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12 novembre 2018

In quali circostanze le autorità di vigilanza finanziaria devono consentire l’accesso alle informazioni riservate? Si pronuncia la Corte Europea

di Annalisa Spedicato

Secondo la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nei casi C-358/2016 e C-594/2016, recentemente decisi, le autorità nazionali di vigilanza finanziaria devono consentire l’accesso a informazioni coperte dal segreto professionale per garantire i diritti di difesa o per il loro utilizzo in un procedimento civile o commerciale.

La prima causa (C-358/2016) su cui si è pronunciata la Corte Europea prendeva le mosse da un caso aperto davanti ai giudici amministrativi del Lussemburgo in relazione alla condotta fraudolenta tenuta dall’amministratore di una società controllata dalla Commissione lussemburghese di vigilanza del settore finanziario (CSSF). Nell’ambito di tale processo, la difesa dell’amministratore aveva richiesto alla Commissione la trasmissione di alcuni documenti che essa aveva raccolto nel corso dell’attività di vigilanza esercitata sulla società e sulla banca depositaria di quest’ultima. La CSSF si era opposta alla trasmissione dei documenti, in quanto tale comunicazione avrebbe violato il segreto professionale cui l’autorità di vigilanza del settore finanziario era tenuta per legge.

Sospeso il giudizio di merito la Corte lussemburghese adiva i giudici europei chiedendo loro di pronunciarsi per chiarire se l’obbligo del segreto professionale possa impedire l’esercizio del diritto di difesa in un giudizio.

A disciplinare il segreto professionale nei mercati finanziari è intervenuta la direttiva n. 2004/39/CE, la quale dispone che il segreto professionale può, in via eccezionale, essere escluso nei casi contemplati dal diritto penale. La Corte amministrativa del Lussemburgo pertanto domandava alla Corte europea se tale disposizione fosse applicabile nel caso di specie, dal momento che la misura imposta all’amministratore era, secondo il diritto lussemburghese, di natura amministrativa, ma sarebbe potuta rientrare nel diritto penale nel senso ampio definito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. In caso di risposta negativa, i giudici lussemburghesi si chiedevano come contemperare l’obbligo del segreto professionale con il rispetto dei diritti della difesa.

Nella causa C-594/16, invece, la questione era sorta in Italia e vedeva contrapposto il diritto di difesa del titolare di un conto corrente e l’obbligo di riservatezza del proprio istituto di credito e della Banca d’Italia. Il titolare del conto corrente intendeva adire in giudizio la banca e l’istituto di vigilanza, in quanto aveva ricevuto un rimborso parziale dal Fondo interbancario di tutela dei depositi a causa della liquidazione coatta amministrativa cui era stato posto l’istituto di credito e per tale motivo aveva richiesto informazioni supplementari alla Banca d’Italia relative al suo operato di vigilanza sull’istituto di credito, la BdI gli aveva opposto il segreto professionale.

Il Consiglio di Stato, chiamato in ultimo grado a pronunciarsi sui fatti narrati, decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte alcune questioni.

Il Consiglio di Stato, al pari della Corte lussemburghese, chiedeva alla Corte Europa, in questo caso con riferimento alla direttiva 2013/36, se appunto tale norma osti a che le autorità competenti degli Stati membri (nel caso di specie, la BdI) divulghino informazioni riservate a una persona che ne faccia richiesta per poter avviare un procedimento civile o commerciale volto alla tutela di interessi patrimoniali che sarebbero stati lesi a seguito della messa in liquidazione coatta amministrativa di un ente creditizio.

Nella sua decisione riferita alla causa C-358/16, la Corte Europea ha considerato innanzitutto che la direttiva sui mercati degli strumenti finanziari, ammettendo eccezionalmente che l’obbligo del segreto professionale possa essere escluso nei casi previsti dal diritto penale, fa riferimento solo alla trasmissione o all’utilizzo di informazioni riservate ai fini di azioni penali esercitate e di sanzioni inflitte ai sensi del diritto penale nazionale.

La Corte ha puntualizzato che il diritto alla comunicazione dei documenti pertinenti ai fini della difesa non è illimitato e assoluto e che la tutela della riservatezza delle informazioni coperte dal segreto professionale che incombe sulle autorità competenti deve essere garantita e attuata in modo da conciliarla con il rispetto dei diritti della difesa. Pertanto, le autorità e gli enti giurisdizionali sono tenuti ad individuare caso per caso gli interessi in gioco e cercare di decidere in relazione ad un equilibrio tra gli stessi. Ragion per cui, spetta al giudice nazionale competente stabilire se le  informazioni di cui si richiede la comunicazione sono obiettivamente collegate alle accuse mosse e, in caso affermativo, bilanciare gli interessi confliggenti prima di decidere se comunicarle o meno.

Nella causa C-594/16, la Corte ricorda anzitutto che l’attuazione efficace del regime di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi richiede che sia gli enti creditizi vigilati sia le autorità competenti debbano avere la certezza che le informazioni riservate fornite conserveranno in linea di principio il loro carattere riservato.

L’obbligo di riservatezza professionale, che viene in generale imposto dalla direttiva n. 36 del 2013, è finalizzato a proteggere la stabilità del sistema finanziario all’interno dell’Unione. Posto ciò, la CGUE osserva inoltre che la norma prevede delle eccezioni a tale principio generale.

Nel caso di specie, la suddetta direttiva permette all’autorità competente di comunicare unicamente alle persone interessate dal fallimento o dalla liquidazione coatta amministrativa dell’ente creditizio informazioni riservate che non riguardino i terzi coinvolti in tentativi di recupero di tale ente, ai fini del loro utilizzo nell’ambito di procedimenti civili o commerciali. Tali comunicazioni possono essere ammesse solo in via del tutto eccezionale, secondo l’interpretazione restrittiva della norma voluta dalla giurisprudenza consolidata, pertanto la possibilità di escludere l’obbligo del segreto professionale richiede che la domanda di comunicazione delle informazioni contenga indizi precisi e concordanti che lascino ragionevolmente presumere che esse risultino utili ai fini di un procedimento civile o commerciale in corso o da avviare, il cui oggetto dev’essere concretamente individuato dal richiedente e al di fuori del quale le informazioni di cui trattasi non possono essere utilizzate.

Sarà sempre l’autorità nazionale a dover effettuare poi, prima di procedere alla comunicazione di ciascuna delle informazioni riservate richieste, un bilanciamento tra l’interesse del richiedente a ricevere le informazioni stesse e gli interessi connessi al mantenimento del segreto professionale.

 


Annalisa Spedicato

Avvocato esperto in IP, ICT e Privacy