24 settembre 2024
Prodotti cosmetici, quando i claims di efficacia superano la realtà
di Giulia Pieruccini
Un nuovo scontro tra aziende del settore cosmetico investe il giudizio del Giurì di Autodisciplina che, con la Pronuncia n. 22/2024, condanna le pratiche ingannevoli e la comparazione, anche indiretta, non leale e denigratoria.
La Pronuncia tratta numerosi temi quanti sono i claims contestati che, per comodità di lettura, verranno descritti schematicamente nel prosieguo del presente contributo.
Anzitutto però occorre circoscrivere l’ambito nel quale si inserisce l’intervento del Giurì.
Più esattamente, la vicenda riguardava la diffusione, sia in TV che sui social (anche tramite la collaborazione di influencer), di una serie di messaggi pubblicitari di prodotti cosmetici aventi proprietà antimacchia. Si trattava di claims del seguente tenore:
- “la soluzione più efficace contro le macchie”; “il più efficace ingrediente antimacchie”; “lo abbiamo dimostrato testandolo contro i comuni ingredienti antimacchie”;
- “la ricerca è finita”;
- “raccomandato dai dermatologi”
- “oltre dieci milioni di donne lo hanno già scelto”
- testimonianze con affermazioni come “tutte le mie macchie sono sparite”.
Rispetto a tali claims è possibile ricostruire il ragionamento valutativo svolto dal Giurì nel determinarne, si anticipa già, la scorrettezza rispetto al Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.
Vediamone il perché.
Sull’efficacia del prodotto
La principale contestazione mossa alla produttrice di cosmetici antimacchia riguardava l’aspetto dei numerosi vanti di efficacia del prodotto pubblicizzato come “il più efficace”, anche rispetto ad altri cosmetici che utilizzano “comuni ingredienti antimacchia”.
Il vanto differenziale doveva, secondo il produttore, riferirsi unicamente all’efficacia della molecola brevettata Thiamidol, quale inibitore della tirosinasi (responsabile della formazione di melanina). Tuttavia i principali claims utilizzati per reclamizzare i prodotti, il riferimento allo specifico ingrediente Thiamidol, presente nella composizione dei prodotti, risultava completamente oscurato dal contesto della comunicazione, piuttosto decisa a dare attenzione al mero vanto di superiorità del prodotto come “il più efficace”, anche attraverso l’uso di caratteri tanto più grandi rispetto a quelli complessivamente usati.
In tal modo si determina, quindi, una impossibilità per il consumatore medio di comprendere la portata del vanto di efficacia alla presenza di un ingrediente, riconducendola, diversamente, all’intero prodotto attraverso tipiche forme di pubblicità superlativa volte ad affermare la superiorità di un prodotto rispetto agli altri presenti in commercio.
Si tratta del concetto di “superlativo relativo” il quale si manifesta attraverso messaggi che, nel trasmettere un vanto di superiorità complessiva del prodotto, hanno implicitamente profili comparativi e denigratori. Ciò avviene quando si afferma una distinzione con prodotti che utilizzano, ad esempio, ingredienti comuni a tutti i prodotti della medesima categoria, così conferendo al prodotto reclamizzato una unicità qualitativa mancante in tutti gli altri. Sotto tale profilo, dunque, una siffatta comunicazione è non solo ingannevole (perché non vi è in realtà una superiorità assoluta), ma anche implicitamente denigratorio nei confronti dei concorrenti (la dichiarazione di superiorità sottende l’inferiorità di prodotti diversi).
C’è da chiedersi se il giudizio potesse essere diverso se la società produttrice avesse impostato la comunicazione sull’ingrediente brevettato, dandogli il giusto valore in termini di elemento distintivo rispetto ad altri prodotti della medesima categoria che non possiedono tale ingrediente. E ciò pur considerando che un’efficacia dimostrata come superiore di un solo ingrediente non determina, come si è visto nella vicenda in esame, la superiorità dell’intero prodotto.
Raccomandazioni da parte di professionisti sanitari
Con riferimento, invece, al claim relativo alla raccomandazione del prodotto da parte di medici dermatologi, il Giurì ha rilevato un ulteriore profilo di ingannevolezza, per il suo carattere di assolutezza. Difatti, sebbene sia pacifico che non si faccia riferimento al 100% dei dermatologi, con la dicitura “raccomandato dai dermatologi” si trasmette un messaggio riferibile alla stragrande maggioranza dei professionisti richiamati.
Eppure anche qualora fosse accettabile comunicare un dato “statistico” tanto ampio, per non incorrere nel vizio di ingannevolezza, occorrerebbe dare dimostrazione documentale “forte”, come potrebbe essere un sondaggio effettuato da soggetti terzi indipendenti dal produttore.
Il Giurì inoltre ha rilevato una maggiore gravità del profilo di ingannevolezza per il fatto che il messaggio fosse stato veicolato tramite gli influencer. Questo perché l’influencer è una figura che di per sé è in grado di condizionare e/o suggestionare la scelta del consumatore, in ragione del rapporto di fiducia e dell’attendibilità che il consumatore ripone sull’influencer.
Alla stessa conclusione il Giurì è giunto con riferimento alla diffusione del messaggio in cui, sempre tramite influencer, veniva comunicata l’innocuità del prodotto per le donne in gravidanza. Infatti, tale qualità è propria di tutti i prodotti appartenenti alla medesima categoria cui appartiene quello reclamizzato. Se tale aspetto è di per sé da considerarsi elemento intrinsecamente ingannevole (se è una caratteristica comune, comunicarla come differenziale, cioè come se fosse propria di un determinato prodotto è già ingannevole poiché tra i prodotti non vi è in realtà alcuna differenza), ancor di più lo è per il fatto di essere veicolato attraverso soggetti la cui opinione è considerata quasi come “autorevole” dal consumatore medio.
Testimonianze e “prima e dopo”
Anche sotto tale aspetto, la comunicazione in esame presentava profili di ingannevolezza affatto trascurabili. In tal senso, la visualizzazione suggestiva di un “prima” e “dopo” l’applicazione del prodotto, unitamente alle testimonianze di alcune donne non meglio identificate che esaltano la particolare efficacia dei prodotti tende a far emergere un vanto di efficacia del prodotto che lo stesso non può ragionevolmente avere.
Tra le affermazioni vi è infatti “tutte le mie macchie sono sparite”. Tuttavia, nessun prodotto cosmetico può per sua natura condurre all’eliminazione assoluta delle macchie sulla pelle, con conseguente ingannevolezza della comunicazione che prospetta tale risultato.
A ciò si aggiunga un altro spunto di riflessione, sommariamente menzionato nella Pronuncia in commento. Questo riguarda l’impiego di tecniche di rendering per lo sviluppo di immagini virtuali che non rappresentano, dunque, effettive esperienze di vita e di consumo del soggetto/dato cui vengono attribuite. Tale tecnica veniva considerata dal Giurì come avente “un’intrinseca portata di ingannevolezza”.
Da qui verrebbe da chiedersi: si potrebbe sostenere la non ingannevolezza del messaggio realmente rappresentativo dell’esperienza di vita del consumatore “intervistato”, seppur avente contenuto improprio o comunque particolarmente enfatico nell’esaltare il prodotto? La risposta potrebbe non essere così semplice, occorrendo in tal caso – ad opinione di chi scrive – verificare come l’inserzionista utilizza (per non dire strumentalizza) un contenuto di per sé vero e autentico a scopi pubblicitari (i.e. finalizzati alla vendita del prodotto stesso).
Avv. Giulia Pieruccini
Studio Legale Stefanelli&Stefanelli