quelli applicati in Germania non può essere raggiunto allora si dovrà insistere (“push hard”) per ottenere la riclassificazione di tutti i farmaci in fascia C così da avere mano libera sui prezzi di vendita (...) se neanche questo obiettivo può essere raggiunto allora daremo inizio all’interruzione delle forniture a partire da gennaio e fino a che la questione sarà risolta – l’Italia dovrà così procurarsi i farmaci da altri paesi dell’Unione pagandoli i nuovi prezzi lì vigenti (...)”;

c) dopo la formulazione dei prezzi dei Farmaci Cosmos, nella riunione del 13 dicembre 2013, AIFA riteneva gli aumenti proposti dall’azienda “non sostenibili per il SSN” e richiedeva una nuova proposta di prezzo in considerazione delle indicazioni emerse nel corso dell’incontro; ciononostante, Aspen reiterava la richiesta di riclassificazione e la seconda proposta di prezzo, discussa durante l’incontro del 29 gennaio 2014, si rivelava sostanzialmente identica, tanto che AIFA riscontrava anche la non osservanza delle indicazioni formulate nell’incontro precedente (l’accordo negoziale sui nuovi prezzi Aspen sarà poi siglato due giorni dopo, il 31 gennaio 2014, ed approvato da AIFA con determina del 17 marzo 2014).

10.4 – Alla luce dei richiamati elementi di prova, appare dunque credibile che Aspen abbia più volte reiterato la richiesta di passaggio alla fascia C dei farmaci Cosmos ben sapendo che AIFA non poteva non mantenere quei farmaci, essenziali e salvavita, in regime di rimborso e che quindi, proprio per questo, la sua richiesta, metteva in difficoltà e sotto pressione l’Agenzia.

In tale contesto è del tutto inconferente il richiamo ai “poteri” di AIFA come quello di declassamento dei farmaci. Si è già detto della cautela che deve caratterizzare l’esercizio di tale facoltà, tanto più che nel caso in esame si è al cospetto di farmaci essenziali salvavita; tanto è vero che, non solo AIFA non ha esercitato il potere di declassamento, ma al contrario ha subito la minaccia di declassamento volontario da parte di Aspen come leva negoziale.

10.5 - L’Autorità ha, inoltre, rappresentato che la negoziazione si era svolta in un contesto reso critico da situazioni di carenza dei farmaci Cosmos, frutto di una gestione strategia dei quantitativi di prodotto immesso nel mercato, che avevano creato timori e preoccupazione tra i pazienti, i presidi farmaceutici e la stessa Agenzia.

Alla luce delle considerazioni già svolte, appare finanche secondario e non determinante quest’ultimo aspetto, ovvero l’appurare se durante le trattative Aspen abbia deliberatamente creato una situazione di difficile reperibilità del farmaco, dovendosi peraltro osservare che dall’istruttoria è emerso incontrovertibilmente che nel periodo antecedente ai nuovi prezzi i quantitativi destinati all’Italia erano inferiori alla domanda effettiva (par. 376 provv.).

10.6 – Tenuto conto delle precisazioni che precedono, conformemente alla conclusione rassegnata nel provvedimento impugnato, deve confermarsi che la complessa strategia negoziale posta in essere da Aspen risulta chiaramente finalizzata ad utilizzare il proprio potere di mercato per esercitare una forte pressione sulla controparte negoziale ed imporre l’aumento dei prezzi dei farmaci Alkeran, Leukeran, Purinethol e Tioguanina, strumentalmente abusando del proprio diritto alla negoziazione.

11 – Appare maggiormente critico, quanto meno all’apparenza, l’aspetto legato alla censura con cui l’appellante ha negato la supposta iniquità dei prezzi, contestando l’analisi economica attraverso la quale l’Autorità è pervenuta a tale conclusione.

A questo proposito, parte appellante contesta l’assunto posto alla base della valutazione effettuata dall’Autorità, e cioè che per appurare l’eccessività del prezzo nel caso di specie sarebbe applicabile solo il metodo di analisi basato sull’analisi dei costi, a fronte di autorevole giurisprudenza che ha riconosciuto l’esistenza di altri metodi di analisi, che sono stati concretamente applicati in numerosi precedenti (l’appellante cita il caso C-177/16 dove la Corte ha confermato l’adeguatezza del metodo consistente nel confrontare le tariffe con quelle applicabili negli Stati confinanti e in altri Stati membri).

La società prospetta che l’Autorità, anche considerati i limiti intrinseci dei diversi metodi a disposizione, avrebbe comunque dovuto confrontare i vari metodi, o avrebbe perlomeno dovuto valutare i metodi sviluppati da Aspen nel corso del procedimento che dimostravano l’adeguatezza dei prezzi rispetto al valore economico dei prodotti.

11.1 - A supporto della propria prospettazione, Aspen richiama la necessità di considerare anche altri indicatori, oltre ai costi, quali:

a) l’esistenza di elevate barriere all’ingresso o all’espansione (“un prezzo non può essere facilmente fissato in modo significativo al di sopra del livello concorrenziale quando il mercato non è protetto da rilevanti barriere all’ingresso o all’espansione”);

b) la presenza di un regolatore di settore (che rende “improbabile che si raggiunga un prezzo notevolmente superiore a un prezzo concorrenziale”);

c) la difficoltà per l’impresa di sfruttare la propria posizione quando si trova a dover negoziare con acquirenti “di spessore”.

11.2 - Da un altro punto di vista, secondo l’appellante, il T.A.R. non avrebbe valutato la censura relativa alle assunzioni sui costi adottate dall’Autorità ai fini dell’applicazione della prima fase del test United Brands, confermando una premessa metodologica errata nella misura in cui fa coincidere il valore economico dei prodotti in questione con una “misura dei costi di produzione sostenuti dall’impresa per realizzare il bene o il servizio reso”.

A tale riguardo, l’appellante rivendica il fatto che la nozione di valore economico è del tutto distinta da quella di “costo” o “misura dei costi di produzione sostenuti dall’impresa”, perché più ampia, ricomprendendo una serie di altri fattori legati sia alla domanda sia all’offerta e non legati ai costi, che incidono sensibilmente sulla determinazione del valore economico di un prodotto, rispetto al quale sindacare una eventuale iniquità del prezzo applicato.

12 - Si è già detto della limitata applicazione pratica della fattispecie sanzionatoria oggetto del presente giudizio.

Al riguardo si osserva che, sul piano teorico, appare finanche normale che in ogni mercato, nel quale un’impresa abbia un certo grado di potere, i prezzi non possano che essere superiori a quelli di un mercato in concorrenza perfetta, dove il prezzo eguaglia il costo marginale, essendo oltretutto sostanzialmente impossibile ritrovare nei mercati reali quest’ultimo modello teorico; e ciò deve ritenersi perfettamente lecito.

Più precisamente, l’impresa dominante ben può vendere, come avviene per qualunque operatore che persegue uno scopo di lucro, ad un prezzo eccedente i propri costi, ma tale prezzo non può essere esorbitante da tale livello.

Appare evidente la difficoltà pratica di determinare a quale livello scatta il discrimine, ovvero quando il livello dei prezzi raggiunge una soglia tale da poterli considerare iniqui.

In tale indagine risulta di supporto la giurisprudenza della Corte di Giustizia, che ha individuato dei criteri di massima al fine di determinare quanto la fissazione di un dato prezzo esorbiti dal legittimo esercizio della libertà contrattuale dell’impresa ed integri invece un abuso, in quanto il prezzo deve considerarsi non equo.

Tali criteri, sulla cui corretta applicazione concreta da parte dell’Autorità si dirà in seguito, sono riassumili nel principio che un prezzo è eccessivo laddove non ha alcuna ragionevole relazione con il valore economico del prodotto.

12.1 – La non agevole indagine di tale aspetto non impedisce, nel caso in esame, di confermare la correttezza dell’operato dell’Autorità, in quanto conforme ai criteri elaborati dalla giurisprudenza ed appropriato al caso concreto tenuto conto delle evidenze disponibili.

Come anticipato, la verifica per la valutazione dei prezzi eccessivi sviluppato dalla Corte di Giustizia richiede di “stabilire se vi sia un’eccessiva sproporzione tra il costo effettivamente sostenuto ed il prezzo effettivamente richiesto e, in caso affermativo, di accertare se sia stato imposto un prezzo non equo, sia in assoluto sia rispetto ai prodotti concorrenti” (Corte di Giustizia, C-27/76, United Brands).

La giurisprudenza comunitaria richiede, quindi, una valutazione che può essere scomposta in due fasi: la prima richiede l’accertamento di una eccessiva sproporzione tra prezzo e costi e, sul presupposto che la prima parte del test sia accertata, la seconda richiede che sia valutata l’iniquità del prezzo in sé stesso, o in confronto con altri.

Anche recentemente la Corte di giustizia (Corte di Giustizia, 14 settembre 2017, causa C-177/16, AKKA) ha ribadito che un prezzo è eccessivo quando “privo di ogni ragionevole rapporto con il valore economico della prestazione fornita”. Per questo, un’analisi di iniquità dei prezzi richiede “di stabilire se vi sia un’eccessiva sproporzione tra il costo effettivamente sostenuto ed il prezzo effettivamente richiesto e, in caso affermativo, di accertare se sia stato imposto un prezzo non equo, sia in assoluto sia rispetto ai prodotti concorrenti (sentenza del 14 febbraio 1978, United Brands e United Brands Continentaal/Commissione, 27/76)”.

In conformità a tali criteri, l’Autorità si è proposta di verificare anzitutto se ci fosse una significativa sproporzione dei prezzi rispetto al valore dei beni come espresso dal costo effettivo sostenuto per realizzarli, comprensivo anche di una ragionevole remunerazione del capitale.

Questa prima parte della valutazione è stata condotta utilizzando due diverse metodologie: a) l’analisi del margine di contribuzione; b) l’analisi dell’insieme dei ricavi e dei costi (“cost plus”).

L’Autorità ha dimostrato che gli esiti di tali metodologie di analisi si sono rivelati del tutto coerenti, attestando entrambi che i prezzi imposti da Aspen erano significativamente sproporzionati rispetto al valore dei beni.

12.2 – In particolare, attraverso la prima metodologia - che valuta la sproporzione prezzo-costi attraverso il margine lordo di contribuzione, ovvero la differenza tra il valore netto delle vendite e il costo del venduto – si è constatato come, già prima dell’aumento dei prezzi dei farmaci Cosmos, questi eccedessero il proprio valore economico e come, dopo i rialzi del 2014 (tra il 300% e il 1500%), i ricavi avessero superato i costi almeno in pari misura percentuale.

Si è, infatti, evidenziato che i farmaci producevano nel 2013, prima quindi dell’avvio della negoziazione, un margine di contribuzione al risultato netto aziendale del tutto in linea con il margine di contribuzione medio del gruppo Aspen; il margine di contribuzione garantito da ognuno dei farmaci Cosmos, già prima degli aumenti di prezzo, consentiva anche il recupero dei costi fissi indiretti, come risultanti dal bilancio della capogruppo.

La seconda metodologia di calcolo ha evidenziato che i prezzi applicati nel mercato italiano garantivano ad Aspen ricavi in eccesso rispetto ad una misura omnicomprensiva di tutti i costi ragionevolmente sostenuti, definita “cost plus”, che include anche una percentuale di remunerazione delle vendite rispondente ai valori mediamente conseguiti nel settore farmaceutico da primari gruppi attivi, come Aspen, nella vendita di farmaci generici (con un indice ROS pari al 13%).

La sproporzione accertata, nell’ipotesi maggiormente cautelativa per la società, oscilla tra il 50% e il 100% per il farmaco interessato dall’aumento più basso (Alkeran somministrato tramite iniezione) e tra il 200% e il 250% per il farmaco soggetto all’aumento maggiore (Alkeran in pasticche).

In riferimento a tale analisi, deve confermarsi la ragionevolezza della scelta dell’Autorità laddove ha optato per l’esclusione di determinate voci, considerato che due (other operating income, investment income) rappresentano ricavi di importo contenuto, inidonei ad incidere in modo significativo sul risultato; mentre la terza, relativa agli oneri che Aspen sostiene per remunerare il capitale di terzi, la si è ritenuta condivisibilmente assorbita da una remunerazione delle vendite, espressa secondo l’indice di bilancio “ROS” pari al 13%.

Difatti, tale indice esprime la capacità dei ricavi della gestione caratteristica di contribuire alla copertura dei costi extra-caratteristici, oneri finanziari, oneri straordinari e a produrre un congruo utile quale remunerazione del capitale proprio; la sua commisurazione appare, inoltre, coerente con i tassi di mercato applicabili sul capitale di debito per il periodo considerato.

L’Autorità ha ulteriormente approfondito la propria analisi di sproporzione alla luce delle deduzioni formulate nel corso del procedimento da Aspen che invocava la necessità di assumere a riferimento un tasso di rendimento più elevato dell’indice ROS prescelto dall’Autorità (18,1%, in luogo del 13%).

Il risultato dell’analisi svolta, anche con l’inclusione delle voci di costo invocate da Aspen, ha condotto a risultati solo marginalmente differenti.

Tale risultato rende sostanzialmente inconferente la censura attorea relativa alla sottostima dell’indice ROS rispetto al tasso di remunerazione delle vendite del Gruppo Aspen, dovendosi comunque considerare appropriata l’ipotesi di un ROS pari al 13%, in quanto corrispondente al tasso medio di ritorno sulle vendite realizzato dalle due maggiori imprese farmaceutiche genericiste a livello mondiale nel biennio 2013-2014; né, da un altro punto di vista, la risalenza dei prodotti e la consolidata presenza del Gruppo Aspen può giustificare la presenza di significativi costi di start-up, di distribuzione e organizzazione come prospettato dall’appellante.

Infine, deve essere osservato che l’Autorità ha anche tenuto conto della precisazione di Aspen, secondo cui generalmente concede a pazienti e farmacie sconti significativi sui prezzi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, dovendosi peraltro rilevare che nell’atto di appello non ne viene neppure indicata l’entità, da cui la genericità ed inammissibilità del rilievo.

12.3 – Tenuto conto delle specifiche doglianze di parte appellante relativamente al computo dei costi e delle criticità già evidenziate dalla giurisprudenza, che non ha mancato di ammonire sulle non trascurabili difficoltà che la determinazione dei costi di produzione implica, “essendo talvolta necessaria una ripartizione discrezionale delle incidenze indirette e delle spese generali e potendo tali costi differire notevolmente a seconda delle dimensioni dell’impresa, del suo oggetto, della sua complessità, del suo campo d’azione territoriale, dell’uniformità o della varietà dei prodotti, del numero di affiliate e dei loro reciproci rapporti ”, contrariamente a quanto affermato dalle appellanti, l’Autorità ha accertato che le società europee APIL, APTL e AI non svolgono alcuna attività diretta connessa alla vendita e alla distribuzione dei farmaci Cosmos sul territorio italiano, in ragione del peculiare modello distributivo adottato in Italia (cd. “buy and sell”), rispetto a quello in uso negli altri Paesi europei, per cui appare ragionevole l’esclusione dei costi riconducibili a tali società.

In ogni caso, stante l’opinabilità dell’imputazione di determinati costi ai fini dell’indagine in esame, deve ritenersi necessaria una chiara indicazione da parte della società dei costi asseritamente non considerati. Viceversa, nel caso di specie, il rilievo con cui si contesta la mancata inclusione di determinati costi indiretti, ai fini del calcolo del valore del prodotto, si connota per un’estrema genericità, non specificandosi quali “specifiche attività aziendali essenziali ai fini della vendita dei farmaci Cosmos in Italia” svolgerebbero le tre entità del gruppo innanzi menzionate.

Invece, avendo preso a riferimento il bilancio della holding nel calcolo dei costi complessivi da imputare ai conti economici dei farmaci Cosmos, l’Autorità ha incluso, pro-quota, anche tutti i costi indiretti sostenuti da Aspen, e non già i soli costi riferibili alla produzione destinata al mercato italiano, adottando dunque una metodologia assolutamente favorevole per la stessa Aspen.

12.4 – Inoltre, l’Autorità ha ben spiegato i motivi per cui non era ragionevole seguire il procedimento di valutazione suggerito della società, avente come base di calcolo i ricavi, dal momento che il valore di tale voce è ovviamente direttamente correlata al livello dei prezzi praticati, ovvero da ciò che deve essere oggetto di valutazione, con il concreto rischio di arrivare ad un esito che non può essere attendibile, in quanto avrebbe fatto dipendere dalla stessa condotta abusiva la quota dei costi indiretti computabili (che evidentemente in caso di prezzi eccessivi risulteranno sovrastimati).

Per ragioni sostanzialmente analoghe, non coglie nel segno la censura relativa al confronto tra Tasso Interno di Rendimento (“TIR”) e Costo Medio Ponderato del Capitale (“WACC”), trattandosi di una metodologia che, analizzando la convenienza economico-finanziaria di diverse alternative di investimento, non risulta appropriata al caso di specie, dove viene in considerazioni un’analisi dei dati volta a mettere in luce il delta tra i costi ed i prezzi e non la valutazione prospettica di differenti opzioni di investimento aziendale.

In ogni caso, l’Autorità ha chiarito le ragioni per cui ha applicato una remunerazione dell’attività di impresa misurata dal ROS, in luogo di altri indici di remunerazione del capitale. Come detto, tale opzione appare coerente con lo scopo dell’indagine oltre che con la tipologia di attività di sottoporre a valutazione, che attiene essenzialmente alla commercializzazione dei predetti farmaci in Italia secondo il modello del cd. “buy and sell”.

12.5 - I dati su cui si è basata l’analisi provengono da un documento rinvenuto presso le appellanti ed elaborato dal precedente titolare GSK. Trattasi di un foglio di calcolo che era stato fornito ad Aspen da GSK nel corso della fase di una due diligence del pacchetto Cosmos (nel corso della prima metà del 2009) e per tale ragione particolarmente attendibile, in quanto predisposto nello stesso interesse delle parti.

Le contestazioni relative a tale documentato contenute nell’atto di appello risultano in ogni caso tardive, in quanto mai formalizzate durante il primo grado di giudizio, dove Aspen si era limitata ad affermare – onde meglio illustrare la censura relativa ai “vincoli derivanti dalla minaccia credibile di una futura espansione da parte dei concorrenti effettivi o dall’ingresso nel mercato di potenziali concorrenti” – che “i prezzi ereditati da GSK” – sui quali si fondano le stime prospettiche sulla profittabilità dei farmaci in esame utilizzate dall’AGCM quale punto di partenza per la propria analisi – erano talmente bassi da non consentire ai nuovi entranti di recuperare i propri investimenti in tempi soddisfacenti.

Tale inciso non vale evidentemente ad integrare uno specifico motivo di censura, ai sensi dell’art. 40 lettera d) del c.p.a., in riferimento all’attendibilità del documento utilizzato nella determinazione di iniquità dei prezzi.

12.6 - Quanto alla cd. fase II del test, l’Autorità ha verificato l’eventuale esistenza di ragioni qualitative, di contesto o comportamentali – che non trovano espressione nei costi di produzione dei beni, ma possono giustificare la significativa sproporzione dei prezzi – che, tuttavia, non sono state rinvenute.

A mero titolo esemplificativo, l’Autorità ha verificato: a) se gli aumenti potessero essere ricondotti a fattori di carattere temporale legati alla natura asseritamente risalente dei prezzi precedenti; b) le eventuali caratteristiche di qualità dei prodotti; c) le possibili esigenze di business di Aspen; d) l’assenza di qualsiasi beneficio extra-economico per i pazienti.

Quanto alle giustificazioni di tale incremento addotte dalle società, deve richiamarsi quanto già evidenziato (punto 4.2), dovendosi ribadire che un’impresa che detiene una posizione dominante può giustificare attività che possono incorrere nel divieto di cui all’articolo 102 TFUE, dimostrando che l’effetto che ne deriva può essere controbilanciato, o anche superato, da vantaggi che vanno anche a beneficio del consumatore.

Sotto quest’ultimo profilo, la giurisprudenza ha chiarito che spetta all’impresa dimostrare che i vantaggi ipoteticamente derivanti dal comportamento in questione neutralizzano i probabili effetti svantaggiosi per i consumatori sui mercati interessati, e che è stato possibile realizzare tali vantaggi grazie a detto comportamento, escludendo che la stessa impresa richiami argomenti vaghi, generali e teorici sul punto o ancora faccia valere esclusivamente i propri interessi commerciali (cfr. Corte di Giustizia, 27 marzo 2012, C-209/10, Post Danmark).

Tanto precisato, è utile evidenziare le seguenti peculiarità del caso che confermano la correttezza dell’operato dell’Autorità e, indirettamente, escludono l’attendibilità delle diverse prospettazioni di parte appellante:

a) i farmaci Cosmos sono in commercio da vari decenni e quindi ne sono ormai ampiamente ammortizzate le spese per ricerca, sviluppo, innovazione e informazione medico-scientifica, di norma sostenute dalle imprese farmaceutiche e che, in linea di principio, possono giustificare gli alti prezzi dei farmaci;

b) nel caso in esame, tali spese sono state sostenute dal precedente titolare e non da Aspen, che ha acquistato il pacchetto Cosmos nel 2009;

c) non solo Aspen non ha sostenuto nessun investimento in ricerca o promozione per i farmaci in questione, ma non ha apportato alcun miglioramento qualitativo dei prodotti o del livello di servizio ad essi associato;

d) l’applicazione della cd. teoria del Ramsey Pricing – secondo cui la determinazione dei prezzi da parte di un’impresa innovatrice multiprodotto basata sull’elasticità relativa della domanda dei diversi farmaci, con applicazione di un mark up (ROS) maggiore sui costi per le linee di prodotto a domanda meno elastica, sarebbe socialmente efficiente – si scontra con le evidenze probatorie acquisite in causa da cui non emerge alcuna finalità di “finanziamento” dei prezzi applicati ai farmaci Cosmos per lo sviluppo o la commercializzazione di altri farmaci, sicché la tesi dell’appellante, seppur in astratto plausibile, non trova alcun riscontro concreto. Inoltre, sul punto, vale quanto già più volte sottolineato, e cioè che si è al cospetto di farmaci salvavita in cui l’elasticità della domanda è prossima a zero, così che una politica di pricing quale quella profilata dalla società deve essere attentamente confrontata con il rischio che il consumatore marginale possa essere escluso dal mercato, con gli effetti catastrofici che ciò implicherebbe stante l’uso a cui è rivolto il farmaco (al riguardo vedasi il successivo punto 12.9);

e) la rigidità della domanda, stante la peculiare natura del prodotto (farmaci salvavita), la rende sostanzialmente insensibile alle variazioni dell’andamento dell’economia in generale; né, in un’altra prospettiva, l’andamento dell’economia può in ogni caso giustificare, per effetto dell’inflazione (i cui tassi negli ultimi anni si sono sempre attestati si livelli minimi) aumenti così significativi dei prezzi (la stessa appellante riferisce che il prezzo reale del Purinethol, corretto per tener conto dell’inflazione, prima della negoziazione era inferiore al 5% del suo prezzo iniziale del 1955).

12.7 – Sempre in riferimento alla cd. fase II della verifica di eccessività del prezzo, l’Autorità ne ha quindi ottenuto la conferma attraverso il confronto intertemporale dei prezzi.

Dal punto di vista teorico, il confronto intertemporale è un metodo di comparazione pacificamente contemplato nella prassi antitrust, che si affianca al raffronto sia tra prezzi praticati dalla medesima impresa dominante in altri mercati, sia ai prezzi praticati tra concorrenti sul medesimo prodotto.

In particolare, il raffronto dei prezzi praticati in due momenti temporali distinti dal medesimo soggetto si rivela necessario quando non sia rinvenibile un prodotto perfettamente sostituibile e non sia praticabile nemmeno un raffronto tra prodotti sostituibili commercializzati su mercati diversi.

Ne consegue che tale opzione, seppur in linea teorica possa presentare delle criticità, nel caso di specie appare immune dalle censure rivoltele dall’appellante (vedasi punto 12.8 che segue), in considerazione dell’impossibilità di un confronto con i prezzi di farmaci concorrenti, data la più volta sottolineata assenza di sostituibilità con altri prodotti autorizzati al commercio in Italia.

Invero, le già descritte peculiarità del mercato nazionale dei farmaci antitumorali Cosmos sul piano strutturale e regolatorio, non lo rendono confrontabile con alternative similari, se non a costo di introdurre grossolane semplificazioni che inficerebbero l’attendibilità del confronto.

Al riguardo, l’Autorità ha ben evidenziato come anche il confronto con i prezzi dei prodotti Cosmos in altri mercati nazionali dell’UE sarebbe risultato fuorviante, stanti le differenze di ciascun sistema sanitario e della relativa regolazione farmaceutica, nonché in considerazione del fatto che, per quanto riferito dalla difesa erariale, le condotte di Aspen volte ad uno sproporzionato aumento di prezzo in altri paesi dell’UE sarebbe attualmente oggetto di un procedimento istruttorio antitrust avviato dalla Commissione europea.

Del resto, la stessa Corte di giustizia ha ritenuto appropriato il metodo del confronto geografico nei soli casi nei quali esisteva la possibilità di un confronto tra mercati geografici omogenei (sentenza Akka, C-177/16 citata).

Dall’analisi intertemporale dei prezzi è emersa l’entità degli incrementi percentuali ottenuti (compresi fra il 300% e il 1500% di prezzi già idonei a garantire un margine di profitto), che ha determinato un incremento più che proporzionale dei margini di impresa.

Il rilievo di parte appellante, secondo cui i prezzi pre-revisione generavano perdite, essendo stati al di sotto dei livelli concorrenziali per ben oltre venti anni, è stata smentita dall’analisi già innanzi ricordata, da cui è emerso che i prezzi praticati prima dell’avvio della negoziazione consentivano un margine di contribuzione netto in linea con il margine di contribuzione medio del gruppo Aspen.

Tale dato contribuisce in modo decisivo ad imprimere un elevato livello di significatività ai dati percentuali degli incrementi innanzi specificati e ad avvalorare senza incertezza la conclusione circa l’enorme ed ingiustificata sproporzione dei prezzi che Aspen ha imposto, nonostante, in un’epoca antecedente la negoziazione, il prezzo dei farmaci fosse già ad un livello tale da poter consentire un margine in linea con quello delle altre attività del gruppo Aspen.

Ne consegue che risulta ragionevolmente confermato, anche alla stregua della cd. fase II del criterio United Brands l’eccessivo ed ingiustificato aumento dei prezzi imposti da Aspen. Per tale ragione, non appare necessario demandare ad un consulente la verifica dell’attendibilità di tale aspetto dell’accertamento.

12.8 – Alla luce delle considerazioni esposte in riferimento alla corretta applicazione della seconda fase del test United Brands, resta destituita di ogni apprezzabile utilità il suggerito interessamento della Corte di Giustizia al riguardo.

In riferimento al quesito “se, ed eventualmente in quali circostanze, un prezzo possa essere considerato significativamente e persistentemente eccessivo ai sensi dell’art. 102 TFUE anche in assenza di significative barriere all’ingresso”, deve ricordarsi che nel caso di specie la peculiare conformazione del mercato implica il necessario intervento dell’AIFA prima dell’ingresso nello stesso, costituendo per le ragioni già esposte una significativa barriera all’ingresso, come già innanzi precisato.

Quanto al quesito “se, ed eventualmente in quali circostanze, sia possibile accertare che il prezzo di un prodotto è iniquo ai sensi dell’art. 102 TFUE esclusivamente sulla base di un confronto del prezzo in esame con il prezzo storico del medesimo prodotto”, deve rilevarsi che l’appellante, da un lato non specifica nel quesito quali ulteriori e diversi metodi di confronto siano in ipotesi utilizzabili; dall’altro, come già specificato, l’Autorità non ha ignorato affatto l’esistenza di metodi ulteriori rispetto a quello impiegato, tra cui quello del cd. confronto geografico (ossia il confronto tra i prezzi italiani dei farmaci Cosmos e quelli praticati in altri mercati geografici), precisando però che l’analisi “alternativa” era nel caso concreto inappropriata, stanti le profonde differenze nei sistemi sanitari dei diversi stati europei che fanno venire meno il presupposto principale del confronto geografico ossia l’omogeneità dei contesti presi a confronto.

Come già osservato, non è in discussione l’esistenza di ulteriori metodi che permettano di individuare l’eventuale sproporzione di un prezzo, su un piano teorico certamente preferibili rispetto a quello che si basa sui prezzi storici, tra cui il metodo fondato sul raffronto tra i prezzi applicati nello stato membro interessato e quelli applicati in altri stati membri. Tuttavia, la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che un tale raffronto può risultare rilevante, a condizione che sussistano mercati analoghi appropriati e quindi confrontabili (Corte di Giustizia, 13 luglio 1989, Tournier, C-395/87; 13 luglio 1989, Lucazeau e a., C-110/88: “un confronto tra i prezzi applicati nello Stato membro interessato e quelli applicati in altri Stati membri deve essere effettuato su base omogenea”).

Tale evenienza dipende evidentemente dalle circostanze peculiari di ciascun caso, tanto è vero che la stessa giurisprudenza citata ha precisato che “spetterà al giudice nazionale valutare la pertinenza dei criteri applicati nel procedimento principale, tenendo conto di tutte le circostanze del caso di specie”.

Per tali ragioni, la scelta dell’Autorità illustrata nel punto precedente (12.7) non appare solo opportuna, ma in definitiva necessitata della specificità del caso, rendendo irrilevanti le questioni sollevate da parte appellante.

12.9 - Ai limitati fini del caso in esame, a conferma della valutazione di iniquità dei prezzi, sia consentito anche richiamare l’orientamento della giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte di Giustizia, Continental Can, C-6/72: “si può infatti considerare abusiva la posizione dominante che giunga al punto di eludere gli obiettivi del trattato mediante una modifica così profonda della struttura dell’offerta da compromettere gravemente la libertà d’azione del consumatore sul mercato”) propenso a valutare l’intervento dell’Autorità nello specifico ambito della repressione degli abusi di posizione dominante con un approccio teleologico, nel quale la sussistenza di una distorsione della concorrenza non che è che il punto di partenza, da collocare in un contesto più ampio e da valutare anche alla stregua degli ulteriori obbiettivi quale, in primis, il benessere dei consumatori, rilevando dunque anche l’entità del danno che deriva agli stessi dalla condotta abusiva.

In questa prospettiva, nel caso di specie, l’analisi circa l’iniquità del prezzo, oltre che emergere in modo incontrovertibile dagli elementi analitici innanzi esaminati, non può che risentire del contesto nel quale è stata perpetuata, che ha determinato un ingente esborso ai danni del sistema sanitario nazionale: l’Autorità è giunta alla conclusione che, a causa degli aumenti imposti da Aspen, il SSN ha sostenuto una spesa per i farmaci Cosmos cinque volte superiore, corrispondente ad un incremento percentuale della spesa sanitaria di circa il 500%.

13 - Non può essere messo in discussione che l’analisi dei prezzi condotta dall’Autorità è stata svolta al precipuo fine di accertare la fattispecie di cui all’art. 102, lett. a), TFUE; pertanto, perde di ogni consistenza il rilievo di cui al quinto motivo di appello.

Al riguardo, secondo l’appellante, le statuizioni del T.A.R. per il Lazio avallerebbero la legittimità di un intervento dell’Autorità, nella sostanza, di natura regolatoria del livello dei prezzi dei farmaci Cosmos, che travalicherebbe i propri poteri, sostituendosi alle funzioni riservate ad AIFA nel settore farmaceutico.

L’appellante sostiene che, siccome il compito di AIFA è proprio quello di fissare prezzi “equi” e sostenibili per il SSN, non sarebbe prospettabile una valutazione autonoma e distinta di “equità” affidata all’Autorità antitrust, senza che ciò trasmodi nell’esercizio di poteri propri di AIFA.

A tal fine ricorda che la Delibera CIPE 3/2001 individua gli specifici criteri che AIFA è tenuta a seguire nella fissazione dei prezzi dei medicinali e che AIFA è un regolatore e non già un mero negoziatore del prezzo dei farmaci, con la conseguenza che il procedimento di approvazione dei prezzi dei farmaci non tollera le ingerenze tariffarie di altra autorità amministrativa.

13.1 - La censura è infondata.

A confutare le argomentazioni dell’appellante è sufficiente richiamare le considerazioni già svolte circa la possibilità di un intervento antitrust anche in un mercato regolato (punto 10.1).

In questa sede, deve essere ribadito che la repressione di prezzi iniqui posti in essere da un’impresa dominante sia una competenza tipicamente antitrust, come tale attribuita dall’art. 102 TFUE alla Commissione europea e alle autorità nazionali di concorrenza.

Come già accennato, il provvedimento impugnato non stabilisce affatto il prezzo al quale dovranno essere venduti i farmaci Cosmos, ma si limita a verificarne la loro ingiustificata eccessività.

In altri termini, l’Autorità non si è sostituita ad AIFA, ma è intervenuta per salvaguardare la dinamica del mercato pregiudicata dalla condotta abusiva della società innanzi descritta.

13.2 - Deve anche precisarsi che AIFA non ha il potere di definire autoritativamente i prezzi dei farmaci, dovendoli negoziare con le imprese fornitrici.

Più in dettaglio:

a) la legge 24 novembre 2003, n. 326 dispone che tutti i prezzi dei farmaci a carico del SSN siano determinati mediante la contrattazione tra AIFA e le Aziende farmaceutiche;

b) ai sensi della delibera CIPE 3/2001, la singola impresa deve supportare la propria richiesta di negoziazione del prezzo mediante l’allegazione di documentazione di carattere tecnico-scientifico e la determinazione in concreto del prezzo applicabile al farmaco è demandata alla negoziazione tra il privato ed AIFA la quale, per le valutazioni in merito, si avvale del proprio Comitato Prezzi e Rimborso;

c) nel caso di mancato raggiungimento di un accordo, a norma della citata delibera, il prodotto verrà classificato nella fascia C di cui al comma 10, dell’art. 8 della l. 537/1993.

14 - Alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere disatteso anche il sesto motivo di appello con cui l’appellante ha dedotto l’incompetenza e il travalicamento di poteri da parte dell’Autorità, oltre alla violazione dei diritti di difesa, che inficerebbe la diffida rivolta ad Aspen a porre in essere “ogni adempimento volto alla definizione di prezzi non iniqui” per i Farmaci Cosmos.

Al riguardo, deve ricordarsi che l’esercizio del potere di diffida, ai sensi dell’art. 15 della l. 287/1990, riveste una mera funzione ripristinatoria, essendo incompatibile con la stessa logica concorrenziale – che demanda al libero gioco della domanda e dell’offerta la determinazione del prezzo di un prodotto – la sussistenza di un potere dell’Autorità antitrust di regolamentazione dei prezzi, i quali devono invece essere lasciati alla dinamica del mercato, dovendosene reprimere solo l’eccessività nei termini innanzi specificati e solo, nell’ottica concorrenziale, se correlati a posizione di dominanza nel mercato.

Il ricordato potere di diffida, risulta inoltre coerente con la ratio e i limiti dell’art. 5 del Regolamento n. 1 del 2003, che prevede che le Autorità nazionali di concorrenza adottino decisioni “per ordinare la cessazione di un’infrazione”.

In quest’ottica deve essere vista la rinegoziazione dei prezzi dei farmaci Cosmos, il cui livello non è stato certamente imposto dall’Autorità (alla quale non può riconoscersi il relativo potere), ma è stato autonomamente contrattato da AIFA, nell’ambito delle proprie prerogative ed a seguito della rinegoziazione con Aspen.

14.1 - Non risulta neppure ravvisabile la denunciata violazione del diritto di difesa, che secondo l’appellante si sarebbe integrata con la prescrizione di un termine di appena 60 giorni per “dare comunicazione all’Autorità delle iniziative poste in essere trasmettendo specifica relazione scritta”.

Si tratta, infatti, di una prescrizione del tutto consueta al fine di verificare la cessazione dell’illecito antitrust, anche al fine di scongiurare l’amplificarsi degli effetti pregiudizievoli derivanti dall’illecito.

14.2 – Non può nascondersi che le questioni sottese alle censure di cui al quinto ed al sesto motivo di appello risentono delle astratte criticità già evidenziate in precedenza, circa il rapporto tra ente di regolazione e Autorità antitrust, specie in riferimento alla valutazione di iniquità dei prezzi (punto 4); tuttavia, nel caso di specie, per le ragioni esposte, non è ravvisabile alcun travalicamento delle competenze da parte dell’Autorità antitrust, né una impropria commistione o supplenza rispetto alle prerogative di AIFA, che viceversa ha svolto il proprio ruolo in tutta libertà, sia durante la prima negoziazione (poi sanzionata), sia a seguito della rinegoziazione, solo sollecitata da parte dell’Autorità antitrust.

Il fatto che AIFA abbia richiesto di presentare “un dossier di revisione del prezzo partendo dal prezzo precedente 2013/2014 il cui esito è stato oggetto dell’istruttoria e della relativa sanzione da parte dell’Antitrust, tenendo in considerazione la circostanza che l’AGCM aveva già ritenuto remunerativo il precedente prezzo” appare una inevitabile conseguenza fattuale del procedimento sanzionatorio, non potendosi certo immaginare che AIFA potesse trascurare gli esiti dello stesso. Ciò non vale certo a configurare un’imposizione, in senso giuridico, dell’Autorità antitrust nei confronti dell’Agenzia, sebbene questa, per quel che emerge dagli atti di causa, non avesse a suo tempo neppure contestato la condotta abusiva di Aspen per l’abnormità dei prezzi, essendosi, invece, limitata a trasmettere una segnalazione dell’associazione Altroconsumo, da cui ha poi avuto luogo l’avvio del procedimento.

15 – Le appellanti censurano la sentenza del T.A.R. anche nella parte in cui conferma la legittimità della determinazione della sanzione irrogata ad Aspen, nonché le previsioni rilevanti delle Linee Guida applicate dall’Autorità, sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell’art. 15 della l. 287/1990 e dell’art. 11 della l. 689/1981.

In particolare, si deduce l’erronea e sproporzionata quantificazione dell’importo base della sanzione.

A tal fine, l’appellante sostiene che il fattore della “natura dei prodotti” deve essere riferito al pregiudizio all’innovazione, nel senso di potenziale offensivo dell’illecito rispetto all’innovazione sul mercato, e non alla importanza dei prodotti per la salute dei pazienti; da tale erronea valutazione di “gravità” discende la sproporzione della percentuale del 15% delle vendite rilevanti come punto di partenza per la definizione dell’importo base della sanzione, ai sensi del punto 12 delle Linee Guida.

Le appellanti contestano, inoltre, l’identificazione della durata della condotta illecita ai sensi del punto 15 delle Linee Guida, che l’Autorità ha esteso in modo da trascendere il periodo della negoziazione con AIFA, all’esito del quale si sarebbero ottenuti i prezzi asseritamene iniqui dei farmaci Cosmos, e coprire l’intero periodo di vigenza dei nuovi prezzi.

15.1 - La censura è infondata.

In primo luogo, deve osservarsi come l’Autorità abbia dettagliatamente motivato sia i presupposti che i criteri di quantificazione, in applicazione delle Linee Guida di cui alla delibera dell’Autorità n. 25152 del 22 ottobre 2014 ed in conformità dell’articolo 15, comma 1, l. 287/1990.

Di fatto: la sanzione irrogata è di poco superiore a 5 milioni di euro, a fronte delle enormi dimensioni economiche delle imprese e del rilevantissimo fatturato globale del gruppo Aspen (2.212.500.000 euro).

15.2 - Quanto alle specifiche censure dell’appellante, la Sezione, in casi assimilabili, ha già avuto modo di esprimersi nel senso che: “la qualificazione di estrema gravità appare giustificata anche in ragione del bene giuridico messo in pericolo (l’assistenza farmaceutica e il diritto alla salute)” (cfr. Consiglio di Stato, 15 luglio 2019, n.4990).

In ogni caso, la qualificazione della condotta di Aspen come “molto grave” non deriva soltanto dalla natura dei prodotti interessati, bensì da un complesso di elementi indicati nel provvedimento, tra cui: il ruolo e la rappresentatività delle imprese, il livello di estrema concentrazione dei mercati rilevanti in cui è presente la sola Aspen, l’idoneità delle condotte a causare un pregiudizio significativo ai pazienti e al SSN e l’aggressività della negoziazione con AIFA.

Quanto alla durata, deve convenirsi che la condotta unilaterale di abuso di posizione dominante per prezzi iniqui perduri durante tutto il periodo in cui resta attuale lo sfruttamento illecito di tali prezzi.

Circa la dedotta sproporzione della determinazione dell’importo supplementare (cd. entry fee) applicato sull’importo base della sanzione (par. 17 delle Linee Guida) e dell’ulteriore adeguamento in base al fatturato mondiale di Aspen (par. 25 delle Linee Guida), la valutazione dell’Autorità risulta corretta, tenuto conto che la misura dell’entry fee è ampiamente giustificata dalla necessità di garantire un adeguato effetto deterrente alla sanzione, tenuto conto delle dimensioni delle imprese sanzionate e dei connotati di gravità dell’illecito.

Anche la contestata omessa, o comunque insufficiente, valorizzazione delle circostanze attenuanti (par. 23 delle Linee Guida) alla luce della peculiare vicenda esaminata risulta ingiustificata. Invero, l’Autorità ha applicato una riduzione dell’importo base della sanzione del 5% stante l’adozione di un programma di compliance prima dell’avvio del procedimento e successivamente integrato nel maggio 2015. L’asserita esiguità di tale riduzione si scontra ancora una volta con la gravità dei fatti sanzionati e con l’esigenza di conservare una certa effettività della sanzione.

In definitiva, l’importo finale della sanzione, pari a 5.225.317 euro, irrogati in solido alle società APTL, AI, APIL e APHL, del Gruppo Aspen, non appare sicuramente esagerato, rappresentando solo lo 0,2% del fatturato complessivo realizzato nell’esercizio finanziario 1° luglio 2015 - 30 giugno 2016 dal Gruppo Aspen, tenuto conto che, ai sensi dell’articolo 15 della l. 287/1990, l’Autorità può comminare una sanzione fino alla misura massima del 10% del fatturato globale.

16 – Le spese di lite, in ragione della peculiarità del caso dal punto di vista teorico e della novità di parte delle questioni trattate, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) rigetta l’appello e compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Sergio Santoro, Presidente

Bernhard Lageder, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore

Francesco De Luca, Consigliere