• Tutela dei consumatori - Pratiche scorrette

4 luglio 2019

Corte di Giustizia 04/07/2019 (causa C-393/17) [Tutela dei consumatori – Pratiche commerciali sleali – Rinvio pregiudiziale –  Direttiva 2005/29/CE – Ambito di applicazione – Nozione di “pratiche commerciali” – Direttiva 2006/123/CE – Servizi nel mercato interno – Diritto penale]

Tutela dei consumatori – Pratiche commerciali sleali – Rinvio pregiudiziale –  Direttiva 2005/29/CE – Ambito di applicazione – Nozione di “pratiche commerciali” – Direttiva 2006/123/CE – Servizi nel mercato interno – Diritto penale – Regimi di autorizzazione – Istruzione superiore – Diploma che conferisce il grado di “master” – Divieto di conferire taluni gradi senza autorizzazione»

Nella causa C‑393/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo hof van beroep te Antwerpen (Corte d’appello di Anversa, Belgio), con decisione del 7 giugno 2017, pervenuta in cancelleria il 30 giugno 2017, nel procedimento

Freddy Lucien Magdalena Kirschstein,

Thierry Frans Adeline Kirschstein,

con l’intervento della:

Vlaamse Gemeenschap,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da M. Vilaras, presidente della Quarta Sezione, facente funzione di presidente della Terza Sezione, J. Malenovský, L. Bay Larsen (relatore), M. Safjan e D. Šváby, giudici,

avvocato generale: M. Bobek

cancelliere: M. Ferreira, amministratrice principale,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 luglio 2018,

considerate le osservazioni presentate:

–   per F.L.M. e T.F.A. Kirschstein, da T. Bauwens, H. de Bauw e M. Vandebeek, advocaten;

–   per la Vlaamse Gemeenschap, da J. Vandeuren e P. Vansteenkiste, advocaten;

–   per il governo belga, da L. Van den Broeck e M. Jacobs, in qualità di agenti, assistite da Y. Moussoux e M. Karolinski, avocats;

–   per il governo tedesco, inizialmente da T. Henze e J. Möller, successivamente da J. Möller, in qualità di agenti;

–   per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da F. Varrone, avvocato dello Stato;

–   per il governo dei Paesi Bassi, da J. Langer e M. K. Bulterman, in qualità di agenti;

–   per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–   per il governo svedese, da A. Falk, C. Meyer-Seitz, H. Shev, L. Zettergren e A. Alriksson, in qualità di agenti;

–   per il governo norvegese, da T. Sunde, e M.Reinertsen Norum, in qualità di agenti;

–    per la Commissione europea, da F. Wilman, A. Nijenhuis, N. Ruiz García e H. Tserepa-Lacombe, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 novembre 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1   La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22) e della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36).

2   La domanda di cui trattasi è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale avviato a carico dei sigg. Freddy e Thierry Kirschstein, relativamente a un’asserita violazione di una disposizione penale nazionale che sanziona il fatto di conferire il grado di «master» senza aver ottenuto l’autorizzazione richiesta a tal fine.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 La direttiva 2005/29

3   Il considerando 7 della direttiva 2005/29 è formulato come segue:

«La presente direttiva riguarda le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori relative a prodotti. (...)».

4   L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue:

Ai sensi della presente direttiva, si intende per:

(...)

c) “prodotto”: qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;

d) “pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori” (in seguito denominate “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

(...)».

5   L’articolo 3, paragrafo 1, della citata direttiva prevede quanto segue:

«La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori (…) poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto».

 La direttiva 2006/123

6   Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 5, della direttiva 2006/123:

«La presente direttiva non incide sulla normativa degli Stati membri in materia di diritto penale. Tuttavia gli Stati membri non possono limitare la libertà di fornire servizi applicando disposizioni di diritto penale che disciplinano specificamente o influenzano l’accesso ad un’attività di servizi o l’esercizio della stessa, aggirando le norme stabilite nella presente direttiva».

7   L’articolo 2 di tale direttiva precisa quanto segue:

«1. La presente direttiva si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro.

2. La presente direttiva non si applica alle attività seguenti:

a) i servizi non economici d’interesse generale;

(...)

i) le attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri di cui all’articolo [51 TFUE];

(...)».

8   L’articolo 4 della direttiva di cui trattasi, intitolato «Definizioni», recita come segue:

«Ai sensi della presente direttiva, si intende per:

1. “servizio”: qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo [57 TFUE] fornita normalmente dietro retribuzione;

(...)

6) “regime di autorizzazione”: qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio;

(...)

8) “motivi imperativi d’interesse generale”: motivi riconosciuti come tali dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, tra i quali: (...) la tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi e dei lavoratori (...);

(...)».

9   Al capo III di tale direttiva, relativo alla libertà di stabilimento dei prestatori, è inserito l’articolo 9, intitolato «Regimi di autorizzazione», il quale al paragrafo 1 così dispone:

«Gli Stati membri possono subordinare l’accesso ad un’attività di servizio e il suo esercizio ad un regime di autorizzazione soltanto se sono soddisfatte le condizioni seguenti:

a) il regime di autorizzazione non è discriminatorio nei confronti del prestatore;

b) la necessità di un regime di autorizzazione è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale;

c) l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia».

10 L’articolo 10, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 prevede:

«1. I regimi di autorizzazione devono basarsi su criteri che inquadrino l’esercizio del potere di valutazione da parte delle autorità competenti affinché tale potere non sia utilizzato in modo arbitrario.

2. I criteri di cui al paragrafo 1 devono essere:

a) non discriminatori;

b) giustificati da un motivo imperativo di interesse generale;

c) commisurati all’obiettivo di interesse generale;

d) chiari e inequivocabili;

e) oggettivi;

f) resi pubblici preventivamente;

g) trasparenti e accessibili».

 Il diritto belga

11 L’articolo 25, paragrafo 7, del decreet betreffende de herstructurering van het hoger onderwijs in Vlaanderen (decreto relativo alla ristrutturazione dell’insegnamento superiore nelle Fiandre), del 4 aprile 2003 (Belgisch Staatsblad del 14 agosto 2003, pag. 41004), era formulato come segue:

«Chi conferisce i gradi di bachelor, o master – con o senza specializzazione –, o di doctor (doctor of philosophy, abbreviato in PhD o dr) o i gradi e i titoli di cui ai paragrafi 2, 3 4, 5 e 5bis, senza esservi autorizzato, è punito penalmente con una pena detentiva da otto giorni a tre mesi e con una pena pecuniaria da EUR 125 a EUR 500 oppure soltanto con una delle due pene succitate».

12 Tale disposizione è stata abrogata e il suo tenore letterale è stato ripreso all’articolo II.75, paragrafo 6, del Codex Hoger Onderwijs (codice dell’istruzione superiore), dell’11 ottobre 2013 (Belgisch Staatsblad del 27 febbraio 2014, pag. 15979).

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

13 I sigg. Kirschstein sono perseguiti per aver conferito il grado di «master» senza esservi stati autorizzati, rilasciando certificati e diplomi che conferiscono tale grado a studenti che hanno completato la formazione impartita dalla filiale di Anversa della United International Business Schools of Belgium BVBA.

14 Essi sono stati condannati dal Rechtbank van eerste aanleg te Antwerpen, afdeling Antwerpen (Tribunale di primo grado di Anversa, sede di Anversa, Belgio), con sentenza del 14 dicembre 2015, a una pena pecuniaria di EUR 300 ciascuno a titolo di detto reato.

15 Il 29 dicembre 2015 i sigg. Kirschstein e l’Openbaar Ministerie (pubblico ministero, Belgio) hanno interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio.

16 Dalla decisione di rinvio risulta che la United International Business Schools of Belgium è un istituto d’istruzione superiore non autorizzato dalla Vlaamse Gemeenschap (Comunità fiamminga, Belgio), che propone formazioni che portano al rilascio di diplomi di «master» in Belgio. Detta società belga è collegata alla società svizzera Global Education Services Switzerland AG (in prosieguo: la «GES Switzerland») e alla società spagnola Global Education Services Spain SA. La GES Switzerland coordina un sistema di istruzione superiore privato non disciplinato né sussidiato da fondi pubblici e che propone segnatamente corsi organizzati in Belgio.

17 Nel corso del procedimento penale principale i sigg. Kirschstein hanno in particolare sostenuto che la normativa nazionale che punisce il fatto di conferire il grado di «master», senza aver ottenuto l’autorizzazione richiesta a tal fine, sarebbe contraria alla direttiva 2005/29 e alla direttiva 2006/123.

18 In tale contesto, lo hof van beroep te Antwerpen (Corte di appello di Anversa, Belgio) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se la direttiva [2005/29] debba essere interpretata nel senso che osta al disposto dell’articolo II.75 paragrafo 6 del codice sull’istruzione superiore (…), che impone un divieto in via generale a istituti d’istruzione non riconosciuti di utilizzare il titolo di “master” sui diplomi da essi rilasciati, quando tale disposizione sia volta a vigilare su un motivo di interesse generale, ossia la necessità di garantire un elevato livello d’istruzione in relazione al quale si deve poter controllare se sono concretamente rispettati i prestabiliti requisiti di qualità.

2) Se la direttiva [2006/123] debba essere interpretata nel senso che osta al disposto dell’articolo II.75 paragrafo 6 del codice sull’istruzione superiore (…), che impone un divieto in via generale a istituti d’istruzione non riconosciuti di utilizzare il titolo di “master” sui diplomi da essi rilasciati, quando tale disposizione sia volta a vigilare su un motivo di interesse generale, ossia la tutela dei destinatari dei servizi.

3) Se la disposizione penale prevista per istituti d’istruzione non riconosciuti dalle autorità fiamminghe che rilasciano diplomi di “master” superi la verifica di proporzionalità, ai sensi degli articoli 9, paragrafo 1, lettera c), e 10, paragrafo 2, lettera c) della [direttiva 2006/123]».

 Sulla ricevibilità

19 La Comunità fiamminga nonché i governi belga, polacco e norvegese deducono argomenti che mettono in discussione, a vario titolo, la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale o di talune delle questioni che quest’ultima comporta.

20 In primo luogo, il governo polacco sostiene che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale non potrebbe essere esaminata sulla base della direttiva 2005/29 o della direttiva 2006/123, giacché dall’articolo 6 e dall’articolo 165, paragrafo 1, TFUE discende che l’organizzazione dei sistemi d’istruzione rientra nella competenza esclusiva degli Stati membri.

21 A tal riguardo, occorre rilevare, da un lato, che gli Stati membri sono tenuti ad esercitare le competenze loro riservate nel rispetto del diritto dell’Unione e, dall’altro, che non risulta da alcun elemento della direttiva 2005/29 o della direttiva 2006/123 che i servizi rientranti nell’insegnamento superiore si sottrarrebbero all’ambito di applicazione rispettivo delle direttive in parola. Di conseguenza, la competenza di cui dispongono gli Stati membri relativamente all’organizzazione del loro sistema d’istruzione non può avere l’effetto di sottrarre una disciplina come quella in discussione nel procedimento principale all’ambito di applicazione delle succitate direttive (v., per analogia, sentenza del 18 dicembre 2007, Jundt, C‑281/06, EU:C:2007:816, punti 86 e 87).

22 In secondo luogo, secondo la Comunità fiamminga nonché i governi belga, polacco e norvegese, dalle circostanze specifiche del procedimento principale risulta che le risposte fornite a tutte o a parte delle questioni sollevate non sono tali da influire sulla soluzione della controversia di cui al procedimento principale.

23 Difatti, anzitutto, il governo polacco ritiene, in via principale, che la direttiva 2006/123 non sia applicabile al procedimento principale, sulla base del rilievo che essa riguarderebbe una situazione puramente interna priva di qualsiasi elemento transfrontaliero. Inoltre, la Comunità fiamminga, il governo belga e, in subordine, il governo polacco ritengono che l’applicabilità di tale direttiva debba essere esclusa nel caso di specie, dal momento che i diplomi di «master» di cui trattasi nel procedimento principale sarebbero stati rilasciati dalla GES Switzerland la quale, in quanto società svizzera, non può avvalersi della detta direttiva. Infine, senza far valere esplicitamente l’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, il governo norvegese sottolinea che, se dovesse risultare accertato che la menzionata società ha effettivamente rilasciato tali diplomi, né la direttiva 2005/29 né la direttiva 2006/123 sarebbero applicabili al procedimento principale.

24 Nondimeno, quand’anche si dovesse ammettere che i diplomi di «master» di cui al procedimento principale sono stati rilasciati da una società belga e che gli elementi rilevanti del procedimento principale si collocano tutti, stante tale fatto, all’interno di un solo Stato membro, dalla giurisprudenza della Corte risulta che le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123, su cui vertono la seconda e terza questione presentate, si applicano parimenti a una situazione siffatta (v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2018, X e Visser, C‑360/15 e C‑31/16, EU:C:2018:44, punto 110).

25 Inoltre, gli argomenti relativi al ruolo specifico della GES Switzerland nella presente causa non possono, in ogni caso, essere accolti. Risulta difatti dalle informazioni fornite, su richiesta della Corte, dal giudice del rinvio, il quale è l’unico competente ad esaminare i fatti in discussione nel procedimento principale (v., in tal senso, sentenze del 28 luglio 2016, Kratzer, C‑423/15, EU:C:2016:604, punto 27, e del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C‑620/15, EU:C:2017:309, punto 35), che detto ruolo non è stato accertato e che i diplomi di «master» in discussione nel procedimento principale hanno potuto essere rilasciati vuoi da una società belga, vuoi da una società svizzera e una spagnola.

26 Non si può quindi ritenere che le risposte fornite alla seconda e alla terza questione non siano tali da influire sulla soluzione della controversia di cui al procedimento principale.

27 In terzo luogo, la Comunità fiamminga e il governo belga contestano la ricevibilità o la pertinenza delle questioni sollevate presentando diversi argomenti diretti a dimostrare che dette questioni si basano su un’interpretazione non corretta della direttiva 2005/29 e della direttiva 2006/123.

28 Tuttavia, tali divergenze interpretative riguardano il merito di suddette questioni e non possono, di conseguenza, condurre a constatare l’irricevibilità di queste ultime. La circostanza che le menzionate divergenze interpretative vertano in parte sull’applicabilità delle direttive in parola non può rimettere in discussione siffatta valutazione, dal momento che, laddove non appaia in modo manifesto che l’interpretazione di una disposizione dell’Unione non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto del procedimento principale, l’obiezione relativa all’inapplicabilità della disposizione di cui trattasi al procedimento principale non riguarda la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, ma rientra nel merito delle questioni poste (v., in tal senso, sentenza del 13 luglio 2006, Manfredi e a., da C‑295/04 a C‑298/04, EU:C:2006:461, punto 30).

29 In quarto luogo, il governo polacco fa valere che la decisione di rinvio non comprende l’esposizione del contenuto delle norme belghe che disciplinano l’autorizzazione a conferire il grado di «master» e che essa non fornisce, per tale motivo, sufficienti informazioni per consentire alla Corte di risolvere utilmente la seconda questione.

30 Al riguardo, l’articolo 94, lettera b), del regolamento di procedura della Corte prevede che la domanda di pronuncia pregiudiziale contenga il contenuto delle norme nazionali applicabili al procedimento principale e, se del caso, la giurisprudenza nazionale in materia.

31 Nel caso di specie si deve certamente rilevare che la decisione di rinvio non contiene una presentazione completa della normativa belga relativa alla procedura di autorizzazione a conferire il grado di «master».

32 Rimane nondimeno il fatto che il contenuto della disposizione penale su cui verte direttamente la seconda questione è chiaramente illustrato nella decisione di rinvio e che le informazioni presenti nella suddetta decisione sono sufficienti a consentire alla Corte di formulare talune indicazioni utili al giudice del rinvio, cui spetta in via esclusiva pronunciarsi sulla conformità della normativa belga al diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 1º luglio 2014, Ålands Vindkraft, C‑573/12, EU:C:2014:2037, punto 126 e giurisprudenza ivi citata), per decidere la controversia dinanzi ad esso pendente

33 In quinto e ultimo luogo, il governo belga sostiene che la terza questione sarebbe priva di pertinenza giacché il rilascio di diplomi nella Comunità fiamminga non sarebbe soggetto ad un regime di autorizzazione.

34 Va ricordato che non spetta alla Corte, nell’ambito del sistema di cooperazione giudiziaria istituito all’articolo 267 TFUE, pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni nazionali né giudicare o verificare se l’interpretazione che di queste norme dà il giudice del rinvio sia corretta (sentenza del 26 marzo 2015, Macikowski, C‑499/13, EU:C:2015:201, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

35 Pertanto, dal momento che l’argomento così presentato dal governo belga si fonda su un’interpretazione della normativa nazionale diversa da quella accolta dal giudice del rinvio, il medesimo non può condurre alla constatazione dell’irricevibilità della terza questione.

36 Alla luce di quanto precede, occorre dichiarare la domanda di pronuncia pregiudiziale ricevibile nel suo complesso.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

37 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede la condanna penale delle persone che conferiscono, senza esservi state previamente autorizzate dall’autorità competente, un grado di «master».

38 Secondo una costante giurisprudenza della Corte, una normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2005/29 solamente allorché i comportamenti oggetto di suddetta normativa costituiscono pratiche commerciali ai sensi della direttiva in parola (v., in tal senso, sentenze del 14 gennaio 2010, Plus Warenhandelsgesellschaft, C‑304/08, EU:C:2010:12, punto 35, e del 17 ottobre 2013, RLvS, C‑391/12, EU:C:2013:669, punto 35).

39 A tale riguardo, dall’articolo 2, lettera d), di detta direttiva, risulta che per «pratiche commerciali» s’intende qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori. La nozione di «prodotto» come definita all’articolo 2, lettera c), della richiamata direttiva si riferisce a qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni.

40 Inoltre, dalla formulazione stessa dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2005/29 risulta che tali pratiche commerciali si svolgono prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto.

41 Le pratiche considerate devono, segnatamente, essere direttamente connesse alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori (v., in tal senso, sentenze del 17 ottobre 2013, RLvS, C‑391/12, EU:C:2013:669, punto 37, e del 4 ottobre 2018, Kamenova, C‑105/17, EU:C:2018:808, punto 42).

42 Ne consegue che se dette pratiche commerciali sono strettamente connesse a una transazione commerciale relativa a un prodotto, esse non si confondono tuttavia con il prodotto oggetto di tale transazione.

43 Pratiche, quindi, che rientrano nella strategia commerciale di un prestatore di servizi e che sono rivolte direttamente alla promozione e allo smercio dei suoi servizi costituiscono pratiche commerciali (v., in tal senso, sentenze del 9 novembre 2010, Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, C‑540/08, EU:C:2010:660, punto 18, e del 17 ottobre 2013, RLvS, C‑391/12, EU:C:2013:669, punto 36).

44 In siffatto contesto, la Corte ha collegato l’applicabilità della direttiva 2005/29 al contempo alla qualità di pratiche commerciali delle pratiche in discussione e alla qualità di prodotto dei servizi cui dette pratiche si correlavano, senza confondere tali due elementi (v., in tal senso, sentenze del 4 maggio 2017, Vanderborght, C‑339/15, EU:C:2017:335, punti da 23 a 25, e del 13 settembre 2018, Wind Tre e Vodafone Italia, C‑54/17 e C‑55/17, EU:C:2018:710, punto 39).

45 Da quanto precede discende che una norma nazionale volta a determinare l’operatore che è autorizzato a fornire un servizio oggetto di una transazione commerciale, senza disciplinare direttamente le pratiche che tale operatore può in seguito attuare per promuovere o smaltire le vendite di tale servizio, non può essere considerata come riferita a una pratica commerciale in relazione diretta con la fornitura di detto servizio, ai sensi della direttiva 2005/29.

46 Al riguardo, occorre constatare che una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale non verte sulle modalità di promozione o di commercializzazione di servizi nel settore dell’istruzione superiore, ma riguarda l’autorizzazione di un operatore a fornire tali servizi, quando essi comprendono il conferimento di un determinato grado universitario, il quale beneficia di una tutela giuridica specifica e consente, se del caso, di accedere ad una serie di prerogative determinate.

47 Una siffatta normativa si distingue così nettamente da regole che avrebbero lo scopo di prevedere il modo in cui un operatore autorizzato a fornire servizi di tale natura può promuovere la commercializzazione dei medesimi, in particolare rivendicando un segno distintivo di qualità o l’approvazione di un’università rinomata.

48 Non si può quindi ritenere che una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale rientri nell’ambito delle disposizioni relative alle pratiche commerciali ai sensi della direttiva 2005/29.

49 Di conseguenza, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che la direttiva 2005/29 deve essere interpretata nel senso che essa non si applica ad una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale prevede di sanzionare penalmente le persone che conferiscono, senza esservi state previamente autorizzate dall’autorità competente, un grado di «master».

 Sulla seconda e sulla terza questione

50 Con la seconda e la terza questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2006/123 debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede di sanzionare penalmente le persone che conferiscono, senza esservi state previamente autorizzate dall’autorità competente, un grado di «master».

51 In via preliminare, va ricordato che la direttiva 2006/123, conformemente al suo articolo 2, paragrafo 1, si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro.

52 Inoltre, conformemente all’articolo 4, punto 1, di tale direttiva, ai fini di quest’ultima, il «servizio» è inteso come qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 57 TFUE, fornita normalmente dietro retribuzione.

53 Risulta peraltro dalla giurisprudenza della Corte che l’organizzazione, dietro corrispettivo, di prestazioni che rientrano nell’ambito dell’istruzione superiore da parte di istituti finanziati sostanzialmente da fondi privati e che intendono realizzare un beneficio commerciale, costituisce un’attività economica di tal genere (v., in tal senso, sentenze del 7 dicembre 1993, Wirth, C‑109/92, EU:C:1993:916, punto 17, e del 13 novembre 2003, Neri, C‑153/02, EU:C:2003:614, punto 39).

54 L’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2006/123 esclude tuttavia un insieme di attività dall’ambito di applicazione della stessa, in particolare i servizi di interesse generale non economici e le attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e i), della direttiva in parola.

55 A tal riguardo, sebbene i governi belga, tedesco, italiano e dei Paesi Bassi sostengano che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale esulerebbe dall’ambito di applicazione della direttiva summenzionata, laddove detta normativa riguarda siffatte attività, si deve constatare che la normativa in parola non è coperta dalle eccezioni previste da tali disposizioni.

56 In primo luogo, infatti, poiché la stessa normativa nonché le norme relative all’autorizzazione a conferire gradi di cui essa mira a garantire l’effettività si applicano in particolare a servizi, come quelli di cui trattasi nel procedimento principale, che sono forniti, come risulta dal fascicolo di cui dispone la Corte, da operatori privati che agiscono di propria iniziativa, a fini di lucro e senza disporre di alcun finanziamento pubblico, non si può ritenere che le medesime si riferiscano unicamente a servizi di interesse generale non economici.

57 In secondo luogo, dalla giurisprudenza della Corte discende che le attività civili di insegnamento all’università non costituiscono attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri ai sensi di tale disposizione (sentenza del 18 dicembre 2007, Jundt, C‑281/06, EU:C:2007:816, punto 38).

58 La circostanza che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale verta specificamente sulle attività civili di insegnamento che comprendono il conferimento di un grado non può modificare tale valutazione.

59 La deroga prevista all’articolo 2, paragrafo 2, lettera i), della direttiva 2006/123 deve essere difatti circoscritta alle attività che, in sé considerate, costituiscono una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri, il che implica un esercizio sufficientemente qualificato di prerogative che esorbitano dal diritto comune, di privilegi autoritativi o di poteri coercitivi (v., per analogia, sentenza del 29 aprile 2010, Commissione/Germania, C‑160/08, EU:C:2010:230, punti 78 e 79).

60 Orbene, il conferimento di un grado, che può essere effettuato, se del caso, sotto la supervisione delle autorità pubbliche e a condizioni da esse definite, non può essere inteso nel senso che coinvolge un siffatto esercizio di pubblici poteri.

61 Peraltro, si deve altresì rilevare che dall’articolo 1, paragrafo 5, della direttiva 2006/123 risulta che, se tale direttiva non incide sulla normativa degli Stati membri in materia di diritto penale, questi non possono limitare la libertà di fornire servizi applicando disposizioni di diritto penale che disciplinano specificamente o influenzano l’accesso ad un’attività di servizi o l’esercizio della stessa, aggirando le norme stabilite in tale direttiva.

62 In un simile contesto, la circostanza che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale abbia carattere penale non è sufficiente ad escludere l’applicazione della medesima direttiva a detta normativa, giacché essa incide sull’accesso e l’esercizio di un’attività di servizio, prevedendo di imporre una sanzione penale agli operatori che forniscono un servizio senza disporre dell’autorizzazione richiesta a tal fine dal diritto belga.

63 Pertanto, l’articolo 1, paragrafo 5, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che esso osterebbe ad una normativa del genere, come quella di cui al procedimento principale, se la medesima avesse l’effetto di aggirare le norme enunciate nella direttiva in parola.

64 A siffatto riguardo, nei limiti in cui norme nazionali che obbligano i prestatori i quali intendano conferire determinati gradi universitari a rivolgersi alle autorità competenti per ottenere un atto formale che a ciò li autorizzi creino un regime di autorizzazione, ai sensi dell’articolo 4, punto 6, di tale direttiva, dette norme devono essere conformi ai requisiti di cui al capo III della direttiva menzionata, imposti a siffatti regimi.

65 Ne consegue che una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che mira a garantire l’effettività di tali norme, avrebbe l’effetto di aggirare le norme della direttiva 2006/123 se il regime di autorizzazione di cui essa costituisce l’accessorio fosse incompatibile con i requisiti di cui al capo III della direttiva in parola.

66 Fra i requisiti di cui trattasi vi sono quelli imposti dagli articoli 9 e 10 di detta direttiva, sui quali vertono più specificamente i quesiti del giudice del rinvio.

67 Dall’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva menzionata risulta che gli Stati membri possono subordinare l’accesso ad un’attività di servizio e il suo esercizio ad un regime di autorizzazione soltanto se sono soddisfatte tre condizioni.

68 In primo luogo, l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/123 richiede che il regime di autorizzazione non sia discriminatorio nei confronti del prestatore interessato.

69 Su detto punto, non risulta né dalla decisione di rinvio né da alcun elemento del fascicolo di cui dispone la Corte che la normativa in discussione nel procedimento principale operi una discriminazione tra i prestatori di servizi che intendono conferire i gradi universitari che essa riguarda.

70 In secondo luogo, l’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva impone che la necessità del regime di autorizzazione sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.

71 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio emerge che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale è volta al contempo ad assicurare un elevato livello d’istruzione superiore e a tutelare i destinatari di servizi.

72 Detti due obiettivi devono essere considerati come costituenti motivi imperativi di interesse generale. Da un lato, infatti, l’articolo 4, punto 8, della citata direttiva precisa che devono essere considerati motivi imperativi di interesse generale i motivi riconosciuti come tali dalla giurisprudenza della Corte e menziona specificamente la tutela dei destinatari di servizi come rispondenti a siffatto criterio. D’altro lato, la Corte ha già giudicato che i due obiettivi citati al punto 71 della presente sentenza costituivano motivi imperativi d’interesse generale (v., in tal senso, sentenze del 21 ottobre 1999, Zenatti, C‑67/98, EU:C:1999:514, punto 31 e giurisprudenza ivi citata, e del 13 novembre 2003, Neri, C‑153/02, EU:C:2003:614, punto 46).

73 Inoltre, il fatto di imporre ai prestatori di servizi che intendono conferire gradi universitari di essere in possesso di un’autorizzazione a detto fine è tale da assicurare la realizzazione di siffatti obiettivi, consentendo alle autorità competenti di accertarsi, prima del rilascio di diplomi, che i prestatori di cui trattasi offrano garanzie sufficienti a garantire la qualità dei diplomi in parola.

74 In terzo luogo, l’articolo 9, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/123 richiede che l’obiettivo perseguito non possa essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, segnatamente perché un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia.

75 A tal riguardo, risulta che un siffatto controllo non presenterebbe un’efficacia sufficiente per garantire il conseguimento degli obiettivi perseguiti da una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale.

76 Difatti, occorre anzitutto rilevare che la garanzia di un alto livello di istruzione superiore può richiedere l’esercizio di un controllo sistematico delle formazioni che possono condurre al rilascio dei diplomi e delle modalità previste per verificare l’idoneità degli studenti ad ottenere i gradi interessati.

77 Inoltre, dal momento che il rilascio stesso di un diploma è idoneo a consentire l’accesso a talune professioni e potrà, più in generale, essere preso in considerazione da un datore di lavoro per assumere una persona che ne è titolare, un’incertezza quanto al valore del diploma stesso, dovuta all’assenza di controllo preventivo, può del pari disattendere la realizzazione di siffatto obiettivo, senza che un’eventuale rimessa in discussione a posteriori di detto valore sia idonea a fornire una sufficiente garanzia.

78 Infine, il legislatore nazionale può legittimamente considerare che la tutela dei beneficiari dei servizi offerti da un istituto d’istruzione superiore non sarebbe garantita efficacemente se i medesimi fossero obbligati a scegliere una formazione e seguire quest’ultima, senza poter disporre di assicurazioni quanto all’idoneità dell’istituto interessato a conferire gradi di cui essi potranno in seguito avvalersi validamente.

79 Tuttavia, come rilevato dal giudice del rinvio, la compatibilità di un regime di autorizzazione con la direttiva 2006/123 presuppone altresì che si fondi su criteri a disciplina dell’esercizio del potere discrezionale delle autorità competenti che soddisfino i requisiti di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della menzionata direttiva.

80 In forza di tale disposizione, le condizioni di rilascio di un’autorizzazione devono essere non discriminatorie, giustificate da un motivo imperativo di interesse generale e commisurate a detto obiettivo, il che implica che esse devono essere idonee a garantire il perseguimento del menzionato obiettivo e non andare al di là di quanto necessario per il suo raggiungimento. In aggiunta, suddetta disposizione richiede che tali condizioni di concessione siano chiare e inequivocabili, oggettive, trasparenti, accessibili e rese pubbliche preventivamente (sentenza del 26 settembre 2018, Van Gennip e a., C‑137/17, EU:C:2018:771, punto 80).

81 Poiché la decisione di rinvio non contiene un’esposizione dettagliata delle condizioni cui è subordinata, nel diritto belga, la concessione di un’autorizzazione a conferire il grado di «master», spetta al giudice del rinvio valutare la compatibilità di tali condizioni con l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2006/123.

82 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla seconda e alla terza questione dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 5, della direttiva 2006/123, in combinato disposto con gli articoli 9 e 10 della medesima, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale prevede di sanzionare penalmente le persone che conferiscono, senza esservi state previamente autorizzate dall’autorità competente, un grado di «master», purché le condizioni cui è subordinata la concessione di un’autorizzazione a conferire tale grado siano compatibili con l’articolo 10, paragrafo 2, della menzionata direttiva, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

 Sulle spese

83 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

1) La direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), dev’essere interpretata nel senso che essa non si applica ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale prevede di sanzionare penalmente le persone che conferiscono, senza esservi state previamente autorizzate dall’autorità competente, un grado di «master».

2) L’articolo 1, paragrafo 5, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, in combinato disposto con gli articoli 9 e 10 della medesima, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale prevede di sanzionare penalmente le persone che conferiscono, senza esservi state previamente autorizzate dall’autorità competente, un grado di «master», purché le condizioni cui è subordinata la concessione di un’autorizzazione a conferire tale grado siano compatibili con l’articolo 10, paragrafo 2, della menzionata direttiva, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

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