• Concorrenza - Abuso di posizione dominante

2 dicembre 2014

Delibera dell’AGCM ed efficacia probatoria nel successivo giudizio risarcitorio

Il provvedimento sanzionatorio emesso dall’AGCM, nonché le decisioni dei giudici amministrativi che eventualmente abbiano confermato o riformato quella delibera dell’AGCM, costituiscono nella controversia civile successiva alla sanzione del comportamento dedotto in causa (in riferimento ad un giudizio instaurato, ai sensi dell’art. 33, comma 2, L. 287/90 per il risarcimento dei danni derivanti da intese restrittive della libertà di concorrenza, pratiche concordate o abuso di posizione dominante) una prova particolarmente qualificata (“prova privilegiata”), in ragione dell’autorevolezza dell’organo da cui promanano e degli strumenti e modalità di indagine poste in atto dalla medesima Autorità. 

Tale efficacia probatoria deve intendersi limitata all’accertamento della posizione rivestita sul mercato dalla società indagata e, in particolare, alla qualifica di tale posizione come dominante, alla sussistenza del comportamento accertato e alla sua qualificazione come abuso della posizione dominante, senza dunque estendersi altresì anche all’accertamento di tutti gli ulteriori elementi necessari alla liquidazione del risarcimento dei danni (sussistenza dei danni, nesso di causalità, quantificazione del risarcimento, analisi delle diverse componenti del danno ecc.).

Deve ritenersi un abuso di posizione dominante in violazione dell’art. 102 TFUE la condotta della società che sia per l’applicazione di corrispettivi non equi ed eccessivamente onerosi nel mercato della messa a disposizione di beni ad uso esclusivo per lo svolgimento delle attività di handling documentale comprensivo delle operazioni connesse alle formalità doganali cargo, sia per la violazione del divieto di applicare condizioni dissimili tra i vari contraenti per prestazioni equivalenti (in relazione alla predisposizione e applicazione solo a determinati soggetti di tariffe diverse per sub-concessione di locali per attività di handling), integrante illecito ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c.

Il medesimo comportamento comporta inadempimento alle obbligazioni contrattuali connesse ai contratti di sub-concessione eventualmente stipulati. Il sistema formato dalle disposizioni della direttiva 96/67/CE, dal D. L.gsvo 18/99 nonché dalle delibere CIPE 86/00 e 38/07 che hanno contribuito a determinare il quadro dei corrispettivi regolamentati quanto all’accesso alle infrastrutture aeroportuali sulla base del criterio di orientamento ai costi integra di fatto un quadro complessivo atto a introdurre prescrizioni specifiche, che non sembrano lasciare al destinatario margini di scelta e che possono in via riflessa integrare, ai sensi dell’art. 1339 c.c., il contenuto dei singoli rapporti di sub-concessione individuali. Invero la determinazione da parte di ENAC del canone per l’uso degli spazi costituisce l’esplicazione del potere di vigilanza assegnato a detto ente dall’art. 10, comma 1, n. 3 D. Lgsvo 18/99, che concerne espressamente i corrispettivi per l’utilizzo delle strutture centralizzate, dei beni d’uso comune e di quelli in uso esclusivo perché essi siano pertinenti ai costi di gestione e sviluppo del singolo aeroporto. Pertanto gli atti amministrativi relativi all’esercizio di tale funzione di vigilanza, in quanto emanati in forza del predetto D.Lgsvo 18/99, da questo direttamente traggono un carattere di imperatività.

In tema di giudizi antitrust è noto il principio secondo il quale in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno lungolatente, l’azione risarcitoria si prescrive, in base al combinato disposto degli art. 2935 e 2947 c.c., in cinque anni dal giorno in cui chi assume di aver subito il danno abbia avuto, usando l’ordinaria diligenza, ragionevole ed adeguata conoscenza del danno e della sua ingiustizia, mentre resta a carico di chi eccepisce la prescrizione l’onere di provarne la decorrenza.

Deve essere respinta in via preliminare l’eccezione relativa all’inammissibilità dell’estensione del periodo rispetto al quale gli illeciti dovrebbero essere ritenuti verificati ai fini dell’accertamento del danno eseguita in sede di prima memoria ex art. 183, comma VI, c.p.c. (nella specie, le attrici hanno aggiunto alle somme già indicate nel testo dell’atto di citazione anche le somme richieste in restituzione per gli ulteriori periodi intercorsi tra la notifica di detto atto e la scadenza del termine per il deposito di detta memoria) poichè è corretto avvalersi della possibilità di provvedere alla precisazione o modificazione delle loro domande entro il termine specificamente previsto dall’art. 183, comma VI, n. 1, c.p.c. se nelle conclusioni svolte in atto di citazione le parti si sono riservate di precisare e aggiornare dette somme in corso di causa.

L’aggiornamento in termini puramente quantitativi del petitum non appare sufficiente a determinare una pretesa novità della domanda che ne pregiudicherebbe l’ammissibilità. Invero appare principio consolidato quello secondo il quale le uniche variazioni del petitum ammesse sono quelle puramente quantitative, che non alterino i termini sostanziali della controversia e non introducano nuovi temi di indagine.

Fonte: Giurisprudenza delle imprese


Tribunale Milano 2/12/2014