• Concorrenza - Aspetti generali

18 settembre 2018

In Belgio ed Italia due proposte di legge contro l'innovazione predatoria. Una nuova tipologia di condotta escludente di dubbia autonomia sistematica?

di Roberto A. Jacchia 

Il 18 luglio 2018 è stata presentata al Parlamento belga una proposta di legge che modifica il Code de droit économique al fine di introdurre una disposizione per tutelare le imprese dalla cosiddetta "innovazione predatoria", che consiste nell'alterare una o più caratteristiche di un prodotto non già al fine di migliorarlo, ma per restringere o eliminare la concorrenza.

La proposta di legge[1] inserisce un nuovo comma all'articolo IV.2 del Code de droit économique, che vieta l'abuso di posizione dominante sul mercato e fornisce alcuni esempi di condotte abusive, prevedendo quanto segue: “È inoltre vietata l'innovazione predatoria, intesa come l'alterazione di uno o più elementi tecnici di un prodotto al solo fine di restringere o eliminare la concorrenza. Tutte le pratiche volte a modificare un prodotto, non giustificate da ragioni economiche differenti dalla volontà di eliminare la concorrenza, sono vietate. In caso di molteplici modifiche simultanee su uno stesso prodotto, la legittimità delle modifiche deve essere verificata individualmente qualora queste possano essere dissociate le une dalle altre.”

I proponenti hanno motivato la proposta con la necessità di difendere l'interesse generale da un aumento sempre più marcato del potere delle grandi imprese conseguente allo sviluppo dei mercati tecnologici, che ha comportato l'insorgere di nuove pratiche anticoncorrenziali alle quali la legge deve rimediare. In particolare, nei mercati delle tecnologie è diffusa la tendenza a modificare continuamente i prodotti già in circolazione. I sistemi di aggiornamento, talvolta automatici, rendono possibile per un'impresa in posizione dominante limitare la compatibilità dei propri prodotti esistenti con quelli dei concorrenti con cui sono destinati ad interconnettersi o coesistere. Le strategie predatorie rese possibili dalle nuove tecnologie spesso costituiscono pratiche commerciali scorrette a livello globale. Questo tipo di condotte è di facile realizzazione per le grandi multinazionali e limita la capacità delle piccole e medie imprese di operare efficientemente sul mercato. Per questi motivi, la proposta mira a proteggere le PMI da una tipologia di condotta anticoncorrenziale oggi non espressamente sanzionabile e, allo stesso tempo, ad uniformare la giurisprudenza su questo tema, al fine di migliorare la certezza giuridica.

Anche in Italia era stata presentata una proposta di legge, decaduta con il termine della passata legislatura senza ricevere l'approvazione dal Parlamento, per affidare una delega al Governo affinché adottasse uno o più decreti legislativi per la tutela della concorrenza nel settore informatico e per il contrasto delle pratiche di innovazione predatoria a danno dei consumatori e delle imprese[2]. Anche la proposta di legge italiana definiva l'innovazione predatoria come l'alterazione di uno o più elementi tecnici di un prodotto o servizio allo scopo di limitare o di eliminare la concorrenza, e intendeva considerare questa pratica come una violazione delle norme di concorrenza.

Peraltro, va ricordato che proprio in Italia dal 1998 è stata introdotta la Legge no. 192[3], che all'articolo 9 prevede uno specifico divieto dell'abuso di dipendenza economica. Più precisamente, è vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. A differenza della normativa antitrust che si dirige all'abuso di posizione dominante di un'impresa sul mercato di riferimento, l'abuso di dipendenza economica è una fattispecie bilaterale tra due (o più) imprese. L'impresa dominante, infatti, deve essere in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. È dunque lo squilibrio nel rapporto negoziale ad assumere rilevanza, e non già la posizione dominante in uno specifico mercato detenuta da un'impresa che pone in essere comportamenti potenzialmente dannosi per il funzionamento dell'intero mercato e, in definitiva, per il benessere dei consumatori. Il legislatore specifica, inoltre, che la dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. Infine, il legislatore sancisce la nullità del patto attraverso il quale l'abuso di dipendenza economica si realizza, spettando al giudice ordinario conoscere delle azioni in questa materia, ivi comprese quelle per il risarcimento del danno. La Legge 192/1998 riconosce altresì il ruolo dell'Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM) che, qualora ravvisi l'esistenza di un abuso di dipendenza economica, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell'attivazione dei propri poteri di indagine ed istruttori, può adottare le diffide e sanzioni previste dalla normativa antitrust.

In una recente sentenza, il Tribunale di Parma (sez. II, 08/01/2018, no. 8) ha precisato che “… Sebbene le formule possano sembrare analoghe, l'abuso di posizione dominante diverge nella sua essenza dall'abuso di dipendenza economica, perchè

- la disciplina della subfornitura guarda ai patti in deroga al diritto scritto, monitorando la posizione del soggetto debole (logica riparativa);

- la disciplina dell'antitrust si concentra sulla posizione del monopolista (oligopolista) sanzionando (anche i) patti che, pur non essendo sperequati nei confronti della controparte che li subisce, creano distorsioni di mercato e profitti ingiusti in quanto 'aggregati' (ottica ridistribuiva).

Poichè l'abuso in questione si concretizza nell'eccessivo squilibrio di diritti e obblighi tra le parti nell'ambito di "rapporti commerciali", esso presuppone che tali rapporti siano regolati da un contratto, tant'è che il comma terzo dell'art. 9 cit. statuisce la nullità del "patto che realizza l'abuso" di dipendenza economica…”.

Le pratiche di innovazione predatoria e le condotte assimilabili, possono essere ricondotte all'ambito delle condotte escludenti la cui abusività è stata più volte riconosciuta dalla Commissione Europea. La Commissione, infatti, insieme alle Autorità Garanti degli Stati Membri, ha il compito di applicare la normativa sulla concorrenza assicurando il buon funzionamento del mercato interno. Le due proposte di legge analizzate sopra mirano, in realtà, a porre rimedio a una specifica condotta abusiva che sembra già ricadere nelle competenze della Commissione e delle ANC.

Al riguardo, sono significativi due noti casi antitrust. Nella decisione del 2004 relativa al caso Microsoft[4], la multinazionale statunitense era stata accusata di rifiutare di fornire a talune imprese informazioni essenziali per consentire loro di continuare ad operare sul mercato in concorrenza con Microsoft stessa. Secondo la Commissione, le circostanze eccezionali del caso implicavano che il rifiuto di Microsoft costituiva uno sfruttamento abusivo di posizione dominante incompatibile con l'articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE). La Commissione non aveva accolto la giustificazione addotta da Microsoft secondo la quale fornire informazioni tecniche e consentire ai concorrenti di utilizzarle al fine di elaborare prodotti compatibili equivarrebbe a concedere una licenza forzosa sui diritti di proprietà intellettuale. La Commissione aveva ritenuto che l'interesse di un'azienda ad esercitare i propri diritti di proprietà intellettuale non poteva costituire di per sé una giustificazione oggettiva, qualora intervenissero circostanze eccezionali come quelle presenti nel caso Microsoft.

Più recentemente, il ruolo dell'innovazione e, più in generale, della tecnologia nella realizzazione di una condotta anti competitiva è stato accertato nel caso Google Shopping, in relazione al quale la Commissione ha inflitto nel 2017 una sanzione da 2,42 miliardi di euro a Google[5] per aver avvantaggiato il suo sistema di comparazione dei prezzi rispetto a servizi analoghi offerti da imprese concorrenti. Google ha giustificato le condotte contestate adducendo una serie di aspetti tecnici che non le avrebbero consentito di operare diversamente, insieme a motivazioni legate ai diritti garantiti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, come la libertà di espressione e d'informazione (articolo 11), il diritto di proprietà (articolo 17) e la libertà d'impresa (articolo 16).  La Commissione ha tuttavia concluso che Google non aveva fornito elementi di prova sufficienti a dimostrare che il suo comportamento fosse indispensabile per la realizzazione di efficienze e che non esistevano alternative meno anticoncorrenziali in grado di produrre le stesse efficienze. Google, inoltre, non aveva fornito elementi idonei a dimostrare che le probabili efficienze determinate dal suo comportamento controbilanciassero gli effetti negativi sulla concorrenza e sul benessere dei consumatori nei mercati interessati. Per questi motivi la Commissione aveva stabilito che il comportamento di Google pregiudicava in maniera sensibile gli scambi tra Stati Membri e tra le parti contraenti dell'accordo sullo Spazio Economico Europeo ed aveva conseguentemente inflitto l'ammenda record di 2,42 miliardi di euro.

L'attenzione che la Commissione già attualmente dedica alle condotte escludenti, ivi comprese la pratiche di innovazione predatoria, potrebbe far sorgere dei dubbi sull'effettiva utilità e sulla collocazione sistematica di normative specifiche come quelle proposte a livello nazionale in Belgio e in Italia.

Proprio con riferimento al diritto dell'Unione, che con il Regolamento 1/2003[6] applica i principi concorrenziali affermati negli articoli 101 e 102 del TFUE a livello generale, i proponenti belgi si erano ricondotti all'eccezione prevista dall'articolo 3, paragrafo 2, ai sensi del quale il Regolamento “… non impedisce agli Stati membri di adottare e applicare nel loro territorio norme nazionali più rigorose che vietino o sanzionino le condotte unilaterali delle imprese…”. La proposta italiana, invece, non conteneva alcun riferimento alla normativa europea o al rapporto tra questa e la proposta, limitandosi ad affermare la necessità di riconsiderare il “… libro terzo, titolo I, capo I, del codice civile al fine di adeguare tali disposizioni a un contesto economico fondato su dati e informazioni digitali, inserendo il dato informatico tra i beni mobili immateriali aventi utilità economica…”. Nondimeno, il legislatore italiano aveva proposto di affidare all'AGCM il compito di adottare un apposito regolamento con il quale individuare i mezzi automatizzati informatici che rendono possibile la realizzazione di condotte abusive o collusive. Infine, la proposta di legge italiana avrebbe introdotto ulteriori disposizioni di incerto coordinamento con gli ordinamenti vigenti, europeo e nazionale, come la previsione di affidare all'AGCM il potere di irrogare sanzioni “… anche aventi natura risarcitoria per l'utente … nell'ipotesi di pratiche di innovazione predatoria che hanno come effetto quello di falsare la concorrenza a danno dei consumatori o delle imprese concorrenti…”.

Il nuovo istituto dell'innovazione predatoria, se mai verrà ad esistenza, dovrà quindi confrontarsi con interrogativi sistematici considerevoli, sia sul piano della gerarchia delle fonti, che sotto il profilo della sua autonomia dagli istituti dell'abuso di posizione dominante al livello del mercato e dell'abuso di dipendenza economica, e della concorrenza sleale, al livello dei rapporti bilaterali e plurilaterali tra imprese.


[1] Document parlementaire 54K3246, disponibile al seguente LINK.

[2] Si veda la Proposta di Legge no. 4792 del 17 dicembre 2017, presentata dal deputato Quintarelli. Disponibile al seguente LINK.

[3] Legge 18 giugno 1998, n. 192 - Disciplina della subfornitura nelle attività produttive. GU no. 143 del 22.06.1998.

[4] Decisione della Commissione del 24.03.2004 relativa ad un procedimento a norma dell'articolo 82 del Trattato CE e dell'articolo 54 dell'accordo SEE contro Microsoft Corporation, caso COMP/C-3/37.792 Microsoft. Disponibile al seguente LINK.

[5] Decisione della Commissione del 27 giugno 2017 relativa a un procedimento a norma dell'articolo 102 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dell'articolo 54 dell'accordo SEE, caso AT.39740 – Google Search (Shopping). La versione pubblica della decisione integrale è disponibile al seguente LINK. La sintesi della decisione è disponibile, in italiano, al seguente LINK.

[6] Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato. GUUE L 01 del 04.01.2003.


 

Avv. Roberto A. Jacchia

Partner - Studio Legale De Berti Jacchia Franchini Forlani
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