1 settembre 2025
T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 01/09/2025, n. 15917 [Tutela dei consumatori - Pratiche scorrette - Trenitalia s.p.a. ritenuta responsabile di aver posto in essere una pratica commerciale scorretta ingannevole ex artt. 20, 21, co. 1, lett. b), e 22 cod. cons. - Sistema telematico di ricerca e acquisto delle soluzioni di viaggio sul sito]
Tutela dei consumatori - Pratiche scorrette - Trenitalia s.p.a. ritenuta responsabile di aver posto in essere una pratica commerciale scorretta ingannevole ex artt. 20, 21, co. 1, lett. b), e 22 cod. cons. - Predisposto un sistema telematico di ricerca e acquisto delle soluzioni di viaggio sul sito che, omettendo di mostrare nella sezione "Tutti i treni" soluzioni di viaggio più economiche con treni regionali, offre una rappresentazione parziale e pertanto fuorviante delle opzioni effettivamente disponibili - Sanzione di AGCM - Ricorso - Sanzione non proporzionata - Riduzione della sanzione irrogata.
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10492 del 2017, proposto da
Trenitalia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Piero Fattori, Antonio Lirosi, Salvatore Spagnuolo ed Eugenio Calvelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonio Lirosi in Roma, via delle Quattro Fontane, 20;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Federconsumatori, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
del provvedimento n. 26700, adottato dall’Autorità il 19 luglio 2017 e notificato a Trenitalia il 3 agosto 2017, con il quale, a conclusione del procedimento PS10578 - Trenitalia - Sistema di prenotazioni, la società è stata condannata al pagamento di una sanzione pari ad euro 5.000.000, per la presunta attuazione di una pratica commerciale scorretta ingannevole ai sensi degli artt. 20, 21, co. 1, lett. b), e 22 cod. cons.;
del provvedimento dell’Agcm assunto in data 7 febbraio 2017 e notificato alla società in data 10 febbraio 2017 e di ogni altro atto presupposto, consequenziale o connesso, ancorché non conosciuto, ivi compresa la comunicazione di avvio del procedimento istruttorio, nonché il provvedimento di rigetto dell’istanza di riesame.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2025 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe Trenitalia s.p.a. ha impugnato il provvedimento con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato l’ha sanzionata per l’attuazione di una pratica commerciale scorretta ingannevole ai sensi degli artt. 20, 21, co. 1, lett. b), e 22 cod. cons., consistente nell’aver predisposto un sistema telematico di ricerca e acquisto delle soluzioni di viaggio sul sito www.trenitalia.com che “omettendo di mostrare nella sezione ‘Tutti i treni’ numerose soluzioni di viaggio più economiche con treni regionali, offrirebbe una rappresentazione parziale e pertanto fuorviante delle opzioni effettivamente disponibili per una data tratta e per un dato orario”.
Il procedimento era stato avviato dall’Autorità con comunicazione del 9 novembre 2016 e, contestualmente, era stata formulata una richiesta di informazioni, volta ad ottenere ulteriori elementi in merito alla struttura ed al funzionamento del sistema telematico adottato da Trenitalia, a cui la società aveva dato riscontro in data 5 dicembre 2016.
In data 23 dicembre 2016 Trenitalia aveva presentato una richiesta di impegni, al fine di rimuovere le criticità sollevate nella comunicazione di avvio, poi integrata in data 23 gennaio 2017 e presentata nel corso dell’audizione della società tenutasi presso l’Autorità il 6 febbraio 2017.
Con provvedimento assunto il giorno successivo all’audizione, l’Autorità aveva rigettato gli impegni proposti da Trenitalia, ritenendo la condotta contestata alla società “di particolare rilevanza” e, ove accertata, “[suscettibile di] integrare una fattispecie di pratica commerciale manifestamente scorretta e grave”.
Il 23 maggio 2017, l’Autorità aveva comunicato a Trenitalia il termine di conclusione della fase istruttoria e, in data 19 luglio 2017, aveva adottato il provvedimento finale, ritenendo che “l’omissione sistematica dell’insieme di soluzioni prodotto dal TSE in risposta ad una interrogazione di alcune soluzioni di viaggio realisticamente utilizzabili dal consumatore e spesso perfettamente sostituibili con quelle offerte appare una condotta omissiva in grado di alterare l’insieme di scelta del consumatore conducendolo a prendere decisioni commerciali che altrimenti non avrebbe effettuato, in violazione dell’ articolo 22 del Codice del Consumo” e che la denominazione di ricerca «Tutti i treni», “lasciando credere al consumatore che il risultato della ricerca sarà un insieme completo delle soluzioni di viaggio realisticamente utilizzabili, inclusivo di tutte le soluzioni ottenibili dall’interrogazione separata delle due banche dati Frecce e Regionali, appare ingannevole in violazione dell’articolo 21, comma 1, lettera b) del Codice del Consumo”.
A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure:
1. decadenza dal termine per la contestazione dell’illecito. Violazione e falsa applicazione degli artt. 14 l. 689/1981 e 27 co. 13 d.lgs. n. 206/2005.
Già con le segnalazioni e le richieste di intervento pervenute negli anni 2012 e 2013, l’Autorità aveva avuto conoscenza di tutti gli elementi su cui si erano poi appuntate ed incentrate le censure mosse con la comunicazione di avvio.
Solo nell’ottobre 2016 - a distanza di oltre cinque anni dalla prima segnalazione - l’Autorità si era determinata ad effettuare d’ufficio delle simulazioni di viaggio dal sito di Trenitalia e, un mese dopo, il 9 novembre 2016, aveva deliberato l’avvio dell’istruttoria, ben oltre il termine previsto dall’art. 14 citato.
2. violazione e falsa applicazione dell’art. 3, par. 4 della direttiva 2005/29/CE, e degli artt. 27, co. 1-bis del codice del consumo e 97 Costituzione. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e, in particolare, difetto di istruttoria. Violazione del principio del buon andamento. Incompetenza.
La ricorrente ha dedotto l’incompetenza dell’Agcm a provvedere in materia di servizi di trasporto, dovendo prevalere la competenza dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti, trattandosi di normativa di settore di derivazione comunitaria.
3. Illegittimità del provvedimento di rigetto degli impegni ed illegittimità derivata del provvedimento finale. Violazione art. 27, co. 7 del d.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo) e del relativo regolamento applicativo. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche.
L’Autorità aveva respinto gli impegni senza compiere alcuna valutazione sull’idoneità degli stessi a rimuovere le criticità evidenziate nella Comunicazione di avvio; inoltre, aveva menzionato la “particolare rilevanza” della condotta contestata e la natura “manifestamente scorretta e grave” della pratica senza offrire in merito alcuna motivazione.
4. Violazione degli artt. 21, 22 e 27 del Codice del consumo. Eccesso di potere, ed in particolare illogicità e contraddittorietà manifesta, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, manifesta irragionevolezza ed ingiustizia, sviamento e perplessità. Insussistenza dei presupposti per qualificare la condotta di Trenitalia come pratica commerciale scorretta.
Il sistema di ricerca delle soluzioni di viaggio predisposto dalla ricorrente non poteva ritenersi ingannevole, in quanto il motore di ricerca teneva conto delle soluzioni di viaggio individuate sulla base della durata del viaggio, della distanza percorsa e del numero di cambi previsti, in modo funzionale alla selezione delle soluzioni più rapide ed efficienti, tali da ridurre al minimo il disagio per l’utenza.
Peraltro, motori di ricerca sostanzialmente analoghi erano utilizzati dai principali operatori europei del settore.
In ogni caso, non sussistevano omissioni ingannevoli nel sistema in quanto il motore di ricerca offriva una rappresentazione completa delle soluzioni di viaggio.
Quanto ai distributori automatici nelle stazioni e alle app, tali strumenti rispondevano all’esigenza primaria di consentire agli utenti di stazione di effettuare degli acquisti rapidi ed immediati, a ridosso del viaggio, e non si prestavano a soddisfare esigenze di consultazione dell’orario ferroviario; tali specificità, tuttavia, non erano mai state prese in considerazione dall’Agcm nella valutazione sulla scorrettezza della pratica.
5. Illegittimità della sanzione. Violazione e falsa applicazione dell’art. 27, co. 9, del Codice del consumo. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 11 della l. n. 689/1981. Eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche, ed in particolare difetto di motivazione, illogicità manifesta, difetto di istruttoria, ingiustizia e irragionevolezza manifeste, sviamento, difetto assoluto dei presupposti per l’irrogazione della sanzione.
L’applicazione di una sanzione corrispondente al massimo edittale, in presenza di una pratica commerciale ritenuta solamente ingannevole (e non anche aggressiva), doveva ritenersi del tutto ingiustificata ed immotivata.
L’Autorità aveva nel caso di specie conferito un rilievo esorbitante alle dimensioni economiche del professionista; se tale riferimento sarebbe giustificato ai fini di garantire un’efficacia deterrente alla sanzione, va tuttavia considerato che il dettato legislativo richiede specificamente, ai fini della quantificazione dell’importo della sanzione fra il limite edittale minimo e massimo, una specifica ponderazione della gravità e della durata della violazione, rispetto a cui il parametro delle mere dimensioni economiche del professionista non poteva assumere un rilievo preminente.
L’Agcm, inoltre, non aveva attribuito il dovuto rilievo al criterio principale di quantificazione della sanzione, connesso alla natura dell’infrazione, qualificata nel provvedimento in termini di mera ingannevolezza, essendo stato espressamente escluso qualsiasi profilo di aggressività della condotta.
Per quanto attiene, invece, alla durata dell’infrazione, risultava erronea la determinazione del termine iniziale dell’infrazione che, a fronte di una condotta riguardante più canali informativi (sito web, ESS, App) era stato ancorato alla data di implementazione della piattaforma informatica PICO per il solo sito web, nonostante per stessa ammissione dell’Agcm le ESS e la APP siano state integrate con tale piattaforma solo a partire dal 2015 (rispettivamente nel gennaio e nel luglio 2015).
Inoltre, la protratta inerzia dell’Agcm nell’avviare l’istruttoria si era tradotta in una maggiore durata dell’infrazione e quindi in un consistente aggravamento della sanzione irrogata, circostanza questa che avrebbe dovuto essere considerata ai fini di una congrua riduzione di quest’ultima, in linea con la giurisprudenza in materia.
Infine, avrebbe dovuto essere valutata l’attenuante da “ravvedimento operoso”, rilevante ex art. 11, legge n. 689/81, non essendo stata valutata la modifica della denominazione della sezione “Tutti i treni” in “Principali soluzioni”, intervenuta prima della chiusura del procedimento e l’implementazione – sempre nel corso del procedimento – nella App Trenitalia e nelle emettitrici self-service dell’opzione di ricerca “Regionali”.
Si è costituita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato resistendo al ricorso.
All’esito dell’udienza del 7 giugno 2023, con ordinanza n. 12962 del 1° agosto 2023 il giudizio è stato sospeso, rimettendo alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione, ai sensi dell’art. 267 Tfue: «Se l’art. 11 direttiva 2005/29/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005, letto alla luce dei principi di tutela dei consumatori ed effettività dell’azione amministrativa, debba essere interpretato nel senso che osti a una normativa nazionale, quale quella discendente dall’applicazione dell’art. 14 l. 24 novembre 1981, n. 689 – come interpretata nel diritto vivente – che impone all’Autorità garante della concorrenza e del mercato di avviare il procedimento istruttorio per l’accertamento di una pratica commerciale scorretta (sleale) entro un termine decadenziale di novanta giorni, decorrente dal momento in cui l’Autorità ha la conoscenza degli elementi essenziali della violazione, potendo questi ultimi esaurirsi nella prima segnalazione dell’illecito».
A seguito della pronuncia della CGUE, all’udienza pubblica del 7 maggio 2025 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato e deve essere accolto per quanto di ragione.
Con il primo motivo la ricorrente ha contestato che le segnalazioni da cui era originato il procedimento risalivano agli anni 2012 e 2013, mentre solo nell’ottobre 2016 - a distanza di oltre cinque anni dalla prima segnalazione - l’Autorità si era determinata ad effettuare d’ufficio delle simulazioni di viaggio dal sito di Trenitalia e, un mese dopo, il 9 novembre 2016, aveva deliberato l’avvio dell’istruttoria, ben oltre il termine previsto dall’art. 14 citato.
In merito deve preliminarmente osservarsi come la circostanza che il Consiglio di Stato abbia recentemente rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea una questione interpretativa dell’art. 14 l. 689/1981 risulta ininfluente sull’odierno giudizio: invero, quell’ordinanza (Cons. Stato, sez. VI, ord., 14 maggio 2025, n. 4151) afferisce ad una violazione del diritto antitrust (segnatamente, un’intesa vietata dall’art. 101 Tfue), mentre nell’odierno giudizio viene in rilievo una pratica commerciale scorretta (di cui agli artt. 20 ss. cod. cons.).
Orbene, considerato che la Corte di giustizia ha piú volte rammentato che qualora «la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte o […] la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbî» il giudice nazionale non è tenuto a rimettere la questione ai sensi dell’art. 267 Tfue (Corte giust. Ue, 6 ottobre 2021, causa C-561/19), deve ritenersi che si possa decidere la causa senza dover attendere l’ulteriore pronunciamento del giudice europeo (come tra l’altro già avvenuto in ipotesi analoghe, cfr. Tar Lazio, sez. I, 1° luglio 2025, n. 12941, 26 agosto 2025, n. 15795).
Deve poi rilevarsi che, pronunciandosi sulla questione dell’applicabilità dell’art. 14 della l. n. 689/81, e del relativo termine di 90 giorni per la contestazione delle violazioni, ai procedimenti sanzionatori in materia di pratiche commerciali scorrette, con sentenza del 30 gennaio 2025 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che: “Gli articoli 11 e 13 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), letti alla luce del principio di effettività, devono essere interpretati nel senso che: essi ostano a una normativa nazionale che, nell’ambito di un procedimento diretto all’accertamento di una pratica commerciale sleale condotto da un’autorità nazionale responsabile dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori, da un lato, impone a tale autorità di avviare la fase istruttoria in contraddittorio del procedimento, mediante la comunicazione degli addebiti all’impresa interessata, entro un termine di 90 giorni a decorrere dal momento in cui essa viene a conoscenza degli elementi essenziali dell’asserita violazione, potendo questi ultimi esaurirsi nella prima segnalazione dell’illecito, e, dall’altro, sanziona l’inosservanza di tale termine con l’annullamento integrale del provvedimento finale di detta autorità in esito alla procedura d’infrazione, nonché con la decadenza dal potere di quest’ultima di avviare una nuova procedura d’infrazione riguardante la stessa pratica”.
Per addivenire a tale conclusione la Corte ha premesso che gli Stati membri, nell’adozione e l’applicazione di tali norme, sono tenuti ad esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e del principio di effettività, di tal che “essi non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione di tale diritto” (§ 36 sent.); a tal fine, i termini procedurali fissati devono “far sì che, nel rispetto del principio della certezza del diritto, le cause siano trattate entro un termine ragionevole, senza compromettere l’effettiva attuazione della direttiva 2005/29 nell’ordinamento giuridico interno” (§ 38 sent.); tutto ciò tenendo conto “delle peculiarità dei casi riguardanti la lotta contro le pratiche commerciali sleali che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2005/29 e, in particolare, del fatto che tali casi possono richiedere una complessa analisi materiale ed economica” (§ 40 sent.).
La Corte ha precisato, altresì, che “al fine di adempiere efficacemente il loro obbligo di applicare il diritto dell’Unione in materia di tutela dei consumatori, le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa in detta materia devono essere in grado di attribuire un diverso grado di priorità alle denunce ad esse indirizzate, disponendo, a tal fine, di un ampio margine di discrezionalità” (§ 49 sent.), onde poter “procedere a tutte le misure istruttorie preliminari nonché alle valutazioni di fatto e di diritto spesso complesse, necessarie per valutare se l’avvio della fase istruttoria in contraddittorio sia giustificato, ma anche di scegliere, in funzione del grado di priorità che, nell’esercizio della sua indipendenza operativa, intende accordare a una procedura d’infrazione in corso, il momento più opportuno per avviare, se del caso, la fase istruttoria in contraddittorio di quest’ultima” (§ 52 sent.).
Richiamando le conclusioni dell’avvocato generale, la Corte ha osservato che “l’applicazione del termine in questione rischia di obbligare l’AGCM a dover trattare in maniera indifferenziata l’insieme delle procedure d’infrazione di cui è investita, prendendo in considerazione non già le circostanze proprie di ciascuna procedura, ma seguendo unicamente un ordine cronologico, impedendole così di stabilire e attuare priorità per le sue procedure in materia di tutela dei consumatori. Tale autorità potrebbe quindi essere costretta ad avviare procedimenti istruttori su basi di fatto e di diritto incerte o a privilegiare il trattamento di talune categorie di casi che le sue risorse disponibili le consentano di trattare superata la fase dell’indagine preliminare, a scapito magari di casi particolarmente complessi e dannosi per gli interessi dei consumatori. Un siffatto pregiudizio all’indipendenza operativa dell’AGCM è tanto più verosimile in una situazione in cui il dies a quo del termine, le cui modalità di avvio appaiono, del resto, poco precise, poco chiare e poco prevedibili tanto per tale autorità quanto per l’impresa interessata, coincide con la prima segnalazione dell’asserita violazione presso tale autorità, la quale è quindi obbligata ad istruire immediatamente il fascicolo” (par. 58).
In ogni caso, deve anche considerarsi che nella fattispecie, benché le prime segnalazioni siano pervenute all’Autorità fin dal 2012-2013, solo con il sopravvenire nel tempo di ulteriori segnalazioni e, da ultimo, con le simulazioni operate sul sito di Trenitalia l’Autorità ha potuto effettivamente valutare se le denunce pervenute potessero essere riconducibili ad episodi isolati - e, per così dire, fisiologici rispetto ad un complesso sistema informatico utilizzato da un operatore delle dimensioni di Trenitalia - oppure dovessero considerarsi sintomatiche di un problema “strutturale”, diffuso e reiterato nel tempo, tale da giustificare l’avvio del procedimento sanzionatorio; ove, infatti, il termine per l’avvio dovesse essere fatto decorrere rigidamente dalle prime denunce, l’Autorità si vedrebbe costretta ad avviare numerosi procedimenti senza operare quel vaglio necessario a far sì che solo le condotte di maggiore gravità e diffusione siano effettivamente perseguite; nella specie il procedimento è stato avviato il 9 novembre 2016, a breve distanza di tempo dalle rilevazioni d’ufficio condotte in data 21 ottobre 2016, che hanno evidenziato la sussistenza di significative anomalie necessarie per contestare la fattispecie illecita, sicché non può dirsi che il lasso di tempo utilizzato per le indagini della fase preistruttoria, ove ancorato all’effettivo accertamento della condotta da sanzionare, fuoriesca dai canoni della ragionevolezza.
Ciò tanto più se si considera che nel passo della sentenza sopra riportato la Corte di Giustizia ha anche precisato che far decorrere il termine per l’avvio del procedimento dalla prima segnalazione dell’asserita violazione presso tale autorità può comportare un effettivo pregiudizio all’indipendenza operativa dell’Autorità.
Inoltre, la ricorrente non in alcun modo indicato il pregiudizio, in termini di lesione dei diritti di difesa, che le sarebbe derivato dall’inutile decorso del termine in questione e dall’avvio non tempestivo del procedimento, elemento che secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia assume rilievo decisivo ai fini dell’accoglimento della censura di tardività dell’attività procedimentale.
Ed infatti in più occasioni la Corte di giustizia UE ha affermato che il superamento del termine ragionevole può costituire motivo di annullamento delle decisioni che accertano infrazioni solo se risulti provato che la violazione del principio del termine ragionevole ha pregiudicato i diritti della difesa delle imprese interessate; al di fuori di tale specifica ipotesi, il mancato rispetto dell’obbligo di decidere entro un termine ragionevole non incide sulla validità del procedimento amministrativo (Tribunale UE, 18.11.2020, cause T-814/17, p.ti 357-359; e in senso conforme, Tribunale UE, 6.12.2020, T-515/18, p.to 91 e Corte di giustizia, 21.1.2021, causa C-466/19 P, p.to 32 e 21.9.2006, Gebied, C 105/04).
Inoltre, nella fattispecie rileva anche la natura permanente dell’illecito contestato: la circostanza che la condotta fosse ancora in essere al momento dell’avvio (e anche della conclusione del procedimento) esclude, infatti, che tra la condotta e l’accertamento si sia creato uno iato temporale tale da poter limitare la possibilità per l’impresa di reperire le eventuali prove a discarico riguardanti l’infrazione addebitata.
Né tale pregiudizio può essere individuato nel fatto che la parte interessata, non essendo notiziata dell’avvio del procedimento sanzionatorio, continuerebbe nella pratica ipoteticamente illecita, andando incontro a conseguenze di maggiore entità, poiché tale affermazione postulerebbe che l’inerzia dell’Amministrazione ingeneri un affidamento che consentirebbe la prosecuzione della condotta illecita mentre, come è evidente, il soggetto che pone in essere una pratica commerciale scorretta o, comunque, una condotta sanzionabile, non può certo efficacemente sostenere di aver perseverato nell’illecito sol perché non gli sarebbe stata contestata la violazione.
Del resto, anche il Consiglio di Stato ha recepito i passaggi principali della sentenza della Corte di giustizia (Cons. Stato, sentenza n. 2979/2025), affermando che i principî espressi dalla Corte comportano che ai procedimenti antitrust di Agcm si applica solo il principio del termine ragionevole e che in ogni caso, per dar luogo ad una ipotesi di annullamento del provvedimento finale, la parte deve dimostrare il pregiudizio che l’eventuale eccessiva durata della fase preistruttoria ha determinato sui propri diritti di difesa.
Con il secondo motivo la ricorrente ha contestato l’incompetenza dell’Autorità a provvedere in un “settore regolato”, quale quello dei trasporti, invadendo la competenza dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti.
Tale censura deve essere disattesa.
In tema di rapporto tra gli interventi delle Autorità di settore rispetto all’ambito dei poteri dell’Agcm, questa Sezione si è già espressa con argomentazioni che devono essere qui recepite (TAR Lazio, Sez. I, 3.2.20, n. 1418; 19.9.19, n. 11097).
In tali pronunce si è osservato che la Corte UE, nella sentenza del 13 settembre 2018, in C-54/17 e C-55/17, ha affermato la prevalenza della disciplina di settore solo se sia individuabile un “contrasto” insanabile con quella di cui alla normativa generale (in Italia del Codice del consumo), nel senso che la nozione di “contrasto” denota un rapporto, tra le disposizioni cui si riferisce, che va oltre la mera difformità o la semplice differenza, mostrando una divergenza che non può essere superata mediante una formula inclusiva che permetta la coesistenza di entrambe le realtà, senza che sia necessario snaturarle.
Dunque, secondo la Corte, il contrasto sussiste solo quando disposizioni di stretta derivazione UE, disciplinanti aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, impongono ai professionisti, senza alcun margine di manovra, obblighi “incompatibili” con quelli stabiliti dalla direttiva 2005/29, dando vita a una divergenza insanabile che non ammette la coesistenza di entrambi i plessi normativi.
Non essendo, nella specie, ravvisabile nessun contrasto così come sopra delineato, il rapporto tra la disciplina di settore e quella consumeristica non è di specialità e le stesse possono dunque trovare applicazione parallela; ne consegue l’infondatezza della censura.
Con riferimento al rigetto del formulario di impegni, oggetto del terzo motivo, deve rilevarsi che, secondo costante giurisprudenza, l’istituto degli “impegni” - disciplinato dall’art. 27, comma 7, del Codice del Consumo - trova un limite nella gravità e nella manifesta scorrettezza della pratica in accertamento (Consiglio di Stato, 17 dicembre 2018, n. 7107) e si caratterizza per un’ampia discrezionalità dell’Autorità nell’accogliere o respingere tali proposte, sia su tale punto sia sulla effettiva idoneità degli impegni proposti a rimuovere le situazioni che hanno dato causa alle contestazioni, “rientrando la valutazione tecnico - discrezionale degli impegni presentati nella sfera di esercizio dell’ampio potere che compete all’Autorità” (Tar Lazio, Roma, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 2245; 8 febbraio 2018, n. 1523; 11 settembre 2018, n. 9269; 9 aprile 2019, n. 4621; 16 aprile 2019, n. 4923).
Nella fattispecie, nella determinazione di rigetto l’Autorità ha rappresentato che doveva ritenersi sussistente, nel caso di specie, l’interesse dell’Autorità all’accertamento dell’eventuale infrazione in quanto la condotta contestata appariva “di particolare rilevanza, trattandosi del sistema informatico di selezione e acquisto di titoli di viaggio relativi ad un’offerta che rappresenta la quasi totalità del servizio di trasporto ferroviario sul territorio nazionale, caratterizzata quindi da un alto grado di offensività e suscettibile di incidere su un numero potenzialmente elevatissimo di consumatori”; inoltre, gli impegni presentati afferivano a condotte che per la loro manifesta gravità avrebbero potuto integrare fattispecie per le quali l’articolo 27, comma 7, non poteva trovare applicazione.
Tali valutazioni, sindacabili in sede giurisdizionale ab extrinseco, non risultano irragionevoli, né viziate da travisamento: come sopra accennato, nelle ipotesi quali quelle in esame, l’Autorità, sulla base dell’ampio potere discrezionale di cui dispone, anche relativamente alla determinazione delle proprie priorità di intervento, è chiamata a valutare l’idoneità delle misure correttive proposte e la sussistenza di un rilevante interesse pubblico all’accertamento dell’eventuale infrazione.
Nella specie la motivazione addotta, incentrata sulla particolare diffusività delle condotte, risulta espressione di un corretto utilizzo del potere discrezionale (Cons. Stato, 21 marzo 2018, n. 1820; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 22 marzo 2018, n. 3186).
Venendo alle censure afferenti la sussistenza delle pratiche contestate, va evidenziato, innanzitutto, che è pacifico che il motore di ricerca predisposto sul sito di Trenitalia, alla pagina denominata “Tutti i treni”, non offrisse in realtà lo spettro di tutte le soluzioni di viaggio, ma una selezione delle stesse, elaborata sulla base di una serie di parametri (durata, distanza, cambi di treno, ecc.), tra cui il prezzo che non era comunque più rilevante di altri elementi.
Come correttamente evidenziato dall’Autorità, tale indicazione determina inevitabilmente un effetto ingannevole per il consumatore che, sulla base della denominazione della funzione “tutti i treni”, esplicitamente diretta a indicare la possibilità di poter confrontare contestualmente frecce e treni regionali, si ritrova – senza esserne reso edotto – a ricevere un’informazione sulle soluzioni di viaggio incompleta e parziale.
Né può sostenersi che non fosse possibile offrire un più veritiero servizio di “sintesi” delle offerte di trasporto, dal momento che, al netto delle difficoltà tecniche del motore di ricerca, comunque avrebbe potuto essere utilizzata una diversa dizione più fedele rispetto al sistema utilizzato, come poi effettivamente avvenuto, quanto la pagina è stata modificata con la denominazione “principali soluzioni”.
Né rilevano le condotte di altri e diversi operatori non essendo possibile desumere dalla condotta di altri la rilevanza della pratica accertata dall’Autorità che di per sé integra una pratica commerciale scorretta.
Il fatto che nella schermata, accanto all’opzione “Tutti i treni”, vi fosse l’opzione “Frecce” e l’opzione “Regionali” non elide poi l’ingannevolezza del messaggio onnicomprensivo, che induce l’utente a ritenere che la proposta comprenda tutte le possibili soluzioni; né dalla pagina in alcun modo risultava il fatto che si trattasse di una selezione di soluzioni “più rapide ed efficienti”.
Infondata è anche la censura sul mancato accertamento dell’elemento psicologico, posto che secondo il costante orientamento della giurisprudenza “nelle sanzioni amministrative, è necessaria e sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, giacché la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso (TAR Lazio, Sez. I, 21.1.19, n. 782; 24.4.18, n. 4571, 30.1017, n. 10834; Cons. Stato, Sez. VI, 29.3.11, n. 1897)” (Tar Lazio, 17 febbraio 2021, n. 1996).
Quanto al trattamento sanzionatorio, la ricorrente ha dedotto che l’Autorità le avrebbe comminato una sanzione (di 5 milioni di euro, pari al massimo edittale) sproporzionata a fronte di una pratica ingannevole e non aggressiva.
La censura è fondata.
Sebbene, infatti, siano stati correttamente presi in considerazione i criteri di gravità di cui all’art 11 della l. n. 689/81, ovvero la dimensione economica della ricorrente che costituisce, come noto, il più importante vettore ferroviario nazionale, la consistente limitazione imposta ai consumatori nella conoscenza e nell’acquisto di un ampio ventaglio di soluzioni di viaggio, - con conseguente alterazione della scelta commerciale verso treni più veloci e, ordinariamente più costosi – oltre all’estrema diffusività della pratica e all’idoneità a raggiungere un’amplissima quota di consumatori in ragione della capillare accessibilità dei canali di vendita di biglietti qui esaminati, tuttavia nella quantificazione della sanzione in misura pari al massimo edittale, a fronte di una condotta ritenuta non aggressiva, l’Agcm non risulta aver effettuato una quantificazione della sanzione adeguatamente proporzionata alla fattispecie esaminata; né si è dato sufficientemente conto, nella motivazione del trattamento sanzionatorio, dell’esigenza di comminare una sanzione pari all’importo massimo previsto.
Pertanto, sono ravvisabili i presupposti per ridurre la sanzione nella specie irrogata, ritenendosi equa una riduzione del 20% che, quindi, conduce ad una rideterminazione in €. 4.000.000,00.
In tali limiti il ricorso deve essere accolto.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione nella parte relativa alla quantificazione della sanzione;
compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 7 maggio 2025, 9 luglio 2025, con l’intervento dei magistrati:
Francesca Petrucciani, Presidente FF, Estensore
Filippo Maria Tropiano, Consigliere
Matthias Viggiano, Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Francesca Petrucciani






