• Tutela dei consumatori - Trasparenza e tutela dell'utenza -Radiotelevisione, diritti televisivi, editoria e stampa, servizi pubblicitari

6 aprile 2020

Consiglio di Stato, sez. VI, 06/04/2020, n. 2300 [Tutela dei consumatori - Tutela dell'utenza - Impugnazione delibera AGCOM - Tutela dei minori - Uso di un linguaggio aggressivo e blasfemo durante un programma televisivo con rischio di nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori - Rischio di una legittimazione ad usare nel linguaggio comune  espressioni aggressive]

Tutela dei consumatori - Tutela dell'utenza - Impugnazione delibera AGCOM - Tutela dei minori - Uso di un linguaggio aggressivo e blasfemo durante un programma televisivo con rischio di nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori - Rischio di una legittimazione ad usare nel linguaggio comune  espressioni aggressive - Fattispecie di illecito di pericolo concreto e pericolo presunto.

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4319 del 2018, proposto da
Reti Televisive Italiane - R.T.I. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Giuseppe Rossi, Luigi Medugno e Massimiliano Molino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Medugno in Roma, via Panama 58;

contro

Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, non costituita in giudizio;

Per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. III, 21 febbraio 2018, n. 1978, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2020 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati Luigi Modugno e Giovanni Greco dell’Avvocatura Generale dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

 

1. Con atto di contestazione n. 17/05/DGC del 15 febbraio 2005 l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (d’ora in avanti, per brevità, anche Autorità o AGCOM) ha rilevato che nel corso di un intervento in diretta alle ore 22,40 del 20 aprile 2004 è stata pronunziata una bestemmia durante il programma “La Fattoria” mandato in onda sull’emittente Italia Uno della società RTI SpA: alla stregua di tali emergenze istruttorie ha contestato alla società RTI SpA la violazione dell’art. 15, comma 10, L. n. 223/90.

Con successiva delibera n. 83/05/CSP del 14 luglio 2005 l’Autorità ha ordinato alla ricorrente di pagare la sanzione amministrativa di euro ventimila/00 per la violazione dell’art. 15 comma 10 l. n. 223/1990.

In particolare, l’Autorità – rilevato che l’art. 15, comma 10, L. n. 223/90, nel vietare la trasmissione di programmi “che possono nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori” ha inteso riferirsi specificatamente a quei programmi che, tenuto conto del loro oggetto, del loro contenuto, del tempo e/o delle modalità di trasmissione o di altri connessi elementi rilevati nel caso specifico, possano risultare concretamente idonei a turbare, pregiudicare o danneggiare i delicati e complessi processi di apprendimento dall’esperienza e di discernimento tra valori diversi od opposti, nei quali si sostanziano lo svolgimento e la formazione della personalità del minore sia come individuo che come “cittadino”- ha ritenuto che nel caso di specie la pronuncia di una bestemmia nell’ambito di un reality show, seguito da larga porzione di pubblico, anche in relazione all’orario di trasmissione, fosse idonea a suscitare nei minori in ascolto la legittimazione all’uso di un linguaggio aggressivo e blasfemo, configurandosi nel suo insieme come nocivo degli interessi morali, etici e di corretto sviluppo psichico degli stessi.

L’Autorità, inoltre, ha reputato che “la circostanza che l’organizzazione del programma abbia preventivamente adottato ogni cautela per evitare situazioni che possono recare nocumento ai minori e che si sia stato trattato di un episodio involontario, non esclude la responsabilità dell’emittente giacché grava sulla stessa l’obbligo di vigilare sulla rispondenza delle trasmissioni alla normativa vigente in materia di diffusione di programmi radiotelevisivi”.

Alla stregua di tali rilievi l’Autorità ha ritenuto integrata la fattispecie di cui all’art. 15, comma 10, L. n. 223/90, nonché, valutate la gravità della violazione, l’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione, la personalità dell’agente e le condizioni economiche dell’agente, ha ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa di euro 20.000,00.

2. Avverso la delibera n. 83/05/CSP l’odierna appellante ha proposto ricorso dinnanzi al Tar Lazio, affidato a tre motivi di censura, con cui ha dedotto che:

- la condotta in contestazione non avrebbe potuto essere considerata concretamente idonea ad esporre a pericolo il bene tutelato dall’art. 15, comma 10, L. n. 223/90, rappresentato dall’esigenza di assicurare lo sviluppo psichico e morale dei minori;

- difetterebbe nella specie un accertamento in ordine alla sussistenza di una condotta cosciente e volontaria e di un’azione soggettivamente rimproverabile e, comunque, colposa, tenuto conto che non sussistevano elementi idonei a lasciare supporre la pronuncia della bestemmia;

- nella determinazione della sanzione l’Autorità avrebbe dovuto tenere conto dell’assoluta episodicità ed estemporaneità della condotta e dell’univoco messaggio di deplorazione trasmesso successivamente dalla trasmissione.

3. Si è costituita l’Autorità, al fine di resistere al ricorso.

4. Il Tar ha rigettato il ricorso, tenuto conto che:

- la pronuncia di una bestemmia risultava, per il suo contenuto, di per sé idonea a pregiudicare lo sviluppo morale e psichico dei minori in ragione dell’offesa al sentimento religioso insita in essa; tale idoneità era stata valutata anche con riferimento al contesto in cui si è verificato l’episodio, ritenendosi che la condotta veicolata dal mezzo televisivo, caratterizzato di per sé da alta diffusività, comportasse il concreto rischio di una legittimazione ad usare nel linguaggio comune tali espressioni non commendevoli, rischio nella fattispecie aggravato dal fatto che la frase era stata proferita nell’ambito di un reality show ovvero di un programma seguito da una larga fascia di pubblico, anche minore; ulteriormente, ai fini della concreta pericolosità della condotta, il Tar ha ritenuto corretta la decisione dell’Autorità anche nella parte in cui ha valorizzato l’orario dell’episodio, verificatosi alle ore 22.40, immediatamente contiguo alla fascia oraria della c.d. <televisione per tutti>; né la pericolosità concreta della condotta avrebbe potuto essere esclusa dall’espulsione dell’autore dell’episodio, in quanto integrante un evento successivo alla pronuncia dell’espressione blasfema;

- sussisteva nella specie un accertamento dell’Autorità in ordine all’imputazione soggettiva della condotta, avendo la parte resistente riscontrato un’inosservanza dell’obbligo di vigilare sulla rispondenza delle trasmissioni alla normativa vigente in materia di diffusione di programmi radiotelevisivi; inoltre, le particolari condizioni in cui operavano i partecipanti e la serrata competizione esistente tra gli stessi, costituenti alcuni dei principali elementi di richiamo del programma televisivo, rendevano non implausibile il ricorso ad espressioni dello stesso tipo di quelle contestate alla ricorrente; ragion per cui l’emittente avrebbe dovuto adottare idonee misure preventive, quali la sottoscrizione, da parte dei partecipanti, di impegni giuridicamente vincolanti ad evitare tali comportamenti o la predisposizione di meccanismi di controllo dei dialoghi dei partecipanti (vigilanza continuativa sul contenuto delle conversazioni dei partecipanti in quanto dirette al pubblico televisivo/adozione di strumenti tecnici di immediata eliminazione della bestemmia con conseguente impossibilità di percezione da parte degli utenti);

- l’Autorità aveva correttamente applicato i criteri di cui all’art. 11 L. n. 689/81, valutando, da una parte, la gravità della violazione e l’organizzazione e le condizioni economiche della ricorrente e, dall’altra, la condotta tenuta dalla ricorrente stessa successivamente al fatto con l’espulsione del concorrente; non avrebbe potuto, invece, farsi riferimento all’impossibilità di operare alcun efficace controllo preventivo, in quanto costituente circostanza non veritiera e, comunque, non rilevante ai fini della graduazione della sanzione in quanto criterio necessario per l’attribuzione stessa della responsabilità.

5. Avverso la sentenza di primo grado la società Reti Televisive Italiane – R.T.I. S.p.A. ha proposto appello, affidato a tre motivi di impugnazione.

Con il primo motivo di appello (rubricato “Error in iudicando circa il primo motivo del ricorso introduttivo (diretto a contestare la violazione e falsa applicazione dell’articolo 15, comma 10, lett. b), l. 223/1990, nonché l’eccesso di potere nelle figure sintomatiche dell’errore nei presupposti, della carenza di motivazione e di adeguata istruttoria)”) la sentenza di primo grado è censurata per non avere ritenuto la condotta contestata concretamente inidonea a ledere lo sviluppo psichico e morale dei minori e per non avere ritenuto rilevante l’orario di trasmissione dell’episodio contestato, fuori dalla “televisione per tutti”.

Con il secondo motivo di appello (rubricato “Error in iudicando circa il secondo motivo di ricorso (inteso a far valere la violazione e falsa applicazione dell’articolo 15, comma 10, e 31, comma 3, l. 223/1990, dell’articolo 3 l. 689/1981 e dei principi generali vigenti in materia di illeciti amministrativi; nonché l’eccesso di potere nelle figure sintomatiche dell’omessa ed erronea valutazione di circostanze decisive, del difetto di istruttoria e della carenza di adeguata motivazione). Assenza di profili di colpa in capo alla ricorrente”) la sentenza di primo grado è censurata per avere ritenuto integrata nella specie una forma di responsabilità colposa, per inosservanza dell’obbligo di vigilanza sulla rispondenza delle trasmissioni alla normativa vigente in materia di diffusione dei programmi radiotelevisivi.

Con il terzo motivo di appello (rubricato “Error in iudicando circa il terzo, subordinato, motivo di ricorso (inteso a far valere la violazione e falsa applicazione dell’articolo 15, comma 10, e 31, comma 3, l. 223/1990 e dell’articolo 11 l. 689/1981. Eccesso di potere nella figura sintomatica della carenza di motivazione)”) la sentenza di primo grado è censurata per avere ritenuto corretta la quantificazione della sanzione irrogata, pari al quadruplo del minimo edittale.

6. L’Autorità, ritualmente intimata in sede giurisdizionale, non ha depositato atto di costituzione in giudizio.

7. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 20 febbraio 2020.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello viene contestata l’erroneità della sentenza, per aver ritenuto integrato, sotto il profilo oggettivo, l’illecito di cui all’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990.

In particolare, a giudizio dell’appellante, il Tar, ritenendo che l’uso di un linguaggio improprio tramite il mezzo televisivo sia ex se pregiudizievole per il minore stesso, avrebbe accolto un’interpretazione dell’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990 volta ad eliminare la distinzione delle fattispecie ivi previste in illeciti di pericolo concreto e pericolo presunto.

Ferma rimanendo la fondamentale importanza del bene tutelato dalle norme richiamate dal Tar (cfr., tra le altre, le Convenzioni europee ed internazionali in tema di tutela dei minori), la corretta interpretazione dell’art. 15, comma 10, cit. dovrebbe, invece, condurre – secondo la prospettazione dell’appellante – a distinguere le trasmissioni contenenti “scene di violenza gratuita o pornografiche, o che inducano ad atteggiamenti di intolleranza”, soggette ad una presunzione legislativa di pericolo e, quindi, ad un divieto assoluto, dalle trasmissioni “che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori", per le quali occorre una verifica dell’effettiva sussistenza del pericolo per lo sviluppo del minore; pertanto, posto che nella specie si farebbe questione di condotta suscettibile di nuocere allo sviluppo del minore, sarebbe stato necessario accertare l’idoneità, in concreto, del programma sanzionato a pregiudicare i processi di apprendimento e lo sviluppo del minore.

L’esito di tale verifica avrebbe dovuto condurre al disconoscimento dell’illecito, tenuto conto che l’emittente non soltanto non aveva avallato o legittimato in alcun modo la condotta del concorrente, incentivando effetti emulativi negli spettatori più giovani, ma il protagonista del comportamento censurato era stato ritenuto indegno di continuare la partecipazione alla trasmissione ed estromesso dalla stessa: “Infatti il concorrente stesso, oltre ad essere stato immediatamente espulso dal programma, è stato escluso da qualsivoglia apparizione televisiva sulle reti RTI, comprese le trasmissioni rievocative delle varie edizioni de “La Fattoria”.” (pag. 10 appello).

Il Tar avrebbe, altresì, errato nel ritenere irrilevante l’orario di trasmissione dell’episodio contestato, sebbene lo stesso si fosse verificato alle ore 22.40, dunque fuori “la televisione per tutti”, in un orario nel quale la presunzione di assenza di spettatori adolescenti sarebbe pressoché assoluta e la libertà di messa in onda, con i limiti di cui alla seconda parte dell’articolo 15, comma 10, l. 223/1990, in allora vigente, dovrebbe considerarsi totale; elemento idoneo ad escludere l’illecito contestato, tenuto conto che la circostanza per cui la condotta sia collocata al di fuori, non solo della fascia protetta, ma anche della “televisione per tutti” escluderebbe il rischio di visione da parte di minori e, dunque, la sussistenza dell’illecito in discussione.

2. Il motivo di appello risulta fondato.

Ai sensi dell’art. 15, comma 10, l. n. 223/1990 (fondamento normativo del provvedimento impugnato in prime cure, ratione temporis applicabile nella specie), “è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità”.

2.1 La previsione in commento, da un lato, richiamando espressamente i programmi recanti scene di violenza gratuita o pornografiche o che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità, tipizza talune condotte ritenute in astratto (con valutazione legislativa immune da vizi di irragionevolezza) idonee a pregiudicare lo sviluppo psichico o morale dei minori, come tali soggette ad un divieto assoluto di trasmissione; dall’altro, omettendo di specificare le modalità dell’azione illecita, estende il divieto di trasmissione a qualsivoglia programma idoneo a nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori.

Mentre nella prima ipotesi si è di fronte ad illeciti di pericolo astratto, in relazione ai quali l’evento di pericolo non rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie sanziona, integrata di per sé dalla commissione dell’azione tipizzata dal legislatore nelle sue specifiche forme di manifestazione; nella seconda ipotesi, si fa questione di illeciti di pericolo concreto, in cui, ai fini dell’integrazione della fattispecie sanzionata, occorre l’accertamento, altresì, della effettiva esposizione a pericolo del bene tutelato dalla norma violata, desumibile da specifiche e rilevanti circostanze concretamente occorse.

Con riferimento al caso di specie, l’Autorità appellata ha inteso riferirsi ai programmi “che possono nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori” (cfr. pag. 2 del provvedimento impugnato in prime cure), con l’effetto di contestare e sanzionare una fattispecie di illecito di pericolo concreto.

Al fine di delineare la portata precettiva dell’art. 15, comma 10, l. n. 223/1990 – nella parte in cui, senza descrivere le specifiche modalità della condotta illecita, richiama soltanto l’idoneità del programma a nuocere allo sviluppo psichico o morale del minore – occorre avere riguardo alla pertinente disciplina unionale, vigente al tempo di commissione dei fatti di causa, come recata dalla direttiva 89/552/CEE, modificata dalla direttiva 97/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 giugno 1997 (successivamente ulteriormente modificata dalla direttiva 2007/65/CE e, infine, abrogata e sostituita dalla direttiva 2010/13/UE).

Il regime giuridico applicabile alle trasmissioni radiotelevisive, infatti, per quanto più di interesse ai fini del presente giudizio, richiede di operare un bilanciamento tra l’esigenza di tutela del minore e la garanzia della libertà di espressione, beni giuridici entrambi rilevanti non soltanto in ambito nazionale (cfr. art. 21 Cost. in materia di libera manifestazione del pensiero e art. 31, comma 2, Cost. in tema di tutela dell’infanzia e della gioventù), ma anche, sul piano sovranazionale (cfr. considerando 8 direttiva 89/552/CEE e, relativamente al bilanciamento tra i due valori, il considerando 60 direttiva 2010/13/UE), non potendo, pertanto, prescindersi dal dato europeo nell’interpretazione della disposizione interna.

In presenza di interessi parimenti rilevanti nell’ambito dell’ordinamento giuridico, suscettibili di entrare in conflitto tra loro, al fine di evitare dubbi di compatibilità unionale o di legittimità costituzionale, occorre garantire, alla stregua dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, un bilanciamento equilibrato tra i beni in raffronto, tale da non determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva.

Come precisato dalla Corte costituzionale, in ambiti connotati da discrezionalità legislativa occorre “ […], verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988). Il test di proporzionalità utilizzato da questa Corte come da molte delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di giustizia dell’Unione europea per il controllo giurisdizionale di legittimità degli atti dell’Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi” (Corte costituzionale, 13 gennaio 2014, n. 1).

Parimenti, anche in ambito europeo, è stato affermato che “il principio di proporzionalità esige che gli strumenti istituiti da una disposizione di diritto dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non eccedano quanto è necessario per raggiungerli (sentenze del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa,C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 122 nonché giurisprudenza ivi citata, e del 29 novembre 2018, National Iranian Tanker Company/Consiglio, C‑600/16 P, EU:C:2018:966, punto 76)” (Corte di Giustizia U.E., 31 gennaio 2019, in causa C – 225/17, Islamic Republic of Iran Shipping Lines).

La disciplina positiva, dunque, deve essere interpretata in maniera da assicurare la proporzionalità e la ragionevolezza della regolazione, attribuendo il significato precettivo idoneo a consentire la realizzazione dell’esigenza di tutela sottesa alla norma violata, secondo modalità, tuttavia, che, ove incidenti in senso limitativo su altri beni giuridici pure rilevanti per l’ordinamento, non ne determinino una limitazione eccessiva, con l’imposizione di oneri sproporzionati rispetto agli obiettivi di protezione perseguiti.

Con specifico riferimento alla materia radiotelevisiva, rilevante nel presente giudizio, il legislatore europeo, dopo aver previsto la possibilità per gli Stati membri di richiedere alle emittenti soggette alla loro giurisdizione di rispettare norme più particolareggiate o più rigorose nel settore oggetto di regolazione (art. 3 dir. 89/552/CEE, come modificata dalla dir. 97/36/CE; cfr. all’attualità art. 4, par. 1, direttiva 2010/13/UE), ha avvertito l’esigenza di assicurare un bilanciamento tra, da un lato, le esigenze di tutela dei minori e della dignità umana nei servizi audiovisivi e di informazione (valorizzata nel considerando n. 6 della dir. n. 36 del 1997 cit.), dall’altro, le esigenze di diffusione e distribuzione di servizi di televisione, costituente una specifica manifestazione del principio più generale della libertà di espressione, sancito dall'articolo 10, paragrafo 1 della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (considerando n. 8 della dir. 89/552/CEE).

In particolare, in subiecta materia è stata operata una distinzione tra programmi soggetti a divieto assoluto di trasmissione e quelli suscettibili di essere autorizzati in ragione di specifiche circostanze da valutarsi nel caso concreto, avuto riguardo all’orario di trasmissione o agli accorgimenti tecnici impiegati.

Ai sensi dell’art. 22 dir. 89/552/CEE, come modificata dalla dir. 97/36/CE, “1. Gli Stati membri adottano le misure atte a garantire che le trasmissioni delle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione non contengano alcun programma che possa nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, in particolare programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita. 2. I provvedimenti di cui al paragrafo 1 si applicano anche agli altri programmi che possono nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, a meno che la scelta dell'ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell'area di diffusione assistano normalmente a tali programmi. 3. Inoltre, qualora tali programmi siano trasmessi in chiaro, gli Stati membri fanno sì che essi siano preceduti da un'avvertenza acustica ovvero siano identificati mediante la presenza di un simbolo visivo durante tutto il corso della trasmissione”; parimenti, ai sensi dell’art. 22 bis della medesima direttiva, “Gli Stati membri fanno sì che le trasmissioni non contengano alcun incitamento all'odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità”.

La disciplina di cui agli artt. 22 e 22 bis cit. sembra imporre una differenziazione di disciplina tra programmi assolutamente vietati, in quanto idonei a nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni (o contenenti incitamento all'odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità), e programmi che, in quanto suscettibili di pregiudicare (non gravemente) lo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, sono vietati in via relativa, salvo che la scelta dell'ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell'area di diffusione assistano normalmente a tali programmi.

Come precisato nel 40° Considerando della direttiva 97/36/CE, “l'istituzione di una netta distinzione tra i programmi soggetti a divieto assoluto e quelli che possono essere autorizzati in presenza di determinati accorgimenti tecnici dovrebbe rispondere alla preoccupazione in materia di pubblico interesse degli Stati membri e della Comunità”.

Tale distinzione risulta, quindi, giustificata dall’esigenza di garantire il principio di proporzionalità in materia televisiva, evitando che un bene giuridico (libertà di espressione attraverso il mezzo televisivo) sia eccessivamente compromesso, ove posto in raffronto con altro bene, comunque meritevole di prelevante protezione (sviluppo fisico, psichico o morale del minore, alla stregua di quanto previsto dal 32° Considerando della direttiva 89/552/CEE).

La distinzione tra divieti assoluti e relativi di trasmissione non sembra, peraltro, possa essere esclusa neanche sulla base dell’art. 3 dir. n. 89/552/CEE che, sebbene legittimi gli Stati membri a richiedere alle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione di rispettare norme più particolareggiate o più rigorose nei settori disciplinati dalla direttiva, attribuisce una facoltà da esercitare pur sempre nell’osservanza dei principi dell’ordinamento unionale, tra cui deve essere annoverato il principio di proporzionalità.

Come precisato dalla Corte di Giustizia, infatti, “Risulta dalla giurisprudenza della Corte che il principio di proporzionalità fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione che devono essere rispettati da una normativa nazionale che rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione o che costituisce attuazione del medesimo (sentenza del 6 marzo 2014, Siragusa, C‑206/13, EU:C:2014:126, punto 34)” (Corte di Giustizia U.E., sentenza dell’11 aprile 2019, Repsol Butano SA, cause riunite C‑473/17 e C‑546/17, punto 39).

Tanto è desumibile, anche, dalla Direttiva 2007/65/CE che, incidendo sull’art. 3 dir. n. 89/552/CEE, ha confermato che gli Stati membri conservano la facoltà di richiedere ai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione di rispettare norme più particolareggiate o più rigorose nei settori coordinati dalla stessa direttiva, precisando, tuttavia, la necessità che “tali norme siano conformi al diritto comunitario”, con una previsione avente la funzione di chiarire un precetto già ricavabile dal diritto unionale, che impone al legislatore europeo e a quello nazionale di esercitare il potere normativo loro spettante, nei margini di discrezionalità ad essi riservati, pur sempre nel rispetto dei principi generali del diritto europeo: “per quanto attiene al principio di proporzionalità, occorre rilevare che, dal momento che i principi generali del diritto, tra i quali figura tale principio, fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione, essi devono essere rispettati dalle istituzioni dell’Unione, ma altresì dagli Stati membri nell’esercizio dei poteri loro conferiti dalle direttive dell’Unione (sentenza del 2 giugno 2016, ROZ-ŚWIT, C‑418/14, EU:C:2016:400, punto 20)” (Corte di Giustizia U.E., sentenza del 30 gennaio 2019, Planta Tabak-Manufaktur Dr. Manfred Obermann GmbH & Co. KG, in causa C - 220/17, punto 78).

Anche il Considerando 32 direttiva 2007/65/CE richiama la necessità che “Gli Stati membri dovrebbero poter applicare ai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione norme più dettagliate o severe nei settori coordinati dalla presente direttiva, assicurandosi che tali norme siano conformi ai principi generali del diritto comunitario …”.

Ne deriva che l’esercizio delle facoltà riconosciute dall’art. 3 cit. deve pur sempre avvenire nel rispetto dei principi unionali, tra cui, per quanto di interesse nella presente vertenza, assume particolare importanza il principio di proporzionalità, cui è ispirata la differenziazione tra divieti assoluti e divieti relativi di trasmissione.

Pertanto, i legislatori nazionali, nell’esercizio della discrezionalità riconosciuta dall’art. 3 cit. pur potendo ampliare le fattispecie di divieto assoluto - mediante la regolazione di condotte ritenute ex lege e, quindi, in via di presunzione assoluta, gravemente pregiudizievoli per lo sviluppo fisico, morale e psichico del minore, come tali da assoggettare al regime di divieto assoluto-, non sembra possano spingersi fino ad eliminare la distinzione tra divieti assoluti e relativi di trasmissione.

Tale distinzione, infatti, espressamente valorizzata in materia di tutela dei minori dal legislatore europeo, trova la propria ragione giustificatrice nel superiore principio di proporzionalità, assicurando un equo bilanciamento tra interessi contrapposti, evitando che la libertà di espressione possa essere limitata, mediante l’imposizione di un divieto assoluto di trasmissione, anche qualora possa escludersi che il telespettatore minorenne, in ragione della scelta dell'ora di trasmissione o di qualsiasi altro accorgimento tecnico, assista normalmente ai relativi programmi.

In siffatte ipotesi, in conclusione, sempre che il programma per propria natura non sia gravemente pregiudizievole per lo sviluppo fisico, psichico o morale del minore, l’imposizione di un divieto assoluto di trasmissione potrebbe rivelarsi sproporzionata, in quanto non necessaria per il conseguimento dell’obiettivo di tutela perseguito.

2.2 Alla stregua di tale cornice normativa è possibile delineare il contenuto precettivo dell’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990 nella parte in cui vieta le trasmissioni “che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori”.

La previsione nazionale deve, in particolare, essere intesa alla luce della disciplina europea, in maniera da riaffermare la distinzione tra fattispecie di pericolo presunto dal legislatore, soggette ad un divieto assoluto di trasmissione, e fattispecie di pericolo concreto, in relazione alle quali, al fine di verificare se la trasmissione possa essere vietata, occorre valutare la sua concreta idoneità a ledere il benessere del minore, tenuto conto, in particolare, degli elementi valorizzati dal legislatore unionale, rappresentati dall'ora di trasmissione o da qualsiasi altro accorgimento tecnico idoneo ad escludere che i minorenni che si trovano nell'area di diffusione assistano normalmente a tali programmi.

Tale interpretazione, del resto, consentendo di circoscrivere l’ambito di applicazione del divieto di trasmissioni televisive alla stregua delle previsioni europee, risulta necessitata al fine di evitare, oltre che un dubbio di compatibilità unionale con il combinato disposto di cui agli artt. 22 e 22 bis dir. 89/552/CEE, come modificata dalla dir. 97/36/CE:

- una sproporzionata limitazione della libertà di espressione, in una misura eccedente rispetto a quanto necessario per tutelare il prevalente interesse del minore, conseguente all’imposizione del divieto di trasmissione anche per programmi concretamente inidonei a mettere in pericolo lo sviluppo fisico, psichico e morale del telespettatore minorenne;

- un dubbio di legittimità costituzionale, per violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in relazione alla disciplina dettata dall’art. 3 bis, comma 3, L. n. 249/97 (vigente al tempo dei fatti di causa) in materia di trasmissioni transfrontaliere, fondata sulla distinzione tra divieto assoluto di trasmissione e divieto relativo, non operante qualora “la scelta dell'ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell'area di diffusione assistano normalmente a tali programmi”; sicché, al fine di evitare un’irragionevole discriminazione tra fattispecie omogenee, la distinzione tra divieto assoluto e relativo di trasmissione (quest’ultimo da valutare tenendo conto dell’ora di trasmissione o degli accorgimenti tecnici all’uopo adottati) dovrebbe predicarsi anche per le trasmissioni nazionali;

- un’eccessiva dilatazione dell’attività interpretativa, foriera di incertezza giuridica, sub specie di imprevedibilità delle decisioni all’uopo da assumere - con conseguente violazione dei principi di determinatezza della fattispecie e di tassatività nell’interpretazione, operanti anche nella materia sanzionatoria amministrativa – derivante dall’assenza di specifici parametri di riferimento (quali sono, invece, l’ora di trasmissione o gli accorgimenti tecnici adottati) suscettibili di orientare il giudizio di concreta offensività del programma in esame.

Occorre, quindi, intendere l’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990 -nella parte in cui vieta le trasmissioni “che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori”- alla stregua della normativa sovranazionale, ritenendo che l’idoneità a nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori debba essere negata qualora, in ragione dell'ora di trasmissione o di qualsiasi altro accorgimento tecnico all’uopo impiegato dall’emittente televisiva, possa escludersi che i minorenni che si trovano nell'area di diffusione assistano normalmente a tali programmi.

Anche la Corte di cassazione, chiamata a pronunciare in subiecta materia, ha ritenuto la disciplina sovranazionale rilevante ai fini della definizione della portata applicativa del divieto imposto dall’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990: “tenuto anche conto del più generale principio dell'interpretazione delle norme nazionali in senso "conforme al diritto comunitario", affermato esplicitamente dalla Corte di Lussemburgo a partire dalla sentenza del 13 novembre 1990 nella causa C-106/89 - la disposizione dell'art. 15 comma 10 primo periodo (ferme restando le altre ipotesi, previste nel secondo e nel terzo periodo) della legge n. 223 del 1990 deve essere "integrata" con le previsioni derogatorie stabilite dall'art. 22 della Direttiva del 1989, risultandone, in tal modo, la seguente formulazione: "È vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, a meno che la scelta dell'ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell'area di diffusione assistano normalmente a tali programmi".

Siffatta integrazione della fattispecie di illecito amministrativo in esame, oltreché conformare la disposizione nazionale al diritto comunitario, rende anche la disposizione stessa compatibile, sotto i profili considerati, con la nostra Costituzione: diversamente opinando, infatti, la disposizione stessa colliderebbe sia con l'art. 3 comma 1, sia con l'art. 21. Con il primo, perché, in mancanza delle predette disposizioni derogatorie, verrebbe a determinarsi una ingiustificata disparità di trattamento giuridico tra situazioni palesemente omogenee: vale a dire, tra l’ipotesi di illecito prefigurate, per le "trasmissioni transfrontaliere", dall'art. 3-bis comma 3 lett. b) della legge n. 249 del 1997 (introdotto dall'art. 51 della legge n. 39 del 2002) - che, attuando compiutamente la Direttiva del 1989, prevede le deroghe in questione (cfr., supra, n. 2.2 lett. D) - e quelle di illecito amministrativo considerate dall'art. 15 comma 10 primo periodo della legge n. 223 del 1990, che, non prevedendole esplicitamente, priva l'emittente di "trasmissioni nazionali" della possibilità di far valere la concreta inidoneità della trasmissione ad arrecare pregiudizio allo sviluppo dei minori. Con il secondo, perché l'omessa previsione delle deroghe in esame pregiudicherebbe le libertà ed i diritti garantiti dall'art. 21 Cost., proprio nelle ipotesi in cui il legislatore comunitario prima e quello nazionale poi hanno ragionevolmente previsto che, in presenza di determinate condizioni di orario della trasmissione o di accorgimenti tecnici adeguati, le ragioni di protezione dei minori sono normalmente insussistenti” (Cassazione, sez. I, 6 aprile 2004, n. 6760).

2.3 Precisata la necessità di intendere la disciplina interna alla stregua della normativa europea, occorre verificare quali siano i parametri suscettibili di essere presi in esame per individuare l’ora di trasmissione o gli accorgimenti tecnici rilevanti nel formulare il giudizio di pericolosità in concreto, richiesto dall’art. 15, comma 10, L. n. 223/90 per l’integrazione del relativo illecito.

Al riguardo, è possibile fare riferimento alla disciplina recata dall’art. 10, comma 1, L. n. 112/2004 (nella formulazione ratione temporis applicabile alla specie), ai sensi del quale “Fermo restando il rispetto delle norme comunitarie e nazionali vigenti a tutela dei minori e in particolare delle norme contenute nell'articolo 8, comma 1, e nell'articolo 15, comma 10, della legge 6 agosto 1990, n. 223, le emittenti televisive devono osservare le disposizioni per la tutela dei minori previste dal Codice di autoregolamentazione TV e minori approvato il 29 novembre 2002. Eventuali integrazioni, modifiche o adozione di nuovi documenti di autoregolamentazione sono recepiti con decreto del Ministro delle comunicazioni, emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previo parere della Commissione parlamentare di cui alla legge 23 dicembre 1997, n. 451”.

Il legislatore, in particolare, al fine di conformare l’azione delle emittenti televisive, ha inteso operare un rinvio al codice di autoregolamentazione TV e minori approvato il 29 novembre 2002, evidentemente in quanto ritenuto idoneo ad assicurare un equo bilanciamento tra i contrapposti interessi potenzialmente in conflitto.

La disciplina dettata dalla fonte di autoregolamentazione in parola, pur non potendo modificare o derogare alla disciplina positiva, costituisce, dunque, un utile parametro di riferimento (oggetto di espresso rinvio normativo), suscettibile di essere preso in esame per riscontrare l’offensività in concreto della condotta tenuta dall’emittente televisiva.

Detto Codice, infatti, da un lato, fissa delle fasce orarie di protezione per il pubblico minorenne, individuando, quindi, a contrario, fasce orarie in cui può escludersi che i minorenni nell'area di diffusione assistano normalmente ai relativi programmi; dall’altro, delinea taluni accorgimenti tecnici da impiegare nell’ambito delle fasce di protezione, al fine di evitare che la trasmissione si riveli concretamente idonea a pregiudicare le esigenze di tutela del pubblico minorenne.

In particolare, per quanto più interessa ai fini del presente giudizio, avuto riguardo all’orario di trasmissione, il codice prescrive speciali accorgimenti per la protezione dell’utenza sia nella fascia oraria 16.00-19.00, qualificata come “televisione per i minori” (paragrafo 3), sia nella fascia oraria 7.00-22.30, qualificata come “televisione per tutti” (paragrafo 2), in relazione alla quale prevede:

a) gli obblighi di rispettare in modo più rigoroso possibile gli orari della programmazione e di dare esauriente e preventiva informazione relativamente ai programmi dedicati ai minori e sull’intera programmazione, segnalando in particolare i programmi adatti ad una fruizione familiare congiunta e quelli invece adatti ad una visione per un pubblico più adulto;

b) l’adozione di sistemi di segnalazione dei programmi di chiara evidenza visiva in relazione alla maggiore o minore adeguatezza della visione degli stessi da parte del pubblico dei minori all’inizio di ciascun blocco di trasmissione, con particolare riferimento ai programmi trasmessi in prima serata; nonché

c) nel caso di imprese televisive nazionali che gestiscono più di una rete con programmazione a carattere generalista e non con caratteristiche tematiche specifiche, la trasmissione ogni giorno, in prima serata, di programmi adatti ad una fruizione familiare congiunta almeno su una rete, dandone adeguata informazione.

Con particolare riferimento ai film, fiction e spettacoli vari il Codice cit. prevede, altresì, l’adozione, a cura delle emittenti televisive di propri strumenti di valutazione circa l’ammissibilità in televisione dei relativi programmi, a tutela del benessere morale, fisico e psichico dei minori, nonché l’obbligo di annunciare, con congruo anticipo, le trasmissioni non adatte agli spettatori più piccoli, ripetendo detto avvertimento dopo ogni interruzione.

Parimenti, per le trasmissioni di intrattenimento, il Codice prende in esame l’impostazione o i modelli proposti dalla singola trasmissione, vietando quegli spettacoli che possano nuocere allo sviluppo dei minori e, in particolare, che usino in modo strumentale i conflitti familiari come spettacolo creando turbamento nei minori, preoccupati per la stabilità affettiva delle relazioni con i loro genitori; nonché in cui si faccia ricorso gratuito al turpiloquio e alla scurrilità o si offendano le confessioni e i sentimenti religiosi.

Alla luce delle osservazioni svolte, la portata precettiva dell’art. 15, comma 10, l. n. 223/1990, nella parte in cui vieta la trasmissione di programmi “che possono nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori”, deve essere ricostruita avendo riguardo, altresì, all’ora della trasmissione o agli specifici accorgimenti tecnici impiegati dall’emittente televisiva per escludere che i minorenni che si trovano nell'area di diffusione assistano normalmente a tali programmi, tenendo conto, pure, della disciplina di autoregolamentazione di settore - specificatamente richiamata dal legislatore (art. 10 L. n. 112/04) per conformare la condotta delle emittenti televisive-, alla stregua della quale formulare il giudizio di pericolosità in concreto necessario per l’integrazione della relativa fattispecie illecita.

3. L’applicazione delle coordinate ermeneutiche supra tracciate conduce all’accoglimento del primo motivo di appello.

Nel provvedimento sanzionatorio impugnato in prime cure l’Autorità, dopo aver richiamato le emergenze istruttorie e individuato la fonte normativa del potere sanzionatorio, ha ritenuto, sotto il profilo degli elementi costitutivi oggettivi, integrata la violazione dell’art. 15, comma 10, l. n. 223/1990, sub specie di divieto di trasmissioni “che possono nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori” sulla base della circostanza per cui “la pronuncia di una bestemmia nell’ambito di un “reality show”, seguito da larga porzione di pubblico, anche in relazione all’orario di trasmissione, è idonea a suscitare nei minori in ascolto la legittimazione all’uso di un linguaggio aggressivo e blasfemo, configurandosi, nel suo insieme, come nocivo degli interessi morali, etici e di corretto sviluppo psichico degli stessi”.

L’Autorità, inoltre, sotto il profilo del coefficiente psicologico di colpevolezza, ha ritenuto che “la circostanza che l’organizzazione del programma abbia preventivamente adottato ogni cautela per evitare situazioni che possono recare nocumento ai minori e che si sia stato trattato di un episodio involontario, non esclude la responsabilità dell’emittente giacché grava sulla stessa l’obbligo di vigilare sulla rispondenza delle trasmissioni alla normativa vigente in materia di diffusione di programmi radio televisivi”.

Avuto riguardo agli elementi oggettivi dell’illecito, l’Autorità ha, pertanto, preso in esame: a) la condotta ascritta all’emittente televisiva (trasmissione di un programma contenente una bestemmia); b) la tipologia di programma (reality show seguito da larga porzione di pubblico); nonché c) l’orario di trasmissione, ritenendo che tali elementi fossero tali da integrare l’elemento di pericolo richiesto dalla norma violata: idoneità a pregiudicare lo sviluppo fisico, morale o psichico del minore, sub specie di idoneità a suscitare nei minori in ascolto la legittimazione all’uso di un linguaggio aggressivo e blasfemo, configurandosi, nel suo insieme, come nocivo degli interessi morali, etici e di corretto sviluppo psichico degli stessi.

Il provvedimento impugnato in prime cure non risulta immune dai vizi di legittimità censurati dall’appellante con il primo motivo di impugnazione.

Difatti, la valutazione svolta dall’Autorità risulta, nella specie, incentrata, oltre che sulla condotta ascritta all’emittente televisiva, su altri elementi che, tuttavia, o conducono ad un giudizio contrario rispetto a quello sotteso al provvedimento sanzionatorio ovvero sono, di per sé, privi di disvalore giuridico ai fini della formulazione del giudizio di pericolosità, necessario per l’integrazione della relativa fattispecie illecita.

3.1 In particolare, la condotta ascritta all’emittente, tradottasi nella trasmissione di un programma nel corso del quale uno dei partecipanti ha proferito una bestemmia, deve valutarsi di per sé in maniera negativa, esprimendo sicuro disvalore giuridico per l’ordinamento (cfr. art. 724 c.p., nella formulazione risultante e nell’interpretazione data da Corte cost. n. 440/95): tuttavia, ai limitati effetti di cui all’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990, sulla base del quale deve valutarsi la legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, la condotta, da sola, non è sufficiente ad integrare l’illecito.

Come osservato nella ricostruzione del quadro normativo di riferimento, diversamente da quanto avviene per gli illeciti di pericolo presunto, per i quali il legislatore, con valutazione generale e astratta, ritiene meritevole di sanzione un dato comportamento tipizzato che, ove concretamente tenuto, permette di ritenere integrato l’illecito, per le fattispecie di pericolo concreto, qual è quella rilevante nella specie, l’esposizione a pericolo del bene tutelato rappresenta un elemento costitutivo ulteriore rispetto alla condotta in sé considerata, dovendo essere accertato attraverso l’esame delle specifiche circostanze concretamente occorse.

Nel caso in esame l’Autorità non ha contestato all’odierno appellante l’irradiazione di trasmissioni recanti scene di violenza gratuita o pornografiche o che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità – fattispecie di pericolo astratto, in relazione alle quali la sola condotta sarebbe stata sufficiente ad integrare l’illecito – bensì ha sanzionato un comportamento ritenuto idoneo a nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, per propria natura richiedente, alla luce delle considerazione supra svolte, un giudizio di pericolosità in concreto.

Ne deriva che, ai fini dell’integrazione dell’illecito di cui all’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990, non è sufficiente l’esame della sola condotta attribuita all’operatore economico, occorrendo, al contempo, analizzare anche il contesto in cui la stessa è concretamente inserita.

Al riguardo, procedendo (correttamente) all’analisi delle circostanze specifiche rilevate nel caso in esame, l’Autorità ha valorizzato elementi ulteriori rispetto alla condotta, rappresentati dall’orario di trasmissione e dalla tipologia di programma in contestazione.

3.2 Relativamente all’orario di trasmissione, la valutazione espressa dall’Autorità non risulta, tuttavia, coerente con la disciplina di autoregolamentazione del settore radiotelevisivo, tenuto conto che la condotta sanzionata è stata tenuta alle ore 22:40 e, pertanto, in una fascia oraria non rientrante nella cd. televisione per tutti, avente un’estensione temporale dalle 7.00 alle 22.30 (paragrafo 2 codice di autoregolamentazione cit.).

Né potrebbe valorizzarsi la prossimità dell’orario di trasmissione al termine finale della “televisione per tutti”, tenuto conto che in materia sanzionatoria deve prediligersi un approccio ermeneutico rispettoso del principio di tassatività.

Pertanto, a fronte di una chiara demarcazione dell’orario di trasmissione dedicato alla generalità dei telespettatori, avente come termine finale l’orario delle 22:30, definito da una disciplina di autoregolamentazione espressamente richiamata dal legislazione nazionale (art. 10 L. n. 112/04), non sembra possibile estendere tale fascia oraria sulla base di criteri di contiguità o prossimità temporale, per propria natura esposti alla soggettività dell’interpretazione, quindi, forieri di incertezze applicative, da evitare in materia sanzionatoria.

Ne deriva che l’orario della trasmissione in contestazione, in quanto non compreso nella fascia temporale dedicata alla televisione per tutti, non è utilmente valorizzabile per formulare il giudizio di pericolosità concreta richiesto dall’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990, facendosi questione di un arco temporale in relazione al quale si presume che i minorenni nell'area di diffusione non assistano normalmente ai relativi programmi.

3.3 Altro elemento valorizzato dall’Autorità attiene alla tipologia di programma in contestazione: reality show, seguito da larga porzione di pubblico.

Tale circostanza, tuttavia:

- da un lato, con riferimento all’utenza, non consente di ritenere provata la visione da parte di una larga porzione di pubblico minorenne, tenuto conto che il riferimento operato nel provvedimento è genericamente rivolto al “pubblico”, senza precisare se si faccia questione di pubblico maggiorenne o minorenne; in ogni caso, dall’orario di trasmissione, al di fuori della fascia temporale della “televisione per tutti”, emerge una presunzione opposta, incentrata sulla mancata visione da parte di minorenni telespettatori;

- dall’altro, relativamente alla tipologia del programma in onda, richiama un elemento astratto, in quanto riconducibile ad una classe omogenea di trasmissioni televisive, non idoneo a ricostruire il contesto concreto in cui la condotta è stata tenuta.

Sotto tale profilo, l’esigenza di analizzare -anziché il tipo di programma in contestazione - le circostanze specifiche delineanti la fattispecie concreta esaminata, oltre a derivare dalla natura di illecito (di pericolo concreto) prevista dall’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990, è riaffermata dal Codice di autoregolamentazione cit. che, nel regolare le trasmissioni di intrattenimento, lungi dal desumere dalla tipologia di programma un elemento di disvalore ai fini del giudizio di pericolosità in concreto, richiede di indagare l’impostazione o i modelli proposti dalla specifica trasmissione in esame.

Il provvedimento impugnato in primo grado, come censurato dall’appellante, difetta di un tale esame, tenuto conto che non analizza l’impostazione della singola trasmissione in contestazione, bensì opera un riferimento ad un elemento astratto (tipologia di programma, riconducibile al modello dei reality show), di per sé valevole per una classe omogenea di programmi, come tale, per propria natura, non utilmente invocabile per verificare se la condotta concretamente tenuta fosse effettivamente idonea a porre in pericolo il bene tutelato dalla norma (ritenuta) violata.

3.4 Alla stregua delle considerazioni svolte, emerge che le circostanze esaminate dall’Autorità per accertare la pericolosità concreta della condotta contestata, da un lato, conducono ad un giudizio opposto a quello sotteso al provvedimento sanzionatorio (orario di trasmissione in fascia diversa rispetto a quella della “televisione per tutti”), dall’altro, non riguardano lo specifico contesto in cui la condotta è stata tenuta, richiamando elementi astratti (tipologia del programma), per propria natura inidonei a sorreggere una valutazione da ancorare al caso concreto.

4. L’accoglimento del primo motivo di appello comporta l’assorbimento dei rimanenti motivi di impugnazione, diretti a contestare: a) la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito e, in particolare, l’ascrizione in capo all’operatore economico di un dovere di vigilanza sulla rispondenza delle trasmissioni alla normativa di settore, senza valutarne la concreta esigibilità alla luce delle circostanze specifiche del caso concreto (secondo motivo); nonché b) la graduazione della sanzione in concreto irrogata, alla stregua della gravità della violazione, dell’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione, della personalità dell’agente e le condizioni economiche dell’agente (terzo motivo).

Difatti, l’assenza dell’elemento oggettivo dell’illecito, comportando, in riforma della sentenza appellata, l’annullamento del provvedimento sanzionatorio impugnato in primo grado, rende privo di utilità concreta l’esame delle doglianze concernenti il coefficiente psicologico di colpevolezza in ipotesi ascrivibile in capo all’emittente televisiva o il quantum della sanzione all’uopo irrogabile.

5. La particolarità della vicenda contenziosa giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello ai sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla i provvedimenti impugnati in primo grado.

Compensa tra le parti le spese processuali del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Sergio Santoro, Presidente

Bernhard Lageder, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere, Estensore