26 aprile 2016
Abuso di dipendenza economica; storno di dipendenti come atto di concorrenza sleale
La dipendenza economica, come la posizione dominante, consiste soltanto in una potenzialità di abuso, non anche nell’abuso stesso e si verifica ogniqualvolta un’impresa abbia compiuto investimenti – in macchinari e conoscenze – che, per essere finalizzati al processo produttivo o distributivo proprio ed esclusivo di un’altra impresa, sarebbero difficilmente reinvestibili in un rapporto con un’impresa diversa. L’abuso si estrinseca invece nella effettiva conclusione di un contratto fortemente squilibrato con pregiudizio della parte che non dispone di alternative soddisfacenti, nel senso che determinerebbero la perdita degli investimenti compiuti e delle conoscenze acquisiste durante il precedente rapporto contrattuale.
Quello che differenzia la concorrenza legittima dallo storno di dipendenti vietato è l’animus nocendi ovverosia la diretta ed immediata direzione dell’atto ad impedire al concorrente di continuare a competere, configurandosi come attività parassitaria che salta il costo dell’investimento in ricerca ed in esperienza e altera significativamente la correttezza della competizione. Il mero passaggio di collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente e la contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente sono attività in quanto tali legittime ed espressione di naturale competizione. Il requisito fondamentale affinchè lo storno di dipendenti possa configurarsi come atto di concorrenza sleale è inoltre la particolare qualifica dei dipendenti “trasmigrati” e la loro utilità per la gestione dell’impresa concorrente, qualità che permettono al concorrente stesso l’ingresso nel mercato prima di quanto sarebbe stato possibile in base ai propri studi e alle proprie ricerche.
Fonte: Giurisprudenza delle imprese