27 dicembre 2022
Corte d'Appello Catanzaro 27/12/2022 [Trattamento dei dati personali - Diritto all'informazione e all'espressione - Domanda di risarcimento dei danni patiti a causa della diffusione della notizia non veritiera concernente l’iscrizione di uno degli attori nel Registro delle Notizie di reato per omicidio]
Trattamento dei dati personali - Diritto all'informazione e all'espressione - Domanda di risarcimento dei danni patiti a causa della diffusione della notizia non veritiera concernente l’iscrizione di uno degli attori nel Registro delle Notizie di reato per omicidio - Domanda di riparazione pecuniaria ai sensi e per gli effetti degli artt. 11 e 12 della L. n. 47/1948, in considerazione della diffusione dello stampato, della gravità delle offese in esso contenute nonché che fosse ordinata la rimozione dagli archivi ancora in pubblicazione di tutte le false notizie riguardanti l'attore - Accoglimento parziale - Appello principale - Appelli incidentali - Accoglimento dell'appello principale - Rigetto degli appello incidentali - Pubblicazione dell'articolo giornalistico contestato integrante il reato di diffamazione sia sul piano oggettivo, poiché sono stati violati i limiti di verità e continenza, sia sul piano soggettivo - Inapplicabilità dell’esimente del diritto di cronaca - Provata la sussistenza del danno-conseguenza all’immagine subito dall'offeso, in considerazione della qualità del soggetto, della potenzialità diffusiva del mezzo sul quale le affermazioni aventi carattere diffamatorio hanno trovato spazio nonché della gravità dell’offesa accertata.
SENTENZA
n. 1475/2022 pubbl. il 27/12/2022
(Presidente: Dott.ssa Anna Maria Raschellà - Relatore: dott.ssa Silvana Ferriero)
nella causa civile n. 881/2020 R.G.A.C. (alla quale sono riunite le cause civili nn. 886/2020, 912/20, 919/2020 R.G.A.C.) trattenuta in decisione all’udienza del 13 luglio 2022, previa assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., vertente
TRA
P.L., O.B.J., P.F., P.M., rappresentati e difesi rispettivamente dagli Avv.ti Salvatore Cerra, Vincenzo Sorrenti e Rossella Bonaddio, giusta procura in calce all’atto di appello ed elettivamente domiciliati presso il loro studio, in Lamezia Terme, via Federico Nicotera, n. 100;
APPELLANTI - APPELLATI INCIDENTALI
E
MINEO CORRADINO, rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Massimo Proto e dagli Avv.ti Valerio Zimatore, Gerolamo Vinci e Alfonsino Catalano, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione con appello incidentale, ed elettivamente domiciliato in Catanzaro, via Buccarelli, n. 49, presso lo Studio dell’Avv. Valerio Zimatore;
APPELLATO - APPELLANTE INCIDENTALE
E
AGENZIA ANSA - AGENZIA NAZIONALE STAMPA ASSOCIATA - SOC. COOP, con sede in Roma, al n. 94 di via della Dataria, P.I., 00876481003, nella persona dell’amministratore Delegato e legale rappresentante pro tempore, dott. Stefano Piero Carlo De Alessandri e il Dott. GIAMPIERO GRAMAGLIA, entrambi rappresentati e difesi dall’Avv. Valerio Cutonilli ed entrambi domiciliati presso lo studio di questi in Roma, sito al n.60 di via Fulcieri Paulucci Dè Calboli, giusta procure speciali separate e allegate alla comparsa di costituzione con appello incidentale;
APPELLATI - APPELLANTI INCIDENTALI
E
MEUCCI PIERLUIGI e CIONI ALIGI, rappresentati e difesi dall’Avv. Olimpia Poli ed elettivamente domiciliati nel suo studio sito in Firenze, Via dei Servi n. 44, come da mandato in calce alla comparsa di costituzione;
APPELLATI
E
CASSA PADANA BANCA DI CREDITO COOPERATIVO SOCIETÀ COOPERATIVA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante signor Bettinsoli Romano, rappresentata e difesa, per procura 26.6.15 nn.1689/1101 Rep. Not. Dr. R. Rotondo, dall’Avv. Marco Molinari Tosatti, presso lo studio del quale in Brescia Via XX Settembre n.8 è elettivamente domiciliato;
APPELLATA
E
RAI - RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore Avv. Francesco Spadafora, rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Massimo Proto e dagli Avv.ti Valerio Zimatore, Gerolamo Vinci e Alfonsino Catalano, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione con appello incidentale, ed elettivamente domiciliata in Catanzaro, via Buccarelli, n. 49, presso lo Studio dell’Avv. Valerio Zimatore;
APPELLATA - APPELLANTE INCIDENTALE
E
FINANZIARIA EDITORIALE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore dott.ssa Antonella Dodaro, e SPAGNOLO CHIARA, rappresentati e difesi dall’Avv. Teresa M. Faillace, in virtù di separate procure in calce alla comparsa di costituzione depositata in primo grado, ed elettivamente domiciliate presso il suo studio sito in Cosenza alla via Galluppi n. 60;
APPELLATI - APPELLANTI INCIDENTALI
E
PICONE PAOLO e AGE - AGENZIA GIORNALISTICA EUROPA S.R.L., rappresentati e difesi in forza di procura in calce alla comparsa di costituzione dall’Avv. Antonio Russo;
APPELLATI
E
YAHOO! ITALIA S.R.L. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Marco Consonni e Lucio Canzoniere, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta in primo grado, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Lamezia Terme (CZ), Via Dei Mille IV Trav.;
APPELLATA
E
GEDI News Network S.p.A. (già Editrice La Stampa S.p.A. e poi Itedi S.p.A.) in persona del procuratore speciale dott. Alessandro Bianco, e GIULIO ENRICO ANSELMI, rappresentati e difesi, come da procure speciali in calce alla comparsa di costituzione, disgiuntamente tra loro, dagli avvocati Carlo Pavesio, Sarah Vercellone e Luigi Muraca, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato Luigi Muraca in Lamezia Terme (CZ), Via F. Colelli n. 58;
APPELLATI
E
IAC SEARCH & MEDIA ITALIA S.R.L., quale proprietaria di Excite.it, EXCITE ITALIA B.W., quale editrice di Excite.it, MEDIAPASON S.p.A., quale titolare della testata “ANTENNA 3.it”, BESSO RAFFAELE;
APPELLATI CONTUMACI
CONCLUSIONI:
Per gli appellanti P.L., O.B.J., P.F., P.M.:
“Voglia l’onorevole Corte di Appello adita, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, in parziale riforma della sentenza appellata così provvedere:
- confermare la sentenza di primo grado dichiarando la sussistenza del reato di diffamazione a danno del sig. Luigi Pane e la conseguente responsabilità civile degli editori, direttori responsabili, giornalisti indicati in sentenza nei confronti degli attori;
- modificare la sentenza di primo grado e dichiarare che tutti i convenuti ritenuti responsabili e tenuti al risarcimento devono rispondere in solido tra loro e per l’intera somma stabilita a titolo di risarcimento e che l’eventuale gradazione di responsabilità abbia efficacia solo nei confronti interni tra condebitori;
- accertare e dichiarare che anche i genitori di Luigi Pane, i signori P.F. e Barbara OSZCZYK nonché il fratello Matteo Pane hanno subito danni non patrimoniali, e in generale danni di qualunque tipo, dalla diffamazione oggetto di causa e conseguentemente condannare i convenuti, ritenuti responsabili in primo grado, nei confronti di Luigi Pane, al risarcimento di tutti i danni subiti, nella misura ritenuta di equità e giustizia con interessi e rivalutazione monetaria, sin dalla data della diffamazione;
- Confermare la determinazione del giudice di primo grado con riferimento al danno morale a favore di Luigi Pane e di Oszczyk Barbara di euro 30.000 ciascuno;
- Aumentare l’importo del risarcimento riconosciuto dalla sentenza di primo grado in favore di Luigi Pane, nell’importo di euro 70.000 per danno non patrimoniale, escluso quello morale, con interessi e rivalutazione sin dal giorno della diffamazione;
condannare i convenuti in solido, al pagamento delle spese legali disponendo la distrazione a favore dei sottoscritti procuratori ex articolo 93 cpc.”
Per l’appellato e appellante incidentale MINEO CORRADINO:
“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Catanzaro:
- rigettare l’appello principale proposto dai Signori Luigi Pane, Barbara Yolanta
Oszczyk, Fotino Pane e Matteo Pane:
- in accoglimento dell’appello incidentale proposto dal Dott. Corradino Mineo, previa sospensione cautelare della efficacia esecutiva della sentenza n. 245/2020 del Tribunale di Lamezia Terme, pubblicata il 18 maggio 2020 ai sensi degli artt. 351 e 283 cod. pro. civ., dichiarare la nullità della sentenza o comunque, in sua riforma, dichiarare, per le ragioni esposte nei motivi di appello incidentale, che nulla è dovuto dal dott. Corradino Mineo in favore di Luigi Pane e di Barbara Jolanta Oszczyk:
- riconoscere in favore del Dott. Corradino Mineo i compensi e le spese di entrambi i gradi di giudizio.”
Per gli appellati e appellanti incidentali (nel procedimento R.G. n.886/2020) ANSA - AGENZIA NAZIONALE STAMPA ASSOCIATA - SOC. COOP e GIAMPIERO GRAMAGLIA:
“Voglia l’Ecc.ma adita Corte di Appello, reiectis contrariis,
1°) richiedere, tramite cancelleria, a quella del Tribunale civile di Lamezia Terme - Giudice “a quo” - la trasmissione del fascicolo d’ufficio portante il n. 1207/2007 RGAC;
2°) in via preliminare accogliere la richiesta di sospensione della efficacia esecutiva dell’appellata sentenza, previ gli incombenti di rito;
3°) dare atto che l’appellante dichiara espressamente di riproporre, a norma dell’art. 346 c.p.c., tutte le domande e le eccezioni di fatto e di diritto, istruttorie e di merito, proposte in primo grado e non accolte dal Giudice “a quo” nel corso del giudizio di primo e né con l’appellata sentenza, compresa la richiesta di revoca parziale dell’ordinanza data 13 dicembre 2010 per ammettere e raccogliere dal Giudice “ad” quem” tutte le prove così come ritualmente richieste dagli odierni appellanti Ansa e dr. Gramaglia con la seconda e la terza memoria istruttoria;
4°) rigettare qualsiasi altro e contrario eventuale proponendo appello incidentale e/o di qualsiasi altra natura, nonché qualsiasi altra e contraria domanda, controdeduzione, eccezione e richiesta eventualmente proponenda da parte degli appellati e/o da terzi eventualmente intervenienti a norma dell’art. 344 c.p.c.;
5°) dare atto che gli appellanti Ansa e dr. Gramaglia dichiarano di non accettare il contraddittorio su qualsiasi nuova domanda, eccezione e richiesta in via istruttoria e nel merito, proposta e/o proponenda da alcuno degli appellati;
6°) accogliere i motivi di appello di cui ai precedenti punti I -II - III - IV del secondo capitolo e, previa riforma parziale dell’ordinanza del 13 dicembre 2010 del Giudice “a quo”, ammettere le ulteriori richieste prove non ammesse dal primo Giudice e raccoglierle nei modi e termini di rito, accogliere, quindi, le conclusioni così come precisate e richiamate all’udienza del 3 dicembre 2019 innanzi il Giudice “a quo”, di seguito ritrascritte: “Nell’interesse della convenuta e chiamata in garanzia ANSA e del convenuto dr. Gramaglia dr. Giampiero, rappresentati e difesi dall’avv. Vito Tassone, stante il provvedimento in tal senso pronunciato dal Giudice all’udienza del 3 febbraio 2015 e poi reiterato all’udienza del 21 gennaio 2016, del 7/12/2016, del 17/10/2017, del 2/05/2018 e del 16 ottobre 2019 il procuratore “ad litem” avv. Vito Tassone così precisa le conclusioni: “Voglia l’adito Tribunale, rigettata ogni contraria istanza, richiesta ed eccezione in via istruttoria e nel merito, proposta e proponenda dagli attori e da tutti gli altri convenuti,
a) dare atto che la convenuta e chiamata in causa ANSA ed il convenuto dr. Gramaglia Giampiero dichiarano espressamente di non accettare il contraddittorio su qualsiasi nuova domanda e/o eccezione di merito e/o istruttoria proposta e/o proponenda da qualsiasi parte del presente giudizio oltre i prescritti termini di rito;
b) rigettare ogni domanda, eccezione e controdeduzione sia istruttorie che di merito, proposte dagli attori e da tutti i convenuti, contenute nei rispettivi scritti difensivi e nei verbali di causa, nulla escluso, nei confronti della convenuta e chiamata in garanzia ANSA e nei confronti del convenuto dr. Gramaglia Giampiero;
c) rigettare ogni domanda, eccezione e controdeduzione sia istruttorie che di merito, proposte dalla chiamante in garanzia IAC Search & Media Italia srl e contenute nei suoi scritti difensivi e nei verbali di causa, nulla escluso, nei confronti della convenuta e chiamata in garanzia ANSA e nei confronti del convenuto dr. Gramaglia Giampiero;
d) rigettare ogni domanda, eccezione e controdeduzione sia istruttorie che di merito, proposte dalla chiamante in garanzia Cassa Padana Banca di credito Cooperativo Soc. Coop. A. rl. srl e contenute nei suoi scritti difensivi e nei verbali di causa, nulla escluso, nei confronti della convenuta e chiamata in garanzia ANSA e nei confronti del convenuto dr. Gramaglia Giampiero;
e) accogliere le domande, richieste, eccezioni di merito ed istruttorie proposte dalla convenuta e chiamata in garanzia ANSA e dal convenuto dr. Gramaglia Giampiero nei confronti degli attori, delle chiamanti in garanzia e di tutti gli altri convenuti, contenute in tutti gli scritti difensivi di essa ANSA e Gramaglia dr. Giampiero e nei verbali di causa;
f) accogliere le conclusioni così come specificate sotto il punto IV della comparsa costitutiva da pagina 16 a pagina 18, datata 14 settembre 2007, qui da intendersi integralmente riprodotte e ritrascritte, proposte dalla convenuta ANSA e convenuto dr. Gramaglia Giampiero contro gli attori e gli altri convenuti nonché i chiamanti in garanzia;
g) accogliere le conclusioni così come specificate sotto il punto VI della comparsa costitutiva, datata 20 giugno 2008, qui da intendersi integralmente riprodotte e ritrascritte, proposte dalla convenuta ANSA e convenuto dr. Gramaglia Giampiero contro la chiamante in garanzia IAC Search & Media Italia srl;
h) accogliere le conclusioni così come specificate sotto il punto IV della comparsa costitutiva, datata 20 dicembre 2007, qui da intendersi integralmente riprodotte e ritrascritte, proposte dalla convenuta ANSA e convenuto dr. Gramaglia Giampiero contro la chiamante in garanzia Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo Soc. Coop. a.r.l.;
i) condannare gli attori in solido al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio in favore dei convenuti ANSA e dr. Gramaglia Giampiero; nonché condannare ciascun chiamante in garanzia al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio a favore della chiamata in garanzia convenuta ANSA”;
7°) condannare gli appellati - attori in solido al pagamento delle spese e competenze del giudizio di primo e di secondo grado, nonché le appellate nei cui confronti si chiede il rigetto, in riforma dell’appellata sentenza, delle rispettive proposte domande di manleva nei confronti dell’appellante ANSA, come dalle rispettive note spese e specifiche in favore degli odierni appellanti ANSA e dr. Gramaglia.”
Per gli appellati e appellanti incidentali (nel procedimento R.G. n. 881/2020) ANSA - AGENZIA NAZIONALE STAMPA ASSOCIATA - SOC. COOP e GIAMPIERO GRAMAGLIA:
“Voglia l’On.le Corte di Appello adita, disposta la sospensione della provvisoria esecutività della impugnata sentenza, e previo ogni accertamento in diritto e in fatto: a) rigettare integralmente, in quanto prive di fondamento, tutte le domande formulate nei confronti di Ansa Soc. Coop e il Dott. Giampiero Gramaglia da il Sig. Luigi Pane, la Sig.ra Barbara Jolanta Oszczyk, il Sig. Fotino Pane e il Sig. Matteo Pane; b) condannare il Sig. Luigi Pane, la Sig.ra Barbara Jolanta Oszczyk, il Sig. Fotino Pane e il Sig. Matteo Pane, in solido tra loro ovvero ciascuno per quanto di ragione, al pagamento delle spese di lite, di primo e secondo grado, in favore di Ansa Soc. Coop. e del Dott. Giampiero Gramaglia”.
Per l’appellata e appellante incidentale (nel procedimento R.G. n.919/2020) RAI - RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A.:
“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Roma, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, in riforma della sentenza n. 245/2020 del Tribunale di Lamezia Terme, pubblicata il 18 maggio 2020 e notificata il successivo 21 maggio 2020, previa sospensione cautelare della efficacia esecutiva della stessa ai sensi degli artt. 351 e 283 c.p.c., dichiarare, per le ragioni esposte nei motivi di appello, che nulla è dovuto da RAI - Radiotelevisione Italiana S.p.A. in favore di Luigi Pane e di Barbara Jolanta Oszczyk.
Con vittoria di compensi e spese di entrambi i gradi di giudizio.”
Per gli appellati e appellanti incidentali (nel procedimento R.G. n.912/2020) FINANZIARIA EDITORIALE S.R.L. e SPAGNOLO CHIARA:
“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, respinta ogni contraria eccezione e difesa, in parziale riforma della sentenza n. 245/2020, emessa dal Tribunale di Lamezia Terme:
- in via preliminare, attese le gravi eccezioni poste a fondamento del presente atto e l’evidente grave pericolo di danno che la sua esecuzione potrebbe procurare, sospendere l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata;
- nel merito, riformare l’impugnata sentenza accogliendo i motivi di cui in narrativa, con conseguente integrale rigetto delle domande formulate in primo grado nei confronti delle convenute odierne appellanti;
- in via subordinata, ridurre la condanna al risarcimento dei soli danni effettivamente accertati in corso di causa;
- con rifusione delle spese e competenze di lite di entrambi i gradi di giudizio, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore anticipatario.”
Per gli appellati MEUCCI PIERLUIGI e CIONI ALIGI:
“...l’Ecc.ma Corte di Appello di Catanzaro, voglia dare atto e dichiarare che la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Lamezia Terme n°245/2020 è divenuta definitiva e passata in giudicato nella parte in cui ha rigettato le domande formulate dagli attori in primo grado nei confronti del Dott. Pierluigi Meucci e del Dott. Aligi Cioni.”
Per l’appellata CASSA PADANA BANCA DI CREDITO COOPERATIVO SOCIETÀ COOPERATIVA:
“Respingersi in quanto infondati i motivi di appello proposti dai sig.ri P.L., O.B.J. Pane Fotini e P.M., con conseguente conferma anche nelle parti de quibus della sentenza del n.245/2020 del 18.5.2020 del Tribunale di Lamezia Terme. Applicarsi la legge quanto al primo motivo di appello dai medesimi proposto. Spese di lite integralmente rifuse a carico degli Appellanti.”
Per l’appellata PICONE PAOLO e AGE - AGENZIA GIORNALISTICA EUROPA S.R.L.:
“Voglia la Corte di Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza n. 245/20 del Tribunale di Lamezia Terme,
1. rigettare l’appello proposto dai sigg.ri Luigi Pane, Barbara Yolanta Oszczyk, Fotino Pane e Matteo Pane rispetto alla sentenza resa dal Tribunale di Lamezia Terme al termine del giudizio RG 1207/2007;
2. per effetto del punto che precede dichiarare che nulla è dovuto agli attori da parte del sig. Picone Paolo;
3. dichiarare in ogni caso l’estromissione dal giudizio della soc. Agenzia Giornalistica Europa srl, cancellata il 24/12/2009;
4. con vittoria di spese legali ed onorari di giudizio con attribuzione al procuratore costituito.”
Per l’appellata YAHOO! ITALIA S.R.L.:
“Voglia l’Ill.ma Corte adita, disattesa ogni contraria istanza, deduzione o eccezione, previe le
declaratorie del caso e di legge e con ogni miglior formula, cosi giudicare:
(1) In via preliminare, dichiarare il difetto di legittimazione passiva in capo a Yahoo Italia e disporre la sua estromissione dal presente giudizio;
(2) In via subordinata nel merito, in caso di opposizione alla richiesta di estromissione, dichiarare che è intervenuto giudicato sulla parte della Sentenza di primo grado che manda esente Yahoo Italia da ogni responsabilità e, quindi, confermare la Sentenza n. 245/2020 emessa del Tribunale di Lamezia Terme, con riferimento alla posizione di Yahoo Italia.
(3) in ogni caso con vittoria di spese, diritti e onorari.”
Per gli appellati GEDI NEWS NETWORK S.P.A., GIÀ EDITRICE LA STAMPA S.P.A. E POI ITEDI S.P.A. e GIULIO ENRICO ANSELMI:
“Voglia l’Ill.ma Corte di Appello adita, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, previe le declaratorie del caso,
NEL MERITO: accertare e dichiarare, per tutti i motivi previamente esposti, che la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme del 29 febbraio 2020 non è stata resa nei confronti di Gedi News Network S.p.A. e del dott. Giulio Anselmi, la cui posizione processuale è stata precedentemente definita all’udienza del 26 settembre 2009, e in ogni caso che nessuna domanda è stata avanzata nel presente giudizio di appello nei confronti dei predetti Gedi News Network S.p.A. e dott. Giulio Anselmi e, per l’effetto, estromettere i medesimi dal giudizio in questione con vittoria dei compensi e delle spese di giudizio, oltre rimborso forfettario spese legali, I.V.A. e C.P.A come per legge.”
FATTO E DIRITTO
§ 1. Il giudizio di primo grado
Con atto di citazione ritualmente notificato, Luigi Pane, Barbara Jolanta Oszczyk e Fotino Pane, questi due ultimi in proprio e in qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sul minore Matteo Pane, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme, l’Agenzia Ansa, Giampiero Gramaglia, l’Editrice la Stampa S.p.A., Giulio Anselmi, Iac Search & Media Italia S.r.l., Excite Italia B.W, Yahoo! Italia S.r.l. in liquidazione, Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo Soc. Coop., Mediapason S.p.A., Raffaele Besso, Pierluigi Meucci, la Rai Radio Televisione Italiana S.p.A., Finedit S.r.l. (ora Finanziaria Editoriale S.r.l.), Chiara Spagnolo, Aligi Cioni, A.G.E. Agenzia Giornalistica Europea Srl, Paolo Picone e Corradino Mineo, al fine di sentirli condannare, ciascuno per i rispettivi titoli di responsabilità ed in solido fra loro, al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, patiti dagli attori a causa della diffusione della notizia non veritiera concernente l’iscrizione di Luigi Pane nel Registro delle Notizie di reato per l’omicidio di Camillo Pane, della moglie Anna Maria e dei loro due figli, avvenuto a Caraffa il 27 marzo 2006 (vicenda giudiziaria meglio nota come “Strage di Caraffa”).
Gli attori chiedevano, altresì, la condanna dei convenuti al pagamento di una somma di denaro a titolo di riparazione pecuniaria ai sensi e per gli effetti degli artt. 11 e 12 della Legge n. 47/1948, in considerazione della diffusione dello stampato, della gravità delle offese in esso contenute e di tutto quanto descritto in atti, nonché che fosse ordinata la rimozione dagli archivi ancora in pubblicazione di tutte le false notizie riguardanti Luigi Pane.
Instauratosi correttamente il contraddittorio, si costituivano in giudizio:
- Excite Italia B.V., spiegando domanda di regresso nei confronti della convenuta Agenzia A.N.S.A. in ragione del fatto che quest’ultima, in virtù di un contratto stipulato in data 10 dicembre 2012, si era impegnata a fornire alla prima, ai fini della pubblicazione sul portale web denominato www.Excite.it, prodotti editoriali di cui garantiva la conformità alla legge e la non contrarietà rispetto ai diritti dei terzi, obbligandosi altresì a tenerla indenne da tutte le eventuali pretese giudiziali o stragiudiziali;
- Agenzia A.N.S.A., quale proprietaria editrice della testata online “Ansa.it”, e Giampiero Gramaglia, quale direttore responsabile della testata anzidetta. Questi, in via preliminare, eccepivano la propria carenza di legittimazione passiva, per non aver diffuso alcuna notizia riguardante il coinvolgimento di Luigi Pane nella strage di Caraffa, e nel merito, l’infondatezza della domanda attorea per la mancata integrazione del reato di diffamazione. Domandavano, altresì, l’accertamento dell’offensività delle espressioni utilizzate dagli attori nei loro confronti, con conseguente condanna ex art. 89 c.p.c. e ordine di cancellazione delle frasi in questione;
- Pierluigi Meucci, quale direttore responsabile della rivista on-line “Il Parlamento della Toscana”, il quale eccepiva, in via preliminare, la propria carenza di legittimazione passiva poiché all’epoca della pubblicazione della notizia egli non ricopriva la carica di Direttore Responsabile della rivista, e, nel merito, l’infondatezza della domanda atteso che “Il Parlamento della Toscana” oltre a pubblicare notizie di propria provenienza, rispetto alle quali si assume ogni responsabilità, informa, altresì, delle notizie pubblicate dall’A.N.S.A., riportandole, secondo specifico accordo con l’Ansa e il Consiglio Regionale della Toscana, in maniera integrale e con l’indicazione della paternità, ma senza assumere alcun obbligo o possibilità di controllo della pubblicazione.
Chiedeva, pertanto, in via subordinata, nel caso di accoglimento, anche parziale, della domanda di essere manlevato dall’Agenzia A.N.S.A.;
- Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo Soc. Coop. a r.l., quale proprietaria del sito web “Popolis.it”, eccependo, in via preliminare, la propria carenza di legittimazione passiva, atteso che la lettura delle notizie ansa sul sito Popolis.it non è diretta è immediata ma avviene attraverso un link “ANSA”, presente sul sito, dal quale è possibile accedere ad una serie di notizie, tutte ascrivibili all’Ansa, sulle quali la Banca non può intervenire per modificarne il contenuto e la cui trasmissione è garantita e regolata da un contratto di fornitura sottoscritto il 27 aprile 2000.
Sempre in via preliminare la Cassa Padana eccepiva l’incompetenza territoriale del giudice adito in favore del Tribunale di Brescia, luogo ove la Banca ha sede.
Nel merito, deduceva l’infondatezza della domanda chiedendone il rigetto e spiegava, altresì, domanda di manleva nei confronti di Agenzia A.N.S.A.;
- Editrice La Stampa S.p.A. e il Direttore Dott. Giulio Anselmi, eccependo l’infondatezza della domanda proposta dagli attori e chiedendone il rigetto;
- Finedit Finanziaria Editoriale S.r.l., in qualità di editore de “il Quotidiano della Calabria” e Spagnolo Chiara, quale giornalista, chiedendo preliminarmente la separazione del processo stante l’assenza di qualsivoglia connessione fra le note divulgate dall’A.N.S.A., e l’articolo pubblicato dal quotidiano in questione.
Eccepivano, inoltre, l’incompetenza territoriale del giudice adito in favore del Tribunale di Cosenza, luogo ove ha sede la redazione centrale di Finedit S.r.l. e, nel merito, l’infondatezza della domanda, per aver agito nell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, chiedendone l’integrale rigetto;
- RAI - Radio Televisione Italiana S.p.A., eccependo l’infondatezza in fatto ed in diritto della domanda, stante l’insussistenza del reato di diffamazione a mezzo stampa nei confronti della RAI, e chiedendone l’integrale rigetto;
- Yahoo! Italia S.r.l., eccependo l’infondatezza della domanda e chiedendone l’integrale rigetto stante la carenza di un suo potere di intervento o correzione sulle notizie inserite dall’A.N.S.A. in modo automatico sullo spazio del portale Yahoo!;
- Iac Search & Media Italia S.r.l., eccependo il difetto di legittimazione passiva, non essendo mai stata proprietaria né editrice del portale Excite.it in cui sarebbe stata riprodotta la notizia oggetto di causa, e, nel merito, l’infondatezza della domanda con conseguente rigetto della stessa attesa l’insussistenza di alcun obbligo della convenuta ad operare delle verifiche sulle notizie pubblicate dall’Agenzia Ansa. Chiedeva, inoltre, in caso di condanna, di essere manlevata dall’Agenzia A.N.S.A.
- Besso Raffaele, in qualità di Direttore responsabile della testata “Antenna3.it” e Mediapason S.p.A. (già nuova Antennatre S.p.A.), quale editore del quotidiano online “Antenna3.it”, chiedendo il rigetto della domanda in quanto infondata in fatto ed in diritto.
Seppur ritualmente citati, rimanevano contumaci A.G.E. Agenzia Giornalistica Europea s.r.l., Picone Paolo e Mineo Corradino.
All’udienza del 9 gennaio 2008, su apposita istanza, il Giudice istruttore autorizzava parte attrice a chiamare in giudizio Aligi Cioni, Direttore pro tempore de “Il Parlamento della Toscana.it”.
Con comparsa depositata il 3 giugno 2008 Aligi Cioni si costituiva in giudizio eccependo preliminarmente la nullità dell’atto di citazione del terzo a causa dell’errata indicazione della data di comparizione, e, nel merito, chiedendo il rigetto della domanda e, in caso di condanna, di essere manlevato dall’Agenzia A.N.S.A.
All’udienza del 25 giugno 2008, il Giudice dichiarava la nullità dell’atto di chiamata di terzo notificato nei confronti di Aligi Cioni e rinviava la causa ai sensi dell’art. 164 c.p.c.
All’udienza del 26 settembre 2009, gli attori dichiaravano di rinunciare all’azione intrapresa nei confronti di Editrice La Stampa S.p.A. e del Direttore Dott. Giulio Anselmi, i quali accettavano la rinuncia.
La causa veniva istruita con la produzione di documenti, la visione in contraddittorio di registrazioni video e l’audizione di testimoni.
All’udienza del 3 dicembre 2019, la causa veniva mandata in decisione con assegnazione alle parti dei termini ridotti di cui all’art. 190 c.p.c.
Il Tribunale di Lamezia Terme, con sentenza n. 245/2020 pubblicata in data 18 maggio 2020:
- Accoglieva parzialmente la domanda di Luigi Pane e per l’effetto condannava Agenzia A.N.S.A., Giampiero Gramaglia, R.A.I. S.p.A., Chiara Spagnolo, Finedit S.r.l., AGE Agenzia Giornalistica Europa S.r.l., Paolo Picone, Mediapason S.p.A., Raffaele Besso e Corradino Mineo al pagamento di € 70.000,00 a titolo di danno all’immagine e alla dignità personale oltre interessi e rivalutazioni;
- Accoglieva parzialmente la domanda di Luigi Pane e per l’effetto condannava in solido tra loro Agenzia Ansa, Giampiero Gramaglia, R.A.I. S.p.A., Chiara Spagnolo, Finedit S.r.l., AGE Agenzia Giornalistica Europa S.r.l., Paolo Picone, Mediapason S.p.A., Raffaele Besso e Corradino Mineo al pagamento di € 30.000,00 a titolo di danno morale oltre interessi e rivalutazioni;
- Accoglieva parzialmente la domanda di Barbara Jolanta Oszczyk e per l’effetto condannava in solido tra loro Agenzia Ansa, Giampiero Gramaglia, R.A.I. S.p.A., Chiara Spagnolo, Finedit S.r.l., AGE Agenzia Giornalistica Europa S.r.l., Paolo Picone, Mediapason S.p.A., Raffaele Besso e Corradino Mineo al pagamento di € 30.000,00 a titolo di danno morale oltre interessi e rivalutazioni;
- Accoglieva la domanda di manleva spiegata da Excite Italia B.V. e Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo Soc. Coop. nei confronti di Agenzia A.N.S.A.;
- Condannava tutti gli organi di informazione convenuti alla rimozione dai loro archivi di ogni eventuale notizia ancora in pubblicazione relativa al coinvolgimento di Luigi Pane della strage di Caraffa;
- Rigettava la domanda di Luigi Pane e Barbara Jolanta Oszczyk nei confronti di Iac Search & Media Italia S.r.l., Yahoo! Italia S.r.l., Pier Luigi Meucci e Aligi Cioni;
- Rigettava le domande spiegate da Fotino Pane e Matteo Pane nei confronti di tutti i convenuti;
- Condannava Agenzia Ansa, Giampiero Gramaglia, RAI S.p.A., Chiara Spagnolo, Finedit S.r.l., AGE Agenzia Giornalistica Europa S.r.l., Paolo Picone, Mediapason S.p.A., Raffaele Besso e Corradino Mineo al pagamento delle spese nei confronti di Luigi Pane e Barbara Jolanta Oszczyk e compensava tra le altre parti del processo. § 2. L’appello
Avverso questa sentenza, sono insorti, con separati atti di citazione in appello ritualmente notificati, P.L., O.B.J., P.F. e P.M. (causa iscritta al n. 881/2020 R.G.), l’Agenzia A.N.S.A. - agenzia nazionale stampa associata - soc. coop e Giampiero Gramaglia (causa iscritta al n. 886/2020 R.G.), la Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo (causa iscritta al n. 912/2020 R.G.) e la RAI - radiotelevisione italiana S.p.A. (causa iscritta al n. 919/2020 R.G.), i quali hanno interposto gravame per i motivi che si esamineranno.
In virtù dell’istanza di riunione depositata da P.L., Barbara Jolanta, P.F. e P.M. il 5 agosto 2020 e reiterata nel corso del giudizio, con ordinanza del 17 novembre 2020 la Corte, sia nel giudizio n. 886/2020 R.G. sia in quello n. 912/2020 R.G., ha disposto la riunione di ciascuna causa a quella recante il n. 881/2020 R.G.
Allo stesso modo, sempre su istanza della parte anzidetta, considerata la pendenza davanti la prima sezione civile della Corte di Appello di Catanzaro della causa iscritta al n. 919/2020 R.G., il Collegio, dopo aver disposto la trasmissione degli atti al Presidente della Corte per i provvedimenti di sua competenza, con ordinanza del 27 gennaio 2021 ha disposto la riunione della causa a quella recante il n. 881/2020 R.G.
Contemporaneamente, si sono costituiti nell’odierno procedimento, a seguito della riunione ex art. 355 c.p.c., A.N.S.A. - Agenzia Nazionale Stampa Associata Soc. coop. a r.l. e Gramaglia Giampiero, Finanziaria Editoriale S.r.l. e Spagnolo Chiara, RAI - Radiotelevisione Italiana S.p.A. ed, infine, Mineo Corradino, per resistere al gravame chiedendone, nel merito, l’integrale rigetto, spiegando, altresì, appello incidentale per i motivi che si esamineranno e avanzando istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata.
Finanziaria editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo hanno eccepito, altresì, l’inammissibilità dell’appello principale ex art. 342 c.p.c.
Con comparsa di costituzione e risposta si sono, altresì, costituiti in giudizio:
- Meucci Pierluigi e Cioni Aligi, esclusivamente al fine di segnalare come la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Lamezia Terme n°245/2020 sia divenuta definitiva e sia passata in giudicato nella parte in cui ha respinto le domande formulate dagli odierni appellanti nei confronti del Dott. Pierluigi Meucci e del Dott. Aligi Cioni;
- Cassa Padana Banca di Credito cooperativo società cooperativa, per resistere al gravame eccependo l’infondatezza in fatto ed in diritto dell’appello e chiedendone l’integrale rigetto;
- Picone Paolo e AGE- agenzia giornalistica Europa s.r.l., per resistere al gravame, chiedendo preliminarmente l’estromissione dal giudizio di quest’ultima, atteso che tale società, come provato dalla visura camerale storica presente in atti, è stata messa in liquidazione e poi cancellata il 24/12/2009, ed eccependo l’infondatezza dell’appello con conseguente rigetto dello stesso;
- Yahoo! Italia S.r.l., chiedendo, in via preliminare, di disporre la sua estromissione dal giudizio stante l’assenza di domanda nei suoi confronti, e, nel merito, di dichiarare che è intervenuto giudicato sulla parte della sentenza di primo grado che manda esente Yahoo Italia da ogni responsabilità.
In data 10 luglio 2020 e 27 luglio 2020, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro, ha ammesso, rispettivamente, Barbara Jolanta Oszczyk e Fotino Pane al beneficio del patrocino a spese dello Stato.
Con ordinanza del 5 febbraio 2021 la Corte ha dichiarato la contumacia di IAC SEARCH & MEDIA ITALIA S.R.L., quale proprietaria di Excite.it, di EXCITE ITALIA B.W., quale editrice di Excite.it, di MEDIAPASON S.p.A., quale titolare della testata “ANTENNA 3.it”, di EDITRICE LA STAMPA S.p.A., nonché di BESSO RAFFAELE e ANSELMI GIULIO; ha accolto la richiesta di inibitoria, così sospendendo l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata; infine, ha rinviato per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 13 luglio 2022.
Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 29 giugno 2022 si sono costituiti Gedi news network S.p.A. e Giulio Enrico Anselmi al fine di sentire accertare e dichiarare che nessuna domanda è stata avanzata nel presente giudizio di appello nei loro confronti e, per l’effetto, estromettere i medesimi dal giudizio.
All’udienza del 13 luglio 2022, viste le note di trattazione depositate, la causa veniva assegnata in decisione con i termini ex art. 190 c.p.c.
Nel rispetto dei termini stabiliti dalla legge tutte le parti, ad esclusione di Picone Paolo e AGE, depositavano telematicamente la comparsa conclusionale.
Successivamente, Luigi Pane, Barbara Jolanta Oszczyk, Fotino Pane, Matteo Pane, Cassa Padana, Meucci Pierluigi e Aligi Cioni, Rai - Radiotelevisione S.p.A., Corradino Mineo e Yahoo! Italia S.r.l. depositavano telematicamente, nei termini di legge, le memorie di replica.
§ 3. L’appello di Luigi Pane, Barbara Jolanta Oszczyk, Fotino Pane e Matteo Pane
3.1 Con il primo motivo di appello gli appellanti principali impugnano la sentenza nella parte in cui il Giudice di primo grado, dopo aver quantificato il risarcimento del danno all’immagine in € 70.000, ha effettuato una graduazione della responsabilità di ciascun convenuto condannando l’A.N.S.A. a pagare € 25.000, la Rai € 20.000, Chiara Spagnolo e la Finanziaria Editoriale € 15.000, l’Age ed altri € 10.000. Secondo gli appellanti tale ripartizione dovrebbe esplicare effetto solo nei rapporti interni tra i condebitori e non anche nei rapporti esterni, con la conseguenza che il Giudice avrebbe dovuto condannare i convenuti in solido al pagamento delle somme liquidate in sentenza.
Con il secondo motivo di appello gli appellanti principali lamentano l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui il Giudice ha rigettato sia la domanda di risarcimento del danno morale avanzata da Fotino e Matteo Pane, poiché ritenuta infondata per carenza di prove, sia la domanda di risarcimento del danno all’immagine ed alla dignità personale avanzata da Barbara Jolanta Oszczyk, Fotino e Matteo Pane, avendo la notizia diffamatoria riguardato il solo Luigi Pane e non potendo la lesione della sua personale reputazione in sé propagare effetti negativi sull’immagine e sulla identità personale dei congiunti.
Al contrario, secondo gli appellanti, il Tribunale, in conformità con la giurisprudenza della Suprema Corte, avrebbe dovuto riconoscere entrambe i danni richiesti: il primo poiché la prova del danno non patrimoniale derivante dal reato di diffamazione a mezzo stampa può essere data con ricorso al notorio e tramite presunzioni assumendo come parametri la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della persona colpita; il secondo in quanto risulta pacifico in giurisprudenza che il concetto di reputazione riguardi anche la considerazione che i terzi hanno dei prossimi congiunti.
Peraltro, nel caso di specie, Luigi Pane non è mai stato iscritto nel registro degli indagati e, in quanto riconosciuta persona sicuramente estranea alla strage, la falsità dell’accusa, in quel contesto sociale, è da considerare particolarmente grave, tanto da comportare la richiesta di un importo, a titolo di risarcimento dei danni morali, sicuramente maggiore rispetto a quello già riconosciuto a favore di Barbara Jolanta Oszczyk, e individuato nella corretta somma di € 100.000.
Con il terzo motivo di appello gli appellanti principali impugnano la sentenza nella parte in cui il Giudice ha erroneamente quantificato il danno all’immagine a favore di Luigi Pane in soli € 70.000.
Gli appellanti, dopo aver fatto riferimento ad un caso simile a quello oggetto di causa, ma meno grave, in cui il Tribunale di Bolzano aveva liquidato la somma di € 60.000, indicano come importo corretto e più equo quello di € 150.000, in considerazione della gravità della diffamazione subita da un giovane di soli ventuno anni che si è visto attribuire la responsabilità dell’omicidio di uno zio, di sua moglie e dei figli, in un contesto culturale come quello di Caraffa, piccolo paese di provincia.
Con il quarto motivo di appello gli appellanti lamentano l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tribunale non ha riconosciuto alcuna somma a titolo di risarcimento ex art. 12 L.47/1948.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto che, in assenza di elementi utili a provare il meditato consenso alla pubblicazione delle notizie, i direttori non potevano essere considerati responsabili in prima persona del reato di diffamazione, bensì del diverso reato proprio di omesso controllo.
Al contrario, secondo gli appellanti, nel caso di specie, in cui non vi è l’autore dello scritto o della pubblicazione televisiva o online, il direttore responsabile commette il reato di diffamazione o, quantomeno, quest’ultimo è astrattamente configurabile ai fini dell’applicabilità dell’art. 12 legge n. 47 del 1948.
Inoltre, gli appellanti sottolineano, altresì, il fatto che comunque nel caso di specie vi è anche una giornalista, Chiara Spagnolo, che, rispetto agli altri, ha firmato l’articolo diffamatorio pubblicato poi sul Quotidiano della Calabria.
Ebbene, è evidente, quindi, che ai fini dell’art.12 sopra citato, tale giornalista ha commesso il reato di diffamazione e dev’essere condannata al relativo risarcimento, non sussistendo nessuna delle problematiche a cui il Tribunale ha fatto riferimento.
§ 4. L’appello di Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo
4.1 Con il primo motivo di appello incidentale la Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo impugnano la sentenza di primo grado lamentando “il difetto e/o la contraddittorietà logica della motivazione nella parte in cui si legge: Osserva, invero, il Tribunale che l’articolo pubblicato su il “Quotidiano” si presta oggettivamente ad insinuare nel lettore il dubbio che Luigi Pane fosse coinvolto nel pluriomicidio nella veste di protagonista e non di semplice testimone”. Secondo gli appellanti tale interpretazione è errata ed incompatibile con il dato letterale dell’articolo, il quale parla solamente di un coinvolgimento di Luigi Pane nell’inchiesta, ed è ben lontano dall’accusarlo di essere l’autore della strage insieme a Claudio Tomaino. Difatti, ciò che viene narrato nell’articolo è che Luigi Pane è stato lungamente sentito dai Carabinieri essendo stato sottoposto ad interrogatorio il 28 marzo 2006 presso la Caserma dei Carabinieri di Soveria Mannelli, circostanza peraltro confermata dal teste Maggiore Enrico Pigozzo.
Ebbene, è lo stesso Giudice di prime cure che nella sentenza impugnata ha sostenuto che la notizia che una persona sia stata interrogata non ha autonoma portata diffamatoria se essa non è inserita in un contesto come quello della notizia data dall’A.N.S.A., nel quale è stato detto chiaramente che l’attività investigativa aveva fatto emergere indizi di colpevolezza a carico dell’interrogato, dai quali era scaturita l’iscrizione del Registro degli indagati.
Alla luce di ciò il Giudice avrebbe dovuto considerare l’articolo a firma della giornalista Chiara Spagnolo non diffamatorio, atteso che, nel raccontare solamente che Luigi Pane era stato sentito lungamente dai Carabinieri, tale articolo ha consentito di ritenere che vi fosse il sospetto che Luigi Pane sapesse “molto” ma non anche, necessariamente, che fosse lui l’autore del pluriomicidio.
Con il secondo motivo di appello incidentale la Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo censurano la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto sussistente la diffamazione a mezzo stampa, non riconoscendo l’esimente del diritto di cronaca per insussistenza dei requisiti di veridicità e continenza.
Quanto alla veridicità, secondo gli appellanti il giudice di prime cure avrebbe sia sminuito le dichiarazioni del teste Maggiore Pigozzo sia ignorato tutti gli articoli prodotti che contenevano una puntuale ricostruzione delle indagini in grado di confermare che alcuni componenti della famiglia Pane hanno trascorso effettivamente, come scritto nell’articolo, diverse ore nella caserma dei Carabinieri.
A ciò si aggiunga che il Giudice avrebbe, altresì, tralasciato il fatto che Luigi Pane ha reso dichiarazioni che poi sono state smentite dal teste Maggiore Pigozzo, circostanza che avrebbe potuto essere considerato un chiaro argomento di prova in grado di confermare la corrispondenza al vero delle notizie fornite nell’articolo per cui è causa.
Quanto al requisito della continenza, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado circa l’utilizzo di espressioni suggestive, secondo gli appellanti non vi è stato alcun travalicamento, atteso che la giornalista non ha inteso suggerire ai lettori una ricostruzione diversa da quella che si legge, rappresentativa di ciò che realmente è accaduto.
Con il terzo motivo di appello gli appellanti incidentali impugnano la sentenza di primo grado lamentando un vizio di motivazione laddove il Tribunale ha liquidato il danno all’immagine in modo diverso tra le varie testate giornalistiche senza enunciare, però, i criteri, anche equitativi, seguiti.
Di conseguenza, secondo gli appellanti la liquidazione compiuta nei loro confronti appare estremamente ingiusta in quanto addirittura superiore rispetto ad altre testate che, diversamente da “il Quotidiano della Calabria”, hanno pubblicato la notizia dell’iscrizione nel Registro degli indagati di Luigi Pane
A ciò aggiungono non solo che il danno in questione, di fatto, è stato ritenuto dal Giudice in re ipsa, atteso che non è stato né allegato né provato dagli odierni appellanti principali, ma altresì che il Giudice non avrebbe nemmeno tenuto conto che la pubblicazione dell’articolo è avvenuta dopo che già era stata diffusa la notizia diffamatoria e, pertanto, dopo che il danno all’immagine si era già verificato, con la conseguenza che la responsabilità della Finanziaria Editoriale è da considerare senz’altro inferiore rispetto alle altre testate giornalistiche.
Con il quarto motivo gli appellanti incidentali censurano la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha riconosciuto e liquidato il danno morale nei confronti di Luigi Pane e di sua madre.
Tale condanna al risarcimento va ritenuta erronea e priva di fondamento sia in fatto, poiché la prova del danno concerne un evento, l’iscrizione nel Registro degli indagati di Luigi Pane, avvenuto precedentemente rispetto alla pubblicazione dell’articolo, sia in diritto, poiché è stata comminata in solido tra tutti i convenuti in violazione dei principi che regolano la solidarietà passiva.
§ 5. L’appello di ANSA - Agenzia Nazionale Stampa Associata - Soc. Coop. e Giampiero Gramaglia
5.1 Nel giudizio iscritto al n. 886/2020 R.G.:
5.1.1 Con il primo motivo gli appellanti incidentali impugnano la sentenza di primo grado deducendo il “Travisamento della difesa dell’appellante Ansa e dell’appellante dr Gramaglia in ordine all’assunto che detti appellanti avrebbero parlato di diritto di cronaca e di verità putativa soltanto con la memoria istruttoria ex art. 183, comma 6, n. 2, cpc.”.
Contrariamente a quanto pronunciato sul punto dal Tribunale, secondo l’A.N.S.A. e il dott. Gramaglia tale motivo di difesa già compariva nella loro comparsa di costituzione del 14 settembre 2007 e gli stessi hanno subito dedotto di aver agito per l’esercizio del diritto di cronaca affermando di versare in uno stato di verità putativa.
Nella specie, la sussistenza dei presupposti per l’operatività dell’esimente della verità putativa è stata dimostrata sia dal contenuto di cui al prodotto dispaccio Ansa del 29/03/2006 ore 11:28, sia da alcune richieste di prove, poi non ammesse, quali ad esempio la richiesta di sentire il teste dr. Orazio Domenico.
Proprio per la convinzione di una verità putativa e per la consapevolezza di esercitare il diritto di cronaca giudiziaria al fine di informare la collettività, secondo gli appellanti, nella fattispecie, diversamente rispetto a quanto scritto dal Giudice di primo grado, non è ravvisabile la cosciente volontà di offendere la reputazione di alcuno degli odierni appellanti principali.
Con il secondo motivo gli appellanti incidentali impugnano la sentenza di primo grado deducendo le “Assenze di prove che l’attore P.L. e la madre O.B.J. avessero potuto avere un danno biologico e psichico da ripudiarsi nella categoria del danno morale dal contenuto del prodotto dispaccio 29/03/2006 ore 11:18 e ore 11:28 (e non ore 11:26) e cioè prima dal contenuto dal dispaccio 29/03/2006 ore 12:26 e poi delle ore 14:04, 12:26, 11:18”.
In particolare, sostengono che non è stata fornita alcuna prova che all’afflizione patita dagli odierni appellanti principali per la strage dei loro cari si sarebbe aggiunta anche quella del fatto che, sia pure per una sola ora e otto secondi, nel dispaccio Ansa si leggeva che il P.L. sarebbe stato iscritto nel registro degli indagati. Né la prova si potrebbe ritenere raggiunta dal fatto che alle ore 21:10 del 29/03/2006 P.L. e la madre si sono recati al pronto soccorso. Con il terzo motivo gli appellanti incidentali impugnano la sentenza deducendone la “Infondatezza per carenza di prova nonché di logicità motivazionale in ordine al ricorso alla prova presuntiva per ritenere esistente un danno all’immagine e alla dignità personale dell’attore P.L., così come statuito dal Giudice “a quo” sotto il numero 4.1. di pag. 29 e 30 dell’appellata sentenza, con palese violazione dell’art. 2727 e 2729 cc.”.
In particolare, secondo gli appellanti il Giudice avrebbe errato laddove ha assunto a presunto fatto noto solamente dicerie (relative a persistenti sospetti dei compaesani sulla colpevolezza di Luigi Pane) per poi dedurre in via presuntiva il danno all’immagine e alla reputazione personale, così violando l’art. 2729 c.c.
Invero, con la produzione dei dispacci di cui all’allegato 4-5 e 7 alla comparsa costitutiva del 14 settembre 2007, gli appellanti avrebbero dimostrato che la cronaca giudiziaria in questione è durata dalle ore 11:18 alle ore 12:26 del 29/03/2006, cioè per un’ora e otto secondi, ed in ogni caso, il dubbio che l’odierno attore P.L. sarebbe stato indagato per il plurimo omicidio in parola non si è protratto oltre le ore 14:04 del 29/03/2006, cioè oltre le ore 2 e 87 minuti. Sarebbe, infatti, evidentemente falsa la testimonianza di Portafoglio Carlo, il quale sostiene di non aver visto sul sito Ansa i dispacci di rettifica, provati dalla documentazione prodotta, e della testimonianza del teste Giancarlo Graziosi.
Alla luce di ciò, ad avviso degli appellanti il Giudice di prime cure avrebbe errato nell’attribuire alla notizia de qua una forza diffusiva persuasiva e su più fronti atteso che una notizia di così breve durata non avrebbe potuto ingenerare nel lettore, uomo medio, la convinzione che Luigi Pane fosse il colpevole, così ledendo la sua immagine.
Con il quarto motivo gli appellanti incidentali impugnano la sentenza deducendo la “Erronea e immotivata presupposizione che “lo stato d’ansia” di cui ai certificati medici - allegati 18 e 19 prodotti dagli attori - (e anche dagli odierni appellanti) - fosse connesso e dipendente dalla durata per un’ora e otto secondi del contenuto del prodotto dispaccio Ansa del 29/3/2006 ore 11:18 e ore 11:28 fino al successivo e sostitutivo dispaccio del 29/3/2006 ore 12:26.”.
Secondo gli appellanti i certificati medici prodotti, attestanti solo l’esistenza dello stato d’ansia, non proverebbero che la causa genetica dell’insorgenza della patologia sarebbe collegata al dispaccio datato 29/03/2006, ore 11.18, nel quale risultava scritto che l’attore era iscritto nel registro degli indagati per la strage di Caraffa.
Diversamente, il Giudice di prime cure avrebbe dovuto considerare e valutare se, più semplicemente, lo stato d’ansia ed il patimento d’animo fossero la diretta e normale conseguenza dell’uccisione dei quattro familiari e dell’andirivieni dalla Caserma dei Carabinieri per essere sentiti sulla strage in parola.
Con il quinto motivo di appello gli appellanti incidentali lamentano l’infondatezza della condanna al risarcimento del danno morale in favore dell’attrice Barbara Jolanta Oszczyk in quanto quest’ultima non è la persona offesa dal reato di diffamazione.
Con il sesto motivo di appello gli appellanti incidentali lamentano “l’errato ed infondato accoglimento della domanda di manleva proposta da IAC Search & Media Italia srl e da Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo società cooperativa” in quanto il riferimento al contratto intercorso tra l’Ansa e le due società non può giustificare l’accoglimento della domanda, tenuto conto che, secondo l’orientamento della Suprema Corte, l’esame ed il controllo attento della notizia deve superare ogni dubbio, non essendo sufficiente l’affidamento in buona fede sulla fonte informativa, soprattutto quando questa sia costituita da un’altra pubblicazione giornalistica.
Con il settimo motivo di appello gli appellanti incidentali lamentano l’”Infondato rigetto della domanda proposta dagli odierni appellanti Ansa e dr. Gramaglia ex art. 89 c.p.c.”.
Con l’ottavo motivo di appello gli appellanti incidentali lamentano l’accoglimento della domanda volta alla cancellazione dagli archivi degli organi di informazione convenuti in giudizio di ogni eventuale notizia, ancora in pubblicazione, che riporti informazioni circa il coinvolgimento di Luigi Pane nella strage.
L’A.N.S.A. ha, difatti, già provveduto autonomamente, prima ancora che fosse instaurato il giudizio di primo grado.
Con il nono motivo di appello gli appellanti incidentali impugnano il capo della sentenza relativo alle spese di lite, sostenendo che, in considerazione dell’accoglimento parziale delle domande proposte da Luigi Pane e dalla madre e del rigetto delle domande avanzate da P.F. e P.M., il Giudice di primo grado ha errato nel condannare l’Ansa e il Gramaglia al pagamento delle spese nei confronti di Luigi Pane e della madre, mentre, diversamente, avrebbe dovuto condannare al pagamento delle spese di lite nei loro confronti P.F. e P.M..
5.2 Nel giudizio iscritto al n. 881/2020 R.G.:
Con il primo motivo di appello gli appellanti incidentali impugna la sentenza di primo grado deducendo la “Violazione dell’articolo 92 Cpc - errata, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla compensazione delle spese di lite (parti Matteo Pane e Fotino Pane)”.
Lamentano che, nonostante la soccombenza totale degli originari attori Matteo e Fotino Pane, il Tribunale ha disposto la compensazione totale delle spese di lite, in ragione della asserita complessità della controversia e la particolare rilevanza dei diritti oggetto della causa. In realtà, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 77/18 - secondo cui la compensazione delle spese di lite è consentita solo in presenza di ragioni “gravi” ed “eccezionali” - e coerentemente con i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, il generico rinvio alla complessità delle questioni trattate, operato dal giudice di prime cure per giustificare la compensazione delle spese di lite, è motivo inidoneo a consentire la deroga dall’ordinario principio di soccombenza. Egualmente, è a dirsi circa l’ulteriore richiamo formulato dal giudice di prime cure alla particolarità dei diritti oggetto della controversia. Se, infatti, la tipologia dei diritti oggetto della controversia in esame costituisse effettivamente motivo di compensazione delle spese di lite, si perverrebbe all’assurdo di espungere l’ordinario principio di soccombenza da tutti i contenziosi legali concernenti la diffamazione a mezzo stampa, avendo tali giudizi ad oggetto i medesimi diritti oggetto del presente giudizio.
Con il secondo motivo di appello l’Agenzia A.N.S.A. e il dott. Giampiero Gramaglia deducono la “Violazione dell’art. 595 III° comma Cp - Assenza dell’elemento soggettivo dell’illecito - reato - scusabilità dell’errore - insussistenza del danno per assenza di causalità giuridica - insussistenza del danno per assenza di causalità materiale (parti Luigi Pane e Barbara Jolanta Oszczyk)”.
Rappresentano che, di vero, dalla istruzione del procedimento di primo grado è emerso in modo incontrovertibile che l’A.N.S.A. è incorsa in un errore “(uno scambio di persona, o meglio di nipote) dalla stessa rettificato in soli 59 minuti”. Nonostante tali circostanze, pur deducibili dalla stessa impugnata sentenza, il giudice di prime cure non ha applicato al caso in esame i consequenziali principi di diritto, con riferimento in particolare ai seguenti profili: i) l’assenza del requisito soggettivo dell’illecito-reato costituente la diffamazione; ii) la scusabilità dell’errore; (iii) l’assenza sia del nesso di causalità materiale sia del nesso di causalità giuridica tra l’errore rapidamente corretto (il subitaneo esaurimento della condotta ritenuta illecita) e i danni temporalmente estesi, siccome allegati nell’atto di citazione dal Sig. Luigi Pane e dalla Sig.ra Barbara Jolanta Oszczyk.
Con il terzo motivo di appello gli appellanti incidentali deducono la “Violazione dell’art. 2043 cc - unitarietà del danno non patrimoniale”.
Deducono la manifesta erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui riconosce a P.L. un duplice risarcimento del danno non patrimoniale (€ 30.000,00 + € 25.000,00). Risarcimento che viene erroneamente raddoppiato considerando la lesione della reputazione non un elemento costitutivo della fattispecie illecita (distinto quindi dal danno-conseguenza) ma un’arbitraria sottocategoria del danno morale, separatamente emendato. Inoltre, nel quantificare il danno, il Tribunale avrebbe omesso di considerare quattro circostanze, e cioè: a) la pacifica assenza di notorietà di P.L.; b) la minima intensità del dolo, essendo A.N.S.A. incappata in un errore di persone e risultando del tutto assente l’intenzionalità della condotta; c) l’avvenuta rettifica e la particolare celerità della stessa, essendo occorsa in soli 59 minuti; d) l’assenza di concrete ripercussioni nella vita professionale e relazionale.
§ 6. L’appello di RAI - Radiotelevisione Italiana S.p.A.
6.1 Con il primo motivo l’appellante incidentale impugna la sentenza di primo grado deducendo la “Violazione di legge (artt. 595 ss. cod. pen. e 2043 cod. civ.); erronea e insufficiente motivazione circa la sussistenza della natura diffamatoria delle notizie diffuse dalla RAI sotto il profilo della sussistenza dell’elemento oggettivo e di quelli soggettivi.”.
In particolare, sul piano oggettivo il Tribunale non avrebbe tenuto conto del concetto di verità putativa, in forza del quale l’esercizio del diritto di cronaca è legittimo se i fatti riportati appaiono veri al momento in cui sono riferiti; nel caso di specie, la notizia diffusa dalla Rai era stata giudicata veritiera poiché basata sull’autorevolezza delle testate (principalmente Ansa e Agenzia giornalistica europea) che l’avevano creata e divulgata.
Sul piano soggettivo, invece, mancherebbe comunque l’elemento psicologico del dolo e della colpa richiesto al fine di integrare il reato di diffamazione, proprio per il fatto di aver riportato notizie de relato confidando sull’autorevolezza della fonte.
La sentenza si rivela, pertanto, ad avviso dell’appellante, carente di motivazione nella parte in cui sovrappone le posizioni dell’Ansa e della Rai senza invece distinguere e accertare separatamente l’elemento soggettivo dell’illecito.
Con il secondo motivo l’appellante incidentale impugna la sentenza di primo grado deducendo la “violazione di legge (artt. 2043, 2055 e 2697 cod. civ.); erronea e insufficiente motivazione in punto di determinazione dei presunti danni e della loro ripartizione, nonché in punto di accertamento del nesso causale.”
Rispetto al danno all’immagine e alla dignità personale, il Tribunale, seppur inizialmente ha correttamente rilevato che tale danno non poteva considerarsi dimostrato in re ipsa, successivamente lo ha giudicato provato in via presuntiva.
Tuttavia, ad avviso dell’appellante, atteso che un riconoscimento in via presuntiva postula l’esistenza di un fatto noto dal quale risalire al fatto ignoto da provare, nel caso di specie non può certamente considerarsi fatto noto quello rappresentato con la testimonianza resa dal sig. Francesco Adamo, secondo cui “dopo tale evento (Luigi Pane) ha subito una trasformazione perché in paese ancora qualcun mormora nei bar «se era coinvolto forse qualcosa poteva avere a che fare con la strage»“.
Il carattere del tutto generico e non circostanziato del fatto narrato in tale dichiarazione non consente di fondare su tale fatto la costruzione di una presunzione capace di rivelare la sussistenza di un danno all’immagine e alla dignità personale.
Né può essere invocata la valutazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c., tanto più che, secondo l’appellante, il Tribunale nel farlo avrebbe genericamente richiamato i criteri utilizzati nelle ipotesi di diffamazione, senza però precisare in quali termini l’importo liquidato sarebbe conforme ai criteri medesimi e, per di più, senza tenere conto dell’immediata rettifica operata dalla RAI.
Quanto, invece, al danno morale riconosciuto dal Giudice di prime cure in favore di Luigi Pane e di sua madre, la sua liquidazione sarebbe stata del tutto arbitraria, sia perché ricollegato ad un ipotetico stato d’ansia non dimostrato, sia in ragione dell’insussistenza degli elementi del reato di diffamazione.
Ancora, l’appellante rileva, altresì, il mancato accertamento del nesso di causalità diretto tra i servizi giornalistici contestati alla RAI e gli eventi dannosi dedotti da controparte, lamentando l’inesistenza di tale relazione causale o, comunque, la sua interruzione da parte diversi articoli di stampa che hanno preceduto i telegiornali della RAI.
Infine, la determinazione del quantum della condanna nei confronti della RAI sarebbe errata anche sotto il profilo della ripartizione del danno tra le parti soccombenti, risultando del tutto omessa la spiegazione dei criteri applicati dal Giudice di primo grado.
Con il terzo motivo l’appellante incidentale impugna la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale ha erroneamente posto a carico della RAI le spese di lite.
§ 7. L’appello incidentale di Corradino Mineo
7.1 Con il primo motivo l’appellante incidentale lamenta la “nullità della sentenza per inesistenza della notifica dell’atto introduttivo”.
Difatti, nonostante il Giudice di prime cure abbia affermato che nonostante la ritualità della notifica il Mineo rimaneva contumace, non risulterebbe in atti alcuna prova della notifica dell’atto di citazione in primo grado.
L’inesistenza della notifica ha comportato la mancata instaurazione di un regolare contradditorio nei confronti del Mineo, privandolo della possibilità di partecipare al processo e di influire sul suo svolgimento e sul contenuto della decisione finale.
Conseguentemente, ad avviso dell’appellante, in applicazione degli artt. 353 e 354 c.p.c., dev’essere dichiarata la nullità del primo giudizio e della relativa sentenza, senza necessità di rimettere la causa al Giudice di primo grado.
Con il secondo motivo l’appellante incidentale censura la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che il Mineo, in qualità di direttore della testata Rainews24.it, dovesse rispondere delle conseguenze risarcitorie del reato proprio di omesso controllo ex art. 57 c.p.
Invero, all’epoca dei fatti il Dott. Mineo non era ancora divenuto direttore responsabile della testata anzidetta, avendo assunto tale carica soltanto a partire dal mese di novembre 2006, come confermato nell’ordine di servizio del 21 novembre 2006 allegato in atti.
Ciò comporta la totale estraneità del Mineo rispetto al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, poiché in assenza della qualifica di Direttore, nemmeno astrattamente avrebbe potuto essere reputato responsabile ai sensi dell’art. 57 c.p.
Con il terzo motivo l’appellante incidentale impugna la sentenza deducendo “la violazione di legge (artt. 51, 57, 185 e 595 ss. cod. pen.;, 2043 e 2059 cod. civ.) erronea motivazione circa la sussistenza del reato di omesso controllo e del reato di diffamazione”.
Secondo l’appellante, il giudice di prime cure, nel ritenere configurato il reato di cui all’art. 57 c.p. in virtù dell’evidente falsità della notizia pubblicata, avrebbe errato laddove non ha adeguatamente tenuto conto del concetto di verità putativa, secondo cui l’esercizio del diritto di cronaca è legittimo (ricorrendo la scriminante dell’esercizio del diritto ex art. 51 cod. pen.), qualora i fatti riportati appaiano veri al momento in cui sono riferiti.
Nella specie, i giornalisti di Rainews24.it hanno giudicato la notizia relativa all’iscrizione di Luigi Pane del registro degli indagati veritiera proprio in considerazione dell’autorevolezza delle testate che per prima l’hanno creata e diffusa (Ansa e AGE).
Quanto all’elemento psicologico, l’avere pubblicato la notizia de relato ed aver ragionevolmente confidato nell’autorevolezza della fonte, esclude il dolo richiesto per la configurazione del reato in questione.
Con il quarto motivo l’appellante incidentale impugna la sentenza deducendo la “violazione di legge (artt. 1223 cod. civ. 2055, 2056 cod. civ.); erronea e insufficiente motivazione in punto di determinazione dei presunti danni e della loro ripartizione, nonché in punto di accertamento del nesso causale.”
Tale censura presenta gli stessi contenuti di quella avanzata dall’appellante incidentale RAI - Radiotelevisione italiana con il secondo motivo di appello.
Con il quinto motivo l’appellante incidentale impugna la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale ha erroneamente posto a carico di Corradino Mineo le spese di lite.
§ 8. Le questioni preliminari
8.1 Preliminarmente, va revocata la dichiarazione di contumacia, disposta con ordinanza del 5 febbraio 2021, di GEDI News Network S.p.A. (già Editrice La Stampa S.p.A. e poi Itedi S.p.A.) e Giulio Enrico Anselmi, i quali si sono regolarmente costituiti con comparsa di costituzione e risposta depositata il 29 giugno 2022.
8.2 Va poi dato atto che l’appello principale è stato notificato a soli fini della litis denuntiatio ai seguenti soggetti: Editrice La Stampa S.p.A., Giulio Anselmi, IacSearch e Media Italia S.r.l, Excite Italia B.W., Yahoo! Italia S.r.l. in liquidazione, Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo Soc. Cooperativa, Meucci Pietro, Cioni Aligi.
I signori Pane - Oszczyk hanno infatti precisato che nei confronti di costoro “non si chiede nel presente atto la condanna ad alcun titolo di responsabilità” (cfr. citazione in appello, pag. 5), con l’ovvia conseguenza che è ormai definitivamente trascorsa il giudicato la relativa statuizione di rigetto delle domande attoree.
Non sussistono di conseguenza i presupposti per la regolamentazione delle spese del grado a norma dell’art. 91 c.p.c. che richiede la qualità di parte e perciò una vocatio in ius, e la soccombenza della stessa.
8.3 Sempre in via preliminare, va rigettata, poiché infondata, l’eccezione d’inammissibilità dell’appello principale formulata da Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo.
Invero, nella fattispecie, il gravame risponde ai requisiti di cui all’art. 342 c.p.c. alla luce dei principi chiarificatori espressi dalle Sezioni Unite n. 27199/20171. L’atto di appello, infatti, risulta motivato e simmetrico rispetto alla motivazione della sentenza impugnata: l’appellante ha specificatamente individuato i punti della pronuncia di cui auspica la riforma ed ha indicato gli errori che avrebbe commesso il giudice di prime cure, contrapponendo alla tesi spesa dal tribunale quella che, a suo dire, avrebbe dovuto condurre il giudice a una decisione di segno diametralmente opposto.
§ 9. Le valutazioni della Corte
9.1 Ragioni di ordine logico-giuridico impongono l’esame prioritario degli appelli proposti da A.N.S.A., Giampiero Gramaglia, R.A.I. e Finanziaria Editoriale e Chiara Spagnolo.
9.1.1 In particolare, è opportuno esaminare congiuntamente il primo motivo di appello proposto da A.N.S.A. e Gramaglia nel giudizio iscritto al n. 886/2020R.G., il secondo motivo proposto sempre da A.N.S.A. e Gramaglia nel giudizio iscritto al n. 881/2020 R.G., il primo motivo di appello proposta da R.A.I. ed il primo ed il secondo motivo proposti da Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo, tutti concernenti l’an del reato di diffamazione e del conseguente diritto al risarcimento del danno.
Nella specie, gli appellanti incidentali lamentano l’erroneità della sentenza per non aver il Giudice di prime cure riconosciuto l’esimente del diritto di cronaca e, in particolare, sia per aver considerato superato il limite della verità, anche nell’accezione della verità putativa, sia per aver ritenuto configurato l’elemento soggettivo del dolo generico.
Tali censure sono infondate.
Giova premettere che, come reiteratamente affermato dalla Suprema Corte, in tema di diffamazione a mezzo stampa, qualora - come nel caso portato all’attenzione di questa Corte - il fatto non abbia costituito oggetto di valutazione in sede penale, è demandato al giudice civile di svolgere un accertamento preordinato alla verifica dell’esistenza dei presupposti della responsabilità civile e, quindi, di un danno risarcibile, presupposti ravvisabili nella consapevole diffusione, a mezzo dell’organo di informazione, del fatto lesivo dell’onore e del prestigio del soggetto passivo, nel danno e nel discredito che allo stesso ne è derivato, nella esistenza di un nesso di adeguata causalità tra la condotta e l’evento indicati, con la conseguenza che l’esimente del diritto di cronaca sarà invocabile da parte del giornalista solo all’esito di un rigoroso controllo dell’attendibilità della fonte e dell’accertamento della verità sostanziale dei fatti oggetto della notizia (ex multis Cass. civ., 23 maggio 2001, n.7025; Cass. civ., 25 luglio 2000, n.9746; Cass. civ., 2 luglio 1997, n. 5947).
In particolare, è oramai consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il corretto esercizio del diritto di cronaca presuppone il concorso di tre elementi: 1) la verità oggettiva della notizia diffusa o pubblicata; 2) l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza); 3) la correttezza formale dell’esposizione (c.d. continenza).
Quanto al requisito della verità, il cui superamento, nel caso di specie, è stato correttamente accertato dal Giudice di prime cure, esso è stato interpretato estensivamente dalla giurisprudenza per ovviare alle difficoltà, in campo giornalistico, scaturenti dal richiedere la ricorrenza della verità “oggettiva”, cioè della diretta conoscenza dei fatti divulgati.
In particolare, la stessa Cassazione a Sezioni Unite ha proceduto ad una ridefinizione di tale parametro, in base alla quale laddove la divulgazione della notizia sia preceduta da un lavoro di verifica attento e scrupoloso il reato di diffamazione non può dirsi configurato per l’assenza dell’antigiuridicità del fatto attesa l’applicazione dell’esimente della c.d. “verità putativa”.
Pertanto, perché operi questa scriminante sono necessari due elementi, uno oggettivo e l’altro soggettivo: da un lato, è necessario che i fatti narrati, poi rivelatisi falsi, non siano manifestamente implausibili, dall’altro che l’autore dello scritto abbia compiuto ogni sforzo diligente, alla stregua della diligenza esigibile dal giornalista medio secondo la previsione dell’art. 1176, comma 2, c.c., per accertare la verità di essi.
A tal riguardo, la Suprema Corte ha recentemente affermato che “...la cosiddetta verità putativa del fatto non dipende dalla mera verosimiglianza dei fatti narrati, essendo necessaria la dimostrazione dell’involontarietà dell’errore, dell’avvenuto controllo - con ogni cura professionale, da rapportare alla gravità della notizia e all’urgenza di informare il pubblico - della fonte e della attendibilità di essa, onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati.” (Cass. civ., 7 ottobre 2022, n. 29265).
A ciò si aggiunga che per stabilire se l’autore abbia diligentemente valutato l’attendibilità della sua fonte di informazioni occorre considerare tutte le circostanze del caso concreto, ed in particolare: la qualità della fonte, giacché il dovere di verifica sarà tanto meno accurato quanto più autorevole sia la fonte dell’informazione, e la diffusività del mezzo col quale viene veicolata l’informazione da parte del giornalista, giacché il suo dovere di controllo dovrà essere tanto più zelante quanto maggiore sia la potenziale diffusività del mezzo d’informazione che intende adoperare.
In definitiva, pertanto, “l’esimente della verità putativa dei fatti narrati, idonea ad escludere la responsabilità dell’autore d’uno scritto offensivo dell’altrui reputazione, sussiste solo a condizione che:
a) l’autore abbia compiuto ogni diligente accertamento per verificare la verosimiglianza dei fatti riferiti;
b) l’autore abbia dato conto con chiarezza e trasparenza della fonte da cui ha tratto le sue informazioni, e del contesto in cui, in quella fonte, esse erano inserite;
c) l’autore non ha sottaciuto fatti collaterali idonei a privare di senso o modificare il senso dei fatti narrati;
d) l’autore, nel riferire fatti pur veri, non abbia usato toni allusivi, insinuanti, decettivi”. (Cass. civ. Ord. 27952/2019).
Conseguentemente, è evidente che, in ossequio al criterio di distribuzione degli oneri probatori disciplinato dall’art. 2697 c.c., una volta provato dall’attore il fatto della pubblicazione diffamatoria, spetterà al convenuto dimostrare, a fondamento dell’eccezione di esercizio del diritto di cronaca e della sussistenza della relativa esimente, la verità della notizia, la quale può atteggiarsi anche in termini di verità putativa (Cass. civ., 26 aprile 2022, n. 12985).
Ciò premesso in diritto, occorre ora esaminare singolarmente ciascuna posizione del caso di specie al fine di poter effettuare le opportune distinzioni in fatto, atteso la diversità dei contenuti diffamatori, e rispondere puntualmente alle censure di ogni appellante incidentale.
- Quanto alla posizione di A.N.S.A. questa, dopo aver affermato il diritto della collettività a ricevere informazioni su chi sia stato coinvolto in un procedimento penale, ha dedotto di aver dimostrato la sussistenza dei presupposti per l’operatività dell’invocata esimente della verità putativa per il dispaccio del 29/03/2006 ore 11:28 tramite, in particolare, la richiesta di ammissione a testimoniare del dott. Orazio De Domenico, quest’ultima, tuttavia, non ammessa dal Giudice di prime cure per incapacità del teste ex art. 246 c.p.c.
Ebbene, nel dispaccio in questione si legge testualmente “...Luigi Pane è stato iscritto nel registro degli indagati dopo che a suo carico sono emersi indizi di colpevolezza nel corso dell’interrogatorio cui il giovane è stato sottoposto...”.
Posto che sia pacifica la non corrispondenza al vero di tali affermazioni e, conseguentemente, altresì l’inesistenza di un interesse pubblico ad essere informati di un fatto falso, ciò su cui è necessario soffermarsi è l’applicabilità o meno dell’esimente della verità putativa.
Come anticipato, in tali ipotesi il convenuto è tenuto a dimostrare non solo la verosimiglianza dei fatti narrati, bensì anche di aver operato un controllo attento e diligente sulla fonte di informazione, sulla sua attendibilità e sulla notizia che si intende diffondere.
Nel caso di specie, la prova principale che l’A.N.S.A. intendeva fornire era la testimonianza del Dott. Orazio De Domenico, colui che aveva redatto e trasmesso la notizia, il quale avrebbe dovuto riferire di aver ottenuto le informazioni in questione da persone delle Forze dell’ordine preposte ad investigare sul pluriomicidio.
Correttamente il Tribunale ha ritenuto di dichiarare incapace a testimoniare il teste anzidetto, in ossequio al disposto di cui all’art. 246 c.p.c., il quale enuncia il principio di incompatibilità tra la posizione di parte, anche solo potenziale, con quella di testimone. Difatti, considerato che il dott. De Domenico ha concorso nella condotta diffamatoria redigendo e diffondendo la notizia, nulla esclude che gli odierni appellanti avrebbero potuto citare anche lui in giudizio al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti.
Tuttavia, pur volendo supporre l’ammissibilità della testimonianza, e dunque ritenere dimostrato che la notizia dell’iscrizione di Luigi Pane nel Registro degli Indagati sia stata fornita da un soggetto facente parte delle Forze dell’Ordine preposte alle attività investigative del caso, ciò non è sufficiente per l’applicazione della verità putativa atteso che non vi è, comunque, la prova di un attento e diligente controllo della fonte. Difatti, secondo la giurisprudenza, mentre nell’ipotesi in cui la notizia sia stata fornita da fonti ufficiali (sentenze, conferenze stampa tenute dalla Polizia, comunicati emessi dalle Autorità sanitarie, ecc.) non è necessario operare una puntuale verifica in ragione del fatto che l’ufficialità della fonte conferisce al fatto una sorta di certificazione di autenticità, al contrario non è esonerato dall’obbligo di verifica il giornalista che apprende la notizia da un rappresentante delle forze di Polizia mediante un mero colloquio informale.
Infine, per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato di diffamazione, l’Ansa sostiene che proprio per la convinzione della sussistenza di una verità putativa, nonché per la consapevolezza di esercitare il diritto di cronaca giudiziaria al fine di informare la collettività, nella fattispecie non vi era affatto la cosciente volontà di offendere la reputazione degli odierni appellanti principali.
Orbene, la Suprema corte statuisce che “In tema di responsabilità civile per diffamazione, è necessario e sufficiente che ricorra il cd. dolo generico, anche nelle forme del dolo eventuale, cioè la consapevolezza di offendere l’onore e la reputazione altrui, la quale si può desumere dalla intrinseca consistenza diffamatoria delle espressioni usate” (Cass. civ., 26 ottobre 2017, n. 25420; Cass. civ. n. 2705 del 2020). In buona sostanza, per rispondere del reato di diffamazione è sufficiente essere consapevoli che le proprie espressioni siano idonee a poter offendere qualcuno, a prescindere dall’effettiva consapevolezza che tali offese colgano nel segno oppure no. È evidente, allora, che nel caso di specie l’Ansa non poteva non essersi resa conto che il proprio articolo era potenzialmente idoneo a ledere l’immagine del giovane Luigi Pane, a maggiore ragione se si considera che l’informazione proveniva da una fonte non ufficiale.
Per tutte queste ragioni, in relazione all’Agenzia Ansa il reato di diffamazione, una volta accertato sia l’elemento oggettivo che quello soggettivo, può dirsi pienamente integrato.
L’errore in persona “(uno scambio di persona, o meglio di nipote)” quale causa di esclusione della colpevolezza è questione nuova introdotta da A.N.S.A. e dal dott. Gramaglia per la prima volta in appello, in palese violazione del divieto di nova sancito dall’art. 345 c.p.c., che riguarda non soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma anche le contestazioni nuove, ossia quelle non esplicate in primo grado e ciò perché nuove contestazioni in secondo grado, modificando i temi di indagine, trasformerebbero il giudizio di appello da mera revisio prioris istantiae in iudicium novum, il che è estraneo al vigente ordinamento processuale. Come affermato dalla Suprema Corte, “è la logica stessa del sistema che esclude che in appello ... possano introdursi nuove contestazioni in punto di fatto (cfr., ad esempio, Cass. n. 4854/2014 e Cass. n. 7878/2000” (cfr. Cass. civ., 13 ottobre 2015, n. 20502; conf. Cass. civ., 1 febbraio 2018, n. 2529). Trattasi di principio vigente anche nel rito del lavoro, avendo il Supremo Collegio precisato che “nel rito del lavoro, il divieto di “nova” in appello, ex art. 437 cod. proc. civ., non riguarda soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma è esteso alle contestazioni nuove, cioè non esplicitate in primo grado, sia perché l’art. 416 cod. proc. civ. impone un onere di tempestiva contestazione a pena di decadenza, sia perché nuove contestazioni in secondo grado, oltre a modificare i temi di indagine (trasformando il giudizio di appello da “revisio prioris instantiae” in “iudicium novum”, estraneo al vigente ordinamento processuale), altererebbero la parità delle parti, esponendo l’altra parte all’impossibilità di chiedere l’assunzione di quelle prove alle quali, in ipotesi, aveva rinunciato, confidando proprio nella mancata contestazione ad opera dell’avversario” (cfr. Cass. civ., 28 febbraio 2014, n. 4854).
- Quanto alla posizione della R.A.I., questa, ha dedotto l’insussistenza della natura diffamatoria della notizia sia sul piano oggettivo, ritenendo applicabile l’esimente della verità putativa in considerazione del fatto di aver giudicato veritiera la notizia in virtù dell’autorevolezza delle testate che per prima l’hanno creata e diffusa (l’Ansa e l’Agenzia Giornalistica Europea), sia sul piano soggettivo, ritenendo inesistente l’elemento psicologico necessario per fondare la sua responsabilità.
Orbene, essendo anche qui pacifico che i contenuti diffusi dalla R.A.I. abbiano travalicato i limiti della verità oggettiva, fermo restanti le considerazioni già svolte in diritto in merito alla verità putativa, per l’applicazione di quest’ultima la R.A.I. avrebbe dovuto dimostrare di aver operato un attento controllo sulla fonte di informazione.
Difatti, sebbene l’Agenzia A.N.S.A. sia dotata di un’indubbia autorevolezza quale fonte di informazioni, essa, comunque, non può essere considerata come una fonte privilegiata, ufficiale, ovvero una fonte la cui autorevolezza esonera automaticamente il giornalista dalla verifica sulla sua attendibilità.
Pertanto, in assenza della dimostrazione, da parte della R.A.I., di una precisa e puntuale verifica, l’esimente della verità putativa non può ritenersi integrata.
Allo stesso modo, come anticipato relativamente all’A.N.S.A., idoneo ad integrare l’elemento psicologico del delitto di diffamazione è, secondo la giurisprudenza, il dolo generico, che può altresì assumere la forma del dolo eventuale, in quanto è sufficiente che l’agente consapevolmente faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, cioè adoperate in base al significato che esse vengano oggettivamente ad assumere senza un diretto riferimento alle intenzioni dell’agente.
“Per la ravvisabilità del delitto di diffamazione, è sufficiente la sussistenza del dolo eventuale, e cioè che l’autore abbia previsto ed accettato il rischio di verificarsi della lesione al bene protetto; tale giudizio di prevedibilità va effettuato con riferimento all’agente modello, in rapporto all’attività concretamente svolta” (Cass. pen. Sez. V, 19 dicembre 2001, n. 2972).
È evidente, allora, che nel caso che qui ci occupa, attesa la gravità della notizia che si stava andando a diffondere, nonché l’ampia diffusione che la stessa avrebbe avuto essendo trasmessa con l’edizione del TG1 e del TG2 delle 11:00, 12:00 e 13:30, la RAI, decidendo di rendere nota la notizia, senza operare alcun controllo ulteriore e fidandosi pienamente dell’A.N.S.A., si può dire abbia accettato il rischio che si potesse ledere l’altrui reputazione, così determinando l’integrazione del dolo, nella forma di dolo eventuale.
- Quanto alla posizione di Finanziaria Editoriale e Chiara Spagnolo, questi hanno lamentato un’errata interpretazione, da parte del Tribunale, dell’articolo a firma di Chiara Spagnolo, deducendo di non aver superato né il limite della verità né quello della continenza e, conseguentemente, di aver agito nell’esercizio del diritto di cronaca. Appurato cosa la giurisprudenza intende per “verità”, occorre soffermarsi sul requisito della continenza. Esso consiste nella forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, una forma non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività tale da escludere ogni intento denigratorio.
Sul tema si è più volte soffermata la Suprema Corte, affermando che: ‘7n tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, il diritto di cronaca soggiace al limite della continenza, che comporta moderazione, misura, proporzione nelle modalità espressive, le quali non devono trascendere in attacchi personali diretti a colpire l’altrui dignità morale e professionale, con riferimento non solo al contenuto dell’articolo, ma all’intero contesto espressivo in cui l’articolo è inserito, compresi titoli, sottotitoli, presentazione grafica, fotografie, trattandosi di elementi tutti che rendono esplicito, nell’immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo, e quindi idonei, di per sé, a fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi.” (Cass. Civ. Sentenza n. 20608 del 07/10/2011); o, ancora, ‘7n tema di diffamazione a mezzo stampa, l’applicabilità della scriminante rappresentata dalla continenza verbale dello scritto che si assume offensivo va esclusa allorquando vengano usati toni allusivi, insinuanti, decettivi, ricorrendo al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato, all’artificiosa drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre e alle vere e proprie insinuazioni.” (Cass. Civ. Sentenza n. 27592 del 29/10/2019).
Ciò posto, nell’articolo di cui si discute, dal titolo “Cugini uniti nel sangue e dal coinvolgimento nella tragedia”, l’autrice scrive nella parte iniziale “Claudio e Luigi, cugini tra loro, cugini anche con Eugenio e Maria, i due ragazzi uccisi insieme ai genitori Camillo e Annamaria in un casolare di Caraffa. Uniti da un legame di sangue e forse, chissà, dal coinvolgimento nel più barbaro omicidio che il Catanzarese ricordi da anni. Ieri, entrambi sono stati interrogati per ore. Lunghissimi faccia a faccia con i carabinieri del Reparto operativo, che portano avanti le indagini sul delitto avvenuto lunedì nei pressi di un casolare di Caraffa. Sullo sterminio della famiglia Pane di Decollatura, infatti, secondo gli investigatori sia Claudio Tomaino, che Luigi Pane saprebbero molto. Il punto è stabilire fino a che punto siano testimoni e da quale punto in poi, invece, possano diventare protagonisti dell’inchiesta che mira a verificare chi abbia ucciso quattro persone e perché”.
Ebbene, appare veramente difficile riuscire a dare a tale scritto l’interpretazione prospettata in atti da Finanziaria Editoriale, secondo cui con questo articolo la giornalista ha semplicemente ricostruito i fatti dell’indagine, atteso che, sin dal titolo, chiaramente allusivo ed insinuante, ciò che emerge e giunge a qualunque tipologia di lettore, non solo il lettore medio, è la percezione della reale e fondata probabilità che Luigi Pane sia coinvolto nell’omicidio di Camillo Pane e della sua famiglia. Tale percezione è corroborata, peraltro, dall’accostamento, anch’esso velatamente allusivo, con il cugino Claudio Tomaino, vero colpevole della strage.
A ciò si aggiunga che, in considerazione del fatto che l’articolo è stato pubblicato sul “Quotidiano della Calabria” il 30 marzo 2006, cioè a seguito della smentita circa il coinvolgimento di Luigi Pane nel pluriomicidio e successivamente all’arresto di Claudio Tomaino, lo scritto in questione, anche in virtù dei toni utilizzati, sembra travalicare altresì il limite della verità.
Ciò avviene in primis con la frase, sopra riportata, in cui si afferma la necessità di stabilire fino a che punto i cugini Luigi e Claudio siano solo testimoni o protagonisti dell’inchiesta. Sebbene Finanziaria Editoriale si difenda attribuendo alla locuzione “protagonisti dell’inchiesta” un significato più ampio, non necessariamente allusivo di un’accusa, è evidente come, posto l’accostamento al vero omicida e posta l’alternativa con la figura del testimone, l’unico modo in cui è possibile intendere l’asserzione in questione è quella cui è pervenuto correttamente il Giudice di prime cure, ovvero come autore/concorrente dell’omicidio.
Così intesa, tale frase risulta essere, dunque, non veritiera atteso l’avvenuto arresto del vero colpevole.
Ancora, Chiara Spagnolo scrive in un passaggio successivo “...Ieri in mattinata si diffonde la notizia che è indagato per l’omicidio dei parenti ma gli investigatori si affrettano a smentirla. Il giovane però resta a Catanzaro presso la Caserma dei Carabinieri di Piazzale Trieste. Per ore sotto torchio, mentre a distanza di molti chilometri, nel suo paese, la madre, provata da tanto dolore, non regge il colpo e si sente male”.
Orbene, che Luigi Pane sia stato interrogato dai Carabinieri, emerge chiaramente dalla testimonianza del Capitano Enrico Pigozzo, il quale avrebbe riferito che “...Luigi Pane è stato tra i primi ad essere sentito, anche se ne sentivamo tanti...”.
Tuttavia, lungi dal voler semplicemente esporre lo svolgimento dei fatti, la frase “per ore sotto torchio”, oltre a non essere conforme a verità, fa evidentemente intendere un lungo interrogatorio finalizzato a scoprire quanto più possibile da una persona che, molto spesso, si ritiene coinvolta. Essa, pertanto, all’interno di tale contesto, non può che assumere una valenza prettamente negativa e denigratoria.
Allo stesso modo, non veritiero e allusivo risulta essere l’articolo nella parte in cui asserisce che la madre di Luigi Pane si era sentita male mentre quest’ultimo veniva interrogato dai Carabinieri. Difatti, non solo l’enfasi utilizzata non fa altro che continuare a mettere in cattiva luce Luigi, ma, in ogni caso, la vicenda raccontata non rispecchia la realtà atteso che, secondo l’accertata ricostruzione dei fatti, la madre si sarebbe sentita male quando, insieme allo stesso Luigi, apprendevano per la prima volta, dalla televisione, la notizia della strage e del presunto coinvolgimento di Luigi.
In conclusione, si ritiene che l’articolo a firma di Chiara Spagnolo, pubblicato su “Il Quotidiano della Calabria”, integri il reato di diffamazione sia sul piano oggettivo, poiché sono stati violati i limiti di verità e continenza, sia sul piano soggettivo, con la precisazione che per le ragioni sopra esposte non può trovare, in alcun modo, applicazione l’esimente del diritto di cronaca.
9.1.2 Successivamente, risulta opportuno esaminare congiuntamente il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo proposti da A.N.S.A. e Gramaglia nel giudizio iscritto al n. 881/2020 R.G.A.C., il secondo e il terzo motivo proposti da A.N.S.A. e Gramaglia nel giudizio iscritto al n. 886/2020R.G.A.C., il secondo motivo di appello proposto da R.A.I. ed il terzo ed il quarto motivo proposto da Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo, tutti attinenti alla mancata dimostrazione da parte degli appellanti principali sia del danno all’immagine subito da Luigi Pane, sia del danno morale patito da Luigi Pane e Barbara Jolanta Oszczyk, nonché alla mancata prova del nesso di causalità tra gli articoli/servizi giornalistici e il danno morale dedotto, nonché, infine, ad una liquidazione del danno all’immagine del tutto arbitraria da parte del Tribunale e ad una ingiustificata duplicazione delle voci di danno non patrimoniale.
Per quanto concerne il danno all’immagine, deve rammentarsi che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come nel caso di lesione al diritto all’immagine e alla dignità personale, non è in re ipsa ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da colui che ne domandi il risarcimento: prova che, peraltro, ben può essere data con ricorso al notorio e tramite presunzioni (giurisprudenza costante: fra le tante, di recente, Cass. civ., 18 gennaio 2017, n. 1185; Cass. civ., 13 ottobre 2016, n. 20643), assumendo, a tal fine, come specifici parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della persona colpita, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale.
In particolare, secondo la Suprema Corte “Il danno all’immagine ed alla reputazione (nella specie, per un articolo asseritamente diffamatorio), inteso come “danno conseguenza”, non sussiste “in re ipsa”, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. Pertanto, la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base non di valutazioni astratte, bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé, ed assumendo quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima.” (Cass. Civ. Ordinanza n. 4005 del 18/02/2020)
Nel caso di specie, il Tribunale ha adeguatamente e correttamente motivato in ordine alla prova della sussistenza del danno-conseguenza all’immagine subito da Luigi Pane, in considerazione della qualità del soggetto, della potenzialità diffusiva del mezzo sul quale le affermazioni aventi carattere diffamatorio hanno trovato spazio, nonché, soprattutto, della gravità dell’offesa accertata.
È stato, difatti, evidenziato come il contenuto della notizia non solo fosse di una gravità inaudita, essendo consistita nell’accusa di omicidio nei confronti di un’intera famiglia, ma avesse avuto, altresì, una diffusione ad ampio spettro, essendo stata trasmessa sui notiziari con maggiore visibilità nazionale, nonché su siti web visitati ogni minuto da migliaia di persone. A ciò si aggiunga l’incidenza che la notizia falsa ha, presumibilmente, avuto in riferimento al contesto sociale del Pane, il paese di Decollatura, un contesto particolarmente ristretto in cui è semplice urtare, più che altrove, la sensibilità dell’opinione pubblica.
A conferma di quanto detto il Tribunale ha altresì fatto riferimento alla testimonianza di Adamo Francesco secondo cui Luigi “dopo tale evento ha subito una trasformazione perché in paese ancora qualcuno mormora nei bar “se era stato coinvolto forse qualcosa poteva avere a che fare con la strage”“; tali dichiarazioni, lungi dal considerarsi, come affermato da A.N.S.A., semplici dicerie, sono, invece, proprio rappresentative del contesto sociale in cui il Pane si trova a vivere ogni giorno e che ancora non ha dimenticato quanto è accaduto e quanto è stato falsamente diffuso. Infatti, sebbene la notizia diffamatoria sia stata pubblicamente visibile per poco tempo, la gravità del suo contenuto è tale, ad avviso di questa Corte, da non essere certamente passata inosservata o da essere dimenticata nel giro di qualche giorno.
Oltre a ciò, la Rai e Finanziaria editoriale e Chiara Spagnolo, hanno lamentato un vizio di motivazione laddove il Giudice di prime cure ha quantificato il danno utilizzando il parametro equitativo ed effettuando una graduazione della responsabilità, omettendo, tuttavia, di spiegare i criteri utilizzati nel caso specifico.
Orbene, non errano le parti laddove affermano che il Giudice è tenuto a dare apposita motivazione sulla quantificazione del danno operata equitativamente. A tale riguardo, la Suprema Corte ha, difatti, statuito che “In tema di liquidazione equitativa del danno (nella specie, da fermo tecnico di un velivolo), al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, è necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al “quantum”.” (Cass. civ., 31 gennaio 2018, n. 2327).
Nel caso che qui ci occupa, il Tribunale dopo aver effettuato una discrezionale quantificazione del danno, condivisa da questa Corte, ha indicato, seppur sinteticamente, i criteri seguiti per l’operazione, andando poi a suddividere l’intera somma tra le parti convenute secondo una graduazione di colpa delle stesse. Invero, il Giudice ha ritenuto di dover tenere conto, ai fini della suddetta graduazione, delle condotte diffamatorie, della capacità diffusiva di ciascun organo di informazione nonché dell’accoglimento della domanda di manleva spiegata da Excite Italia B.V. e Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo Soc. Coop. nei confronti di Ansa.
Pertanto, si può meglio specificare che mentre la domanda di manleva ha sicuramente inciso, tra le altre cose, sulla maggiore somma dovuta da A.N.S.A., la capacità diffusiva dei notiziari della R.A.I. hanno invece inciso sulla cifra prevista in capo ad essa, rispetto alla quale poca rilevanza ha assunto la successiva rettifica della notizia, atteso che quest’ultima aveva già determinato, nell’immediatezza della pubblicazione, la lesione oggi lamentata. La Suprema Corte ha, infatti, affermato che “In tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, la pubblicazione di una rettifica ai sensi dell’art. 8 della l. n. 47 del 1948 non determina, quale conseguenza automatica, la riduzione del danno, dovendosi procedere a una valutazione in concreto della relativa incidenza sullo specifico pregiudizio già verificatosi quale conseguenza delle dichiarazioni offensive” (Cass. civ., 17 gennaio 2022, n. 1152).
Invece, per quanto riguarda l’articolo a firma di Chiara Spagnolo su “il Quotidiano della Calabria”, il fatto che esso sia stato pubblicato in un momento successivo rispetto alle altre testate non è, come afferma Finanziaria Editoriale S.r.l., un elemento positivo da cui far derivare una minor danno, ma, al contrario, è rappresentativo di una condotta diffamatoria più grave rispetto alle altre, considerata la maggiore consapevolezza del reale corso delle indagini. Tuttavia, è necessario evidenziare che, come si spiegherà meglio in seguito durante l’esame del primo motivo di appello principale, la graduazione della responsabilità anzidetta e la relativa suddivisone esplicano effetti solo nei rapporti interni, poiché il Giudice è tenuto a condannare le parti in solido tra loro al risarcimento dei danni causati.
Per quanto concerne il danno morale patito da Luigi Pane e dalla madre Barbara Jolanta Oszczyk, si ritengono, altresì, infondate le lagnanze relative alla mancata prova del suddetto danno, nonché alla mancata dimostrazione della sussistenza del nesso di causalità tra gli articoli/servizi giornalistici e il danno morale.
In particolare, in merito al nesso di causalità, Ansa, Rai e Finanziaria editoriale e Chiara Spagnolo, hanno dedotto il fatto che lo stato d’ansia lamentato, in assenza di una qualsivoglia altra prova, potrebbe essere derivato semplicemente dalla terribile vicenda dell’uccisione dei familiari e non dalla diffusione della notizia in questione.
Orbene, è d’uopo osservare come, nella specie, il tribunale non abbia considerato in re ipsa il danno morale, bensì abbia correttamente fatto ricorso ad un ragionamento probatorio di tipo presuntivo fondato sulla massima di esperienza, in forza del quale al giudice è consentito di riconoscere come esistente un certo pregiudizio in tutti i casi in cui si verifichi una determinata lesione. Proprio con riguardo al danno morale, la Suprema Corte ha precisato che, nel territorio della prova dei fatti allegati, “non solo non si ravvisano ostacoli sistematici al ricorso al ragionamento probatorio fondato sulla massima di esperienza specie nella materia del danno non patrimoniale, e segnatamente in tema di danno morale, ma tale strumento di giudizio consente di evitare che la parte si veda costretta, nell’impossibilità di provare il pregiudizio dell’essere, ovvero della condizione di afflizione fisica e psicologica in cui si è venuta a trovare in seguito alla lesione subita, ad articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati d’animo interiori da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito” (cfr. Cass. civ., 10 novembre 2020, n. 25164).
Ebbene, la consumazione del reato di diffamazione lascia presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, il particolare turbamento e la sofferenza morale patiti a causa della lesione del diritto alla reputazione, trattandosi di patimenti ordinariamente riconducibili a detta lesione. Nel caso di specie, tuttavia, bisogna evidenziare come il Giudice di prime cure non si sia fondato solamente su presunzioni, bensì su fonti di prova piene, avendo Luigi Pane e la madre debitamente allegato tutta la documentazione medica dalla quale desumere il patema d’animo sofferto.
Invero, è possibile rinvenire in atti:
1) Un certificato in cui si attesta che in data 29/03/2006 Barbara Jolanta Oszczyk, a seguito di una visita, è stata dichiarata dal medico “affetta da crisi di agitazione psicomotoria con tremori intesi arti superiori, torace ed arti inferiori che le impediscono di rimanere seduta. Tachicardia ritmica... Dolore toracico...”;
2) Referto del pronto soccorso relativo alla persona di Barbara Jolanta Oszczyk, datato 29/03/2006, in cui nella parte concernente la diagnosi si legge “Stato d’ansia”;
3) Certificato medico, datato 25/05/2006, in cui si attesta che Barbara Jolanta Oszczyk è affetta da sindrome da stress post-traumatico;
4) Referto del pronto soccorso relativo alla persona di Luigi Pane, datato 29/03/2006, in cui nella parte concernente la diagnosi si legge “Stato d’ansia”;
5) Certificato medico, datato 25/05/2006, in cui si attesta che Luigi Pane è affetto da sindrome da stress post-traumatico;
6) Consulenza psicologica, a seguito di un ciclo di terapia, sulla persona di Luigi Pane, nella cui conclusione si legge: “Gli elementi clinici e psicodiagnostici emersi in maniera del tutto omogenea dalla valutazione psicologica condotta sul Signor P.L. depongono per la presenza di una condizione psicopatologica nosologicamente identificabile con un disturbo Post Traumatico da Stress.
È, quindi, verosimile che tale disturbo possa porsi in diretta correlazione con l’evento traumatico vissuto dal soggetto al momento in cui è stato vittima dell’errore mediatico precedentemente citato. Tenuto conto della casistica esistente nella letteratura sull’argomento e considerando che il disturbo interferisce in maniera significativa sul funzionamento abituale del soggetto è possibile concludere per la presenza a carico del soggetto di una condizione di danno psichico”.
Ecco, dunque, che alla luce di tali elementi non solo si ritiene provato il danno morale di cui si chiede il risarcimento, ma altresì il nesso di causalità tra danno e condotte diffamatorie, atteso che, seppure volessimo affermare, come indicato dagli appellanti incidentali, che lo stato d’ansia sia derivato in parte dalla vicenda occorsa, è evidente però che esso sia stato alimentato e rafforzato dalla diffusione delle notizie diffamatorie giungendo così a cagionare una sofferenza certamente maggiore, nonché rappresentativa del danno morale lamentato, rispetto a quella eventualmente patita in assenza delle condotte per cui è causa.
Da ciò è conseguita la valutazione necessariamente equitativa dei pregiudizi subiti, risultando tale criterio imposto dalla natura stessa del danno, che non può essere provato nel suo preciso ammontare (art. 1226 c.c.) e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico.
In tal senso, la Suprema Corte ha chiarito che “il danno da lesione di diritti assoluti della personalità costituzionalmente protetti, quale la reputazione, che sia derivato da condotta colpevole, può essere provato mediante presunzioni ed è un danno conseguenza suscettibile di quantificazione in via equitativa” (cfr. Cass. civ., 16 aprile 2018, n. 9385).
Inoltre, va, altresì, evidenziato come diversamente da quanto affermato dall’agenzia A.N.S.A., ai fini del risarcimento del danno morale a nulla rileva il fatto che Barbara Jolanta Oszczyk non sia la persona offesa dal reato. La giurisprudenza ha, difatti, chiarito che non risulta necessario rivestire simultaneamente la qualità di persona offesa dal reato e di soggetto danneggiato, attesa la diversità tra tali due figure: mentre la prima è esclusivamente il soggetto titolare del bene giuridico o dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice, il secondo è, invece, ogni soggetto che dal reato abbia subito concretamente un danno.
Ne consegue che l’individuazione della persona offesa non esaurisce l’individuazione di ogni possibile danneggiato civile dal reato, dovendo quest’ultimo essere accertato con riferimento al caso concreto.
D’altra parte, un’eventuale limitazione in tal senso non sarebbe giustificata né dall’art. 185 c.p., il quale, nel prevedere che “ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”, postula solo l’esistenza di un nesso causale tra il reato e il danno, ma non individua i soggetti danneggiati risarcibili; né dall’art. 74 c.p.p, che riconosce ad ogni “soggetto al quale il reato ha recato danno”, e dunque non solo alla persona offesa, il diritto di esercitare l’azione civile nel processo penale al fine di ottenere il risarcimento del danno ex art. 185 c.p.
Per quel che concerne la stigmatizzata, dall’A.N.S.A. e da Giampiero Gramaglia, duplicazione delle voci di danno (morale e all’immagine e alla dignità personale), limitatamente a P.L., si osserva che la perpetrazione del delitto di diffamazione a mezzo stampa può comportare sofferenze psichiche al soggetto diffamato consistenti nello stato di rabbia, vergogna, preoccupazione, turbamento indotti dalla pubblicazione diffamatoria. L’insieme delle conseguenze dannose riconducibili all’inflizione di tale sofferenza psichica rappresenta il “danno morale” inferto all’individuo.
Alla stessa azione, tuttavia, possono conseguire ulteriori danni aventi carattere immateriale quali la lesione della reputazione, il danno all’immagine, la compromissione della capacità di concorrenza professionale.
In tal senso la Suprema Corte ha già da tempo affermato che nella nozione di danno non patrimoniale rifluisce “oltre naturalmente al danno morale in senso soggettivo, quelle fattispecie di danno che l’evoluzione giurisprudenziale (...) identificava come danni patrimoniali in senso non economico e particolarmente le fattispecie di danno per lesione in sé di una situazione giuridica riconducibile ai diritti fondamentali della persona (...) nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione - che all’art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo -, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona, non esaurendosi esso nel danno morale soggettivo” (cfr. Cass. civ., 4 giugno 2007, n. 12929).
Nel caso di specie, il Tribunale ha motivatamente ravvisato entrambe le ipotesi di danno-conseguenza, riconducibili alla figura unitaria del danno non patrimoniale, ed ha proceduto ad una duplice liquidazione, onde tener conto di volta in volta delle peculiarità delle due voci di danno.
9.1.3 Per concludere la trattazione è necessario esaminare il sesto, il settimo e l’ottavo motivo di appello proposto da A.N.S.A. nel giudizio iscritto al n. 886/2020 R.G.
Con il sesto motivo l’appellante impugna la sentenza nella parte relativa all’accoglimento della domanda di manleva nei confronti di Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo Soc. Coop. a r.l. e Iac Search & Media Italia S.r.l, deducendo che la pubblicazione preventiva della notizia su altri siti è inidonea a giustificare il mancato controllo, da parte delle società anzidette, sulla veridicità della notizia diffusa.
Invero, il Giudice di prime cure ha accolto la domanda di manleva sulla base di tutt’altra motivazione.
In particolare, dopo aver affermato in modo generale il principio secondo cui il giornalista non può appagarsi di notizie rese pubbliche da altre fonti informative senza esplicare alcun controllo, nonché dopo aver precisato la totale estraneità di Iac Search & Media Italia s.r.l, non essendo proprietaria né editrice del portale Web Excite News, per come riconosciuto dalla stessa Excite Italia BV, ha invece fondato l’accoglimento della domanda sulla disciplina prevista all’interno del contratto di fornitura stipulato da A.N.S.A. con la Excite Italia BV e la Cassa Padana.
Con riferimento a quest’ultima il Tribunale ha correttamente evidenziato come il contratto, allegato in atti, all’art. 6 prevede una clausola di esonero della responsabilità del fornitore (Ansa) “per danni causati dalla rielaborazione delle notizie costituenti il servizio oggetto del presente contratto effettuata dal cliente per la realizzazione di propri servizi o a qualunque altro fine, nonché dalla riproduzione integrale di singole notizie e/o di parte di esse effettuata dal cliente stesso senza menzionare il Copyright ANSA ed il/i marchio/i del servizio stesso”. Pertanto, laddove, come nel caso di specie, il Cliente abbia riportato integralmente la notizia, senza effettuare rielaborazioni e menzionando il copyright, la responsabilità per eventuali danni derivanti dalla notizia diffusa dev’essere attribuita in capo al fornitore e non al cliente. Altrettanto infondato è il settimo motivo di appello, con cui l’A.N.S.A. deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui è stata rigettata la richiesta risarcitoria ex art. 89 c.p.c. spiegata nei confronti degli odierni appellanti principali.
Ebbene, l’art. 89 prevede l’obbligo per le parti e i loro difensori di non usare espressioni sconveniente o offensive negli scritti presentati e nei discorsi pronunciati davanti al Giudice; qualora ciò avvenga, il Giudice può disporre la cancellazione di tali espressioni.
Tali espressioni consistono in tutte quelle frasi che oltrepassano il limite della correttezza e della convenienza processuale, violando i principi posti a tutela del rispetto e della dignità della persona umana e del decoro del procedimento.
Al riguardo la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che “Non scatta il risarcimento del danno ex art. 89 c.p.c. qualora le espressioni contenute negli scritti difensivi, nei confronti dell’avvocato di controparte, non eccedano dalle esigenze difensive e siano preordinate a dimostrare la scarsa attendibilità delle sue affermazioni. Nell’esercizio del diritto di difesa, anche espressioni colorite, o commenti sul contegno processuale della controparte, sono ampiamente ammesse e scriminate per effetto delle esigenze difensive del procuratore.” (Cass. civ., 17ottobre 2019, n. 26318).
Nella specie, correttamente il Tribunale ha rigettato la domanda rilevando l’insussistenza dei presupposti previsti dalla norma; invero, le frasi di cui si richiede la cancellazione si ritengono strettamente ricollegate alla materia controversa e prive di uno sterile intento dispregiativo.
Al contrario, fondato è l’ottavo motivo di appello, con cui l’A.N.S.A. lamenta l’erroneità della sentenza per averla, il Tribunale, condannata alla cancellazione della notizia nonostante avesse già provveduto a farlo.
Di conseguenza, in accoglimento di questo motivo, va revocata la condanna di A.N.S.A. alla rimozione dai suoi archivi di ogni eventuale notizia ancora in pubblicazione che riporti le censurate informazioni circa il coinvolgimento di Luigi Pane nella strage di Caraffa.
9.1.4 Per quanto concerne i motivi proposti da A.N.S.A. con entrambi gli appelli relativi al capo della sentenza riguardante le spese, essi si ritengono infondati per le ragioni che seguono.
Il Tribunale ha compensato le spese processuali tra gli attori Fotino e Matteo Pane e tutti i convenuti, così motivando: “la complessità delle questioni giuridiche affrontate e la particolare rilevanza (anche costituzionale) dei diritti oggetto di causa integrano la sussistenza di giusti motivi, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. nella formulazione testuale vigente ratione temporis, per compensare integralmente le spese processuali ...” (cfr. pagg. 34-35 della sentenza impugnata).
Ebbene, il nono motivo dell’appello proposto dall’Agenzia A.N.S.A. e dal dott. Gramaglia iscritto al n. 886/2020 R.G. è indubbiamente inammissibile avendo gli appellanti omesso di censurare specificamente la ritenuta - dal Tribunale - sussistenza di “giusti motivi” per disporre la compensazione delle spese di lite.
Quanto al primo motivo di appello incidentale proposto da A.N.S.A. e Gramaglia nel giudizio iscritto al n. 881/2020 R.G., si osserva quanto segue.
In effetti, il giudizio di primo grado è stato instaurato nell’Aprile dell’anno 2007. Si applica allora l’art. 92, comma 2, c.p.c. nella seguente formulazione: «Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti». Il che rende non pertinente il richiamo al dictum della sentenza della Corte Costituzionale n. 77/18, che, come è noto, ha dichiarato la illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 92, nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del D.L. n. 132/2014, che però non trova applicazione nel caso di specie.
Il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per “giusti motivi”, dunque, deve trovare nella sentenza un adeguato supporto motivazionale, nel senso che le ragioni giustificatrici di esso devono essere chiaramente e inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione.
Ebbene, in base a questi principi, deve ritenersi che, nel caso concreto il riferimento alla “complessità delle questioni giuridiche affrontate” e alla “rilevanza (anche costituzionale) dei diritti oggetto di causa”, soddisfi l’obbligo motivazionale imposto dalla norma, integrando i “giusti motivi” richiamati dall’art. 92 nella formulazione vigente ratione temporis (cfr. Cass. civ., Sez. L., 23 maggio 2003, n. 8210: “La decisione del giudice di merito di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, essendo l’espressione di un potere discrezionale attribuito dalla legge, è incensurabile in sede di legittimità, a meno che essa non sia accompagnata dalla indicazione di ragioni palesemente illogiche, tali da inficiare, stante la loro inconsistenza, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto l’esistenza di giusti motivi - individuati nella particolare complessità e nella novità delle questioni trattate - per compensare integralmente fra le parti le spese del doppio grado, ed ha a sua volta disposto la compensazione delle spese del giudizio di legittimità”).
In conclusione, l’appello proposto da A.N.S.A. e Gramaglia Giampiero è solo parzialmente fondato (limitatamente all’ottavo motivo).
Sono invece integralmente infondati, e devono essere rigettati, gli appelli proposti da R.A.I Radiotelevisione Italiana, Finanziaria Editoriale e Chiara Spagnolo.
Relativamente al terzo motivo dell’appellante incidentale di R.A.I. - Radiotelevisione Italiana S.p.A., è sufficiente rilevare che la R.A.I. non ha specificamente censurato il capo sulle spese, limitandosi a dedurre la necessità del suo annullamento quale conseguenza dell’accoglimento dell’appello.
9.2 A seguire, risulta opportuno esaminare autonomamente l’appello incidentale proposto da Corradino Mineo, in ragione della differente posizione (Direttore della testata RaiNew24.it) dallo stesso rivestita.
9.2.1 In primis, si dichiara infondato il primo motivo di appello, con cui il Mineo lamenta la nullità della sentenza per inesistenza della notifica dell’atto introduttivo.
Invero, gli appellanti principali hanno debitamente dimostrato che la notifica dell’atto di citazione sia andata a buon fine, allegando in atti, il 10 ottobre 2022, apposita cartolina, nella quale si legge che la raccomandata è stata consegnata alla Sig.ra Elena Lelli il 4 maggio 2007. 9.2.2 Il secondo motivo di appello, con cui il Mineo, allegando apposita documentazione, deduce di non poter rispondere ex art. 57 c.p. poiché all’epoca dei fatti non era ancora stato nominato Direttore, è fondato.
Con esso l’appellante contesta la titolarità passiva del rapporto giuridico, per non essere stato all’epoca del fatto illecito, il direttore responsabile della testata Rainews24.it, avendo assunto tale carica soltanto a partire dal mese di novembre 2006.
Orbene, come autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite, con il noto arresto del 2016, “la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione del convenuto” (cfr. Cass. Sez. Un., 16 febbraio 2016, n. 2951). Nella medesima pronuncia si è precisato che “Le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotto dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti”.
Non vi è dubbio, pertanto, che gravasse sulla persona danneggiata, parte attorea, l’onere di dimostrare la titolarità passiva del rapporto in capo al Mineo, nella pretesa sua qualità di direttore responsabile della testata Rainews24.it, non assumendo la contumacia del convenuto valore di non contestazione.
Tale onere probatorio non è stato assolto dai signori Pane - Oszczyk, così che, in accoglimento dell’appello proposto da Corradino Mineo, la domanda risarcitoria agitata nei suoi confronti va rigettata.
All’accoglimento dell’appello consegue la riforma della statuizione sulle spese processuali di primo grado, che non possono, ovviamente, gravame sul Mineo, non essendo configurabile nei suoi confronti una soccombenza.
Il terzo e il quarto motivo di appello sono assorbiti.
9.3 Infine, è d’uopo soffermarsi sull’esame dell’appello principale.
9.3.1 Il primo motivo di appello, con cui gli appellanti principali lamentano l’erroneità della sentenza per aver il Tribunale condannato le controparti al risarcimento del danno pro quota e non in solido tra loro, è fondato.
Nel nostro ordinamento viene accolto il principio dell’indivisibilità e della solidarietà nelle obbligazioni ex delicto, sancito dall’art. 187, comma 2, c.p. secondo cui “I condannati per uno stesso reato sono obbligati in solido al risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale”. Tale norma va letta in combinato disposto con l’art. 2055 c.c., ove si prevede che se il fa tto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno, così sancendo un principio generale da cui scaturisce la solidarietà per gli obblighi civili.
In particolare, l’art. 2055, comma 1, c.c. è applicabile ogni qualvolta un evento dannoso unico rispetto al danneggiato è causalmente derivato dalle condotte anche autonome e non identiche di più persone, e cioè da fatti illeciti anche diversi e temporalmente distinti, purché concorrenti a determinarlo con efficacia di concausa.
Pertanto, l’art. 2055 c.c. postula l’unicità del danno configurabile, pur in presenza di più azioni od omissioni costituenti illeciti distinti, dovendo invece escludersi tale solidarietà se le condotte realizzate da più soggetti hanno leso separatamente interessi diversi del danneggiato.
Al riguardo la Suprema Corte ha chiarito che “L’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 cod. civ. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo, in coerenza con la funzione propria di tale istituto di rafforzare la garanzia del danneggiato, sicché ricorre tale responsabilità pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione dell’intero danno”. (Cass. civ. n. 20192/2014)
Va, peraltro, evidenziato come la norma in questione non abbia la finalità di alleviare la responsabilità dei concorrenti nella produzione del danno ma quella opposta di favorire il danneggiato, rendendo irrilevante rispetto a quest’ultimo ogni accertamento circa il rapporto causale tra la singola condotta e la parte di danno da essa derivata e consentendogli di rivolgersi per l’intero risarcimento a ciascuno degli obbligati senza doverli perseguire tutti pro quota.
D’altra parte, il principio di solidarietà non esclude che il Giudice, una volta individuato e quantificato il danno risarcibile, possa ripartirlo tra i danneggianti alla luce di una valutazione inerente al grado di colpa di ciascuno di essi.
Tuttavia, laddove ciò avvenga, tale graduazione non può che avere una mera efficacia interna tra i condebitori, a nulla rilevando nei rapporti esterni.
“In materia di risarcimento del danno da fatto illecito, ove esistano più possibili danneggianti, la graduazione delle colpe tra essi ha una mera funzione di ripartizione interna tra i coobbligati della somma versata a titolo di risarcimento del danno e non elide affatto la solidarietà tra loro esistente” (Cass. Civ. n.2066/2018);
“La solidarietà passiva nel rapporto obbligatorio è prevista dal legislatore nell’interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest’ultimo, consentendogli di ottenere l’adempimento dell’intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori, mentre non ha alcuna influenza nei rapporti interni tra condebitori solidali, fra i quali l’obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza, in parti uguali.” (Cass. civ. n. 542/2020)
Come già ampiamente rappresentato, nel caso di specie è stato ritenuto integrato il reato di diffamazione a mezzo stampa con riferimento alle testate giornalistiche parti in causa, nonché del reato di omesso controllo con riferimento agli editori.
Ne consegue che, nel caso di specie, il Tribunale, pur avendo quantificato il danno all’immagine in maniera corretta, per le ragioni in precedenza dette, ha errato nella parte in cui non ha fatto applicazione del principio di solidarietà, condannando le controparti al pagamento del danno secondo le ripartizioni operate in motivazione.
Pertanto, si ritiene corretto, in tale sede e in ossequio ai principi sopra esposti, condannare solidalmente le controparti al risarcimento del danno de quo, tenendo ferma la graduazione operata dal Giudice di prime cure, la quale, per come è già stato illustrato, avrà una mera efficacia interna, relativa ai soli rapporti tra i condebitori.
9.3.2 Con il secondo motivo l’appellante impugna la sentenza del Tribunale nella parte in cui non è stato riconosciuto il risarcimento del danno morale a Fotino e Matteo Pane, né il risarcimento del danno all’immagine ed alla dignità personale di Fotino e Matteo Pane e Barbara Jolanta Oszczyk.
Il motivo è infondato per le ragioni che seguono.
È necessario ribadire che il danno non patrimoniale, sia esso danno morale o, come nel caso di specie, altresì, danno all’immagine, non può considerarsi in re ipsa, ma costituisce un danno conseguenza che dev’essere allegato e provato da chi ne chiede il risarcimento, sebbene tale prova possa essere data con ricorso al notorio e tramite presunzioni.
Con riferimento al caso specifico del danno richiesto dai prossimi congiunti del danneggiato diretto, la Suprema Corte ha affermato che “Ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire “iure proprio” contro il responsabile. La liquidazione di tale tipologia di danno deve avvenire in via equitativa, in forza di una sua valutazione complessiva, potendosi ricorrere a presunzioni sulla base di elementi oggettivi, forniti dal danneggiato, quali le abitudini di vita, la consistenza del nucleo familiare e la compromissione delle esigenze familiari.” (Cass. Civ. Sentenza n. 14392 del 27/05/2019).
Pertanto, sebbene in astratto tale danno può certamente essere risarcito, è necessario, tuttavia, che colui che fa domanda fornisca degli elementi da cui desumere la sussistenza dello stesso nel caso concreto.
Ciò non è avvenuto nel caso che qui ci occupa.
Come correttamente affermato dal Tribunale, difatti, non sussiste alcun riscontro probatorio che la notizia diffamatoria abbia arrecato un pregiudizio diretto ai congiunti.
9.3.3 Con il terzo motivo gli appellanti principali lamentano un’errata quantificazione per difetto del danno non patrimoniale subito da Luigi Pane.
Anche questo motivo di appello si ritiene infondato.
Orbene, si ribadisce la sussistenza di un potere discrezionale del Giudice nell’operare la quantificazione del danno che trova limite e giustificazione in un’adeguata, logica e corretta motivazione. Al riguardo, si rimanda al paragrafo 9.1.2, in cui sono state esposte le ragioni per cui si ritiene corretta, in tale sede, la quantificazione operata dal Tribunale.
9.3.4 Con il quarto motivo gli appellanti principali lamentano il mancato riconoscimento della somma a titolo di risarcimento ex art. 12 L. 47/1948.
Il motivo è parzialmente fondato nei limiti che seguono.
L’art. 12 della legge n. 47/1948 prevede che “nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato.”. Questa riparazione pecuniaria, come precisa chiaramente la norma, si aggiunge al risarcimento dei danni previsti come conseguenza civile del reato dall’art. 185 c.p.
Al riguardo la Suprema Corte ha affermato che “La sanzione pecuniaria, prevista dall’art. 12 della l. n. 47 del 1948 nell’ipotesi di diffamazione commessa col mezzo della stampa, si aggiunge senza sostituirsi al risarcimento del danno causato dall’illecito diffamatorio, e presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, sicché non può essere comminata alla società editrice e può esserlo, invece, al direttore responsabile, purché la sua responsabilità sia dichiarata per concorso doloso nel reato di diffamazione e non per omesso controllo colposo della pubblicazione” (Cass. Civ. Sentenza n. 16054 del 29/07/2015).
Ebbene, nel caso di specie, correttamente il Tribunale ha ritenuto di non poter applicare tale sanzione agli Editori citati, poiché trattasi di soggetti collettivi rispetto ai quali non può sorgere una responsabilità penale per diffamazione, essendo la responsabilità penale personale ai sensi dell’art. 27 Cost.
Lo stesso deve dirsi quanto ai direttori originariamente convenuti nei cui confronti è ravvisabile piuttosto il reato proprio di cui all’art. 57 c.p., per avere essi violato l’obbligo di controllare il contenuto delle notizie diffuse dal giornale da ognuno di essi diretto.
Tuttavia, il Giudice di prime cure ha, invece, omesso di considerare il caso della giornalista Chiara Spagnolo, citata in giudizio, odierna appellante incidentale.
Nei confronti di quest’ultima, in qualità di autrice dell’articolo “Cugini uniti nel sangue e nel coinvolgimento della tragedia” pubblicato su “Il Quotidiano della Calabria”, può dirsi integrato il reato di diffamazione, e, pertanto, sarà tenuta a corrispondere la riparazione pecuniaria prevista dall’art. 12 legge n. 47 del 1948.
Tenuto conto della gravità dell’offesa e della diffusione dello stampato, la somma può essere equitativamente determinata in € 1.000,00 all’attualità in favore di P.L., persona offesa dal reato di diffamazione oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al dì del soddisfo.
§ 10. Le spese processuali
10.1 Nel rapporto processuale tra P.L. e gli appellati soccombenti, le ragioni della decisione giustificano la compensazione delle spese del grado nella misura di 1/3 e la condanna dei soccombenti, in solido fra loro, al pagamento dei restanti 2/3 in favore dell’appellante principale.
10.2 Nel rapporto processuale tra Barbara Jolanta Oszczyk e gli appellati incidentali, la reciproca soccombenza giustifica la compensazione integrale delle spese di lite dell’appello che vanno invece poste a carico della signora Oszczyk limitatamente agli appellati AGE e Picone Paolo.
10.3 Nel rapporto processuale tra i signori Pane- Oszczyk e il dott. Corradino Mineo, le ragioni della decisione e, in particolare, la circostanza che la questione dirimente sia stata posta solo in appello, giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti.
10.4 Fotino Pane e Matteo Pane, soccombenti, vanno condannati, in solido fra loro, alla rifusione delle spese del grado in favore di Agenzia A.N.S.A., Gramaglia Giampiero, R.A.I. - Radiotelevisione Italiana S.p.A., Spagnolo Chiara, Finedit S.r.l., Agenzia di Stampa AGE - Agenzia Giornalistica Europea S.r.l., Picone Paolo.
10.5 Del pari, Agenzia A.N.S.A. va condannata alla rifusione delle spese del grado in favore di Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo Società cooperativa.
10.6 Le spese del grado si liquidano come da dispositivo applicando lo scaglione di valore compreso tra € 52.001 ed € 260.000 alla tariffa media prevista dal D.M. n. 147 del 13 agosto 2022 in vigore dal 23 ottobre 2022 per le tre fasi di studio della controversia, introduttiva e decisionale, non essendo stata fatta alcuna istruttoria.
10.7 Stante il tenore della pronuncia (declaratoria di rigetto dell’appello principale proposto da Barbara Jolanta Oszczyk, Fotino Pane e Matteo Pane e degli appelli incidentali proposti da R.A.I. - Radiotelevisione Italiana S.p.A., Spagnolo Chiara e Finedit S.r.l.), va dato atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del disposto dell’art 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 introdotto dalla L. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Catanzaro, Seconda Sezione Civile, definitivamente decidendo sull’appello proposto da P.L., O.B.J., P.F., P.M. nei confronti di Mineo Corradino, Agenzia Ansa e Giampiero Gramaglia, Meucci Pierluigi e Cioni Aligi, Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo Soc. Cooperativa, Rai - Radiotelevisione Italiana S.p.A., Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo, Picone Paolo e AGE- Agenzia Giornalistica Europa S.r.l., Yahoo! Italia S.r.l., Iac Search & Media Italia S.r.l., Excite Italia B.W., Mediapason S.p.A., Besso Raffaele, Gedi News Network S.p.A. già Editrice La Stampa S.p.a. e poi Itedi S.p.A. e Giulio Enrico Anselmi, nonché degli appelli proposti da Agenzia Ansa e Giampiero Gramaglia, Rai - Radio televisione S.p.A., Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo e Corradino Mineo, tutti ritualmente notificati, avverso la sentenza n. 245/2020, resa dal Tribunale di Lamezia Terme il 29 febbraio 2020 e pubblicata in data 18 maggio 2020, così provvede:
1) accoglie per quanto di ragione l’appello principale proposto da P.L. e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata: a) condanna Agenzia A.N.S.A. e Giampiero Gramaglia, Rai - Radiotelevisione Italiana S.p.A., Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo, Picone Paolo e AGE- Agenzia Giornalistica Europa S.r.l., Mediapason S.p.A. e Besso Raffaele al pagamento, in solido, in favore di Luigi Pane della somma di € 70.000,00 a titolo di danno all’immagine e alla dignità personale; b) condanna Chiara Spagnolo al pagamento in favore di P.L. della somma di € 1.000,00 all’attualità, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al dì del soddisfo; c) rigetta nel resto;
2) rigetta l’appello principale proposto da Fotino Pane, Fotino Matteo e Barbara Jolanta Oszczyk;
3) accoglie l’appello incidentale proposto da Mineo Corradino e, per l’effetto, rigetta la domanda risarcitoria proposta dagli attori nei suoi confronti ed annulla la statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali di primo grado;
4) accoglie parzialmente l’appello incidentale proposto da A.N.S.A. e Gramaglia Giampiero, e, per l’effetto, revoca la condanna di A.N.S.A. alla rimozione dai suoi archivi di ogni eventuale notizia ancora in pubblicazione che riporti le censurate informazioni circa il coinvolgimento di Luigi Pane nella strage di Caraffa; conferma nel resto la sentenza impugnata;
5) rigetta gli appelli incidentali proposti da Rai - Radio televisione S.p.A., Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo;
6) compensa le spese di lite in ragione di 1/3 e condanna in solido Agenzia A.N.S.A. e Giampiero Gramaglia, Rai - Radiotelevisione Italiana S.p.A., Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo, Picone Paolo e AGE- Agenzia Giornalistica Europa S.r.l., Mediapason S.p.A., Besso Raffaele, al pagamento, in favore di P.L., dei restanti 2/3 che liquida in € 6.660,66 per compensi professionali oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA come per legge, con distrazione in favore dei difensori dichiaratisi antistatari;
7) compensa integralmente le spese dell’appello nel rapporto processuale tra Barbara Jolanta Oszczyk e gli appellati incidentali;
8) condanna Barbara Jolanta Oszczyk al pagamento delle spese processuali in favore di AGE - Agenzia Giornalistica Europea - e di Picone Paolo, che liquida, per ciascuna delle parti appellate, in € 9.991,00 oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA come per legge, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario;
9) condanna Fotino Pane e Matteo Pane, in solido fra loro, al pagamento delle spese processuali del grado in favore di Agenzia A.N.S.A. e Giampiero Gramaglia, Finanziaria Editoriale S.r.l. e Chiara Spagnolo, Picone Paolo e AGE- Agenzia Giornalistica Europa S.r.l., che si liquidano, per ciascuna delle parti appellate, in € 9.991,00 oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA come per legge, con distrazione in favore dei difensori dichiaratisi antistatari;
10) condanna Agenzia A.N.S.A. al pagamento delle spese del grado in favore di Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo Società cooperativa, liquidate in € 9.991,00 oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA come per legge;
11) compensa integralmente le spese di lite nel rapporto processuale tra Corradino Mineo e i signori Pane-Oszczyk;
12) sussistono i presupposti per l’applicazione del disposto dell’art 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 introdotto dalla L. 228 del 2012.
Così deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 7 dicembre 2022.
Il Consigliere estensore
dott.ssa Anna Maria Raschellà
Il Presidente
dott.ssa Silvana Ferriero
_____________
1Cass. Sez. U., 16 novembre 2017, n. 27199: “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata” (conf. Cass. civ., 23 marzo 2018, n. 7332).






