15 aprile 2019
Limiti alla pubblicità sanitaria nella legge di bilancio e segnalazioni in caso di violazioni da parte degli Ordini all'AGCOM. Secondo l'Antitrust si torna indietro e si creano conflitti tra le Autorità Garanti
di Annalisa Spedicato
In base a quanto previsto dalla nuova legge di bilancio, le professioni sanitarie non possono più usare la leva della pubblicità, ma solo comunicazioni informative; tuttavia, a parere dell'Antitrust si tratta di norme regressive.
Nel tentativo di ricondurre l'impiego della pubblicità e delle pratiche commerciali ad un più serio utilizzo da parte di medici e strutture sanitarie, dato il carattere particolarmente delicato della professione che essi svolgono, la legge di bilancio 2019 - commi 525 e 536 dell'articolo 1 - ha stabilito che i medici, gli esercenti le professioni sanitarie e le strutture sanitarie, nelle proprie comunicazioni al pubblico, dovranno limitarsi alle informazioni "funzionali a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari" ed evitare "qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestivo nel rispetto della libera e consapevole determinazione del paziente, a tutela della salute pubblica, della dignità della persona e del suo diritto a una corretta informazione sanitaria". Le "comunicazioni" di professionisti sanitari potranno dunque comprendere esclusivamente i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, il prezzo e gli onorari per le prestazioni.
Negli ultimi anni in verità alcuni professionisti hanno un po' abusato di quanto la legge Bersani aveva concesso loro, estendendo anche agli iscritti agli Ordini professionali l'utilizzo della comunicazione commerciale, che comunque doveva essere pur sempre impiegata nel rispetto della dignità della professione esercitata e degli obblighi imposti dalla deontologia. Così spesso è accaduto che alcuni medici (ma anche professionisti di altri settori) utilizzassero piattaforme commerciali per offrire prestazioni in sconto, offerte commerciali del tipo paghi due prendi tre e simili, quasi si vendesse verdura al mercato! Con tutta probabilità questa nuova norma, a dire il vero, forse un po' troppo conservatrice, è stata emanata per riportare sulla retta via le "pecorelle", che nell'ambito delle professioni sanitarie, dovessero in qualche modo smarrirsi, utilizzando pratiche commerciali non proprio consone a questo settore professionale.
L'Antitrust però si è sempre dimostrata favorevole alla liberalizzazione, prova ne è il dibattito del 2014, in cui l'Autority aveva comminato una multa di 831 mila euro proprio alla Federazione Nazionale dell'Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri per aver diffuso sul proprio sito web disposizioni deontologiche idonee a limitare l'utilizzo dello strumento pubblicitario da parte degli iscritti agli Albi professionali, mentre gli Ordini avevano avviato procedimenti disciplinari a carico di alcuni professionisti iscritti all'albo, che avevano pubblicato proposte commerciali su Groupon (provvedimento n. 27058). Oggi l'Antitrust, mantenendo la medesima linea di pensiero di allora, esprime parere contrario rispetto alla nuova norma di cui alla legge di bilancio 2019, sottolineando come essa sollevi criticità in ordine alla libera concorrenza voluta in primis dalle norme europee anche con riferimento al settore dei professionisti, compresi quelli sanitari; la libertà di fare pubblicità è infatti stata introdotta nel nostro ordinamento dal D.L. n. 223/2006 (c.d. "riforma Bersani"), il cui art. 2, lett. b) ha abrogato il divieto di pubblicità informativa dei professionisti intellettuali prima vigente.
Secondo l'Antitrust si tratta di una disposizione superflua e anacronistica; il quadro normativo vigente - afferma l'Autorità - è sufficiente a definire quali sono i limiti della pubblicità anche nel delicato settore sanitario; tali norme contemperano già l'interesse generale di tutelare la concorrenza con le incomprimibili esigenze di tutela della salute e del consumatore.
Non è un segreto dunque - come accennato innanzi - che l'Antitrust abbia accolto favorevolmente la spinta liberalizzatrice, sottolineando in più occasioni l'importanza della pubblicità nelle dinamiche concorrenziali, quale fondamentale strumento di competitiva, soprattutto per giovani professionisti, interessati ad accedere e ad affermarsi nell'offerta dei servizi professionali.
A parere dell'Autorità, pertanto, questa disposizione non fa altro che reintrodurre limitazioni all'utilizzo della pubblicità nel settore delle professioni sanitarie oramai superate, cancellate dai richiamati interventi di liberalizzazione.
Del resto, è certo che non è la pubblicità a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, quanto piuttosto le misure effettivamente adottate dai professionisti nell'esercizio della propria attività, che sono del resto già precisamente imposte dalla disciplina di settore e dalla dovuta diligenza professionale.
In effetti, se forse la motivazione che sta alla base della norma potrebbe essere rinvenuta, come detto innanzi, nel cercare di ridare lustro ad una professione come quella dei medici e porre dei paletti alla mercificazione di un ruolo, come quello sanitario, particolarmente delicato nel contesto sociale, tuttavia, per come formulata, allargando il divieto a tutte quelle "comunicazioni informative" che presentano "qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestivo" finisce per proibire ogni forma di pubblicità nelle professioni sanitarie, andando ben oltre i parametri di cui all'art. 4 del D.P.R. 137 del 7 agosto 2012 e ne scoraggia l'utilizzo da parte dei professionisti, che vengono, in tal modo, esposti a qualsiasi intervento disciplinare degli Ordini.
La norma, inoltre, con uno sgambetto all'AGCM, conferisce all'AGCOM la competenza di vigilare sul rispetto della disposizione; quindi, gli Ordini professionali dovranno riferire in merito ad eventuali violazioni, non all'AGCM, ma all'AGCOM, probabilmente per via delle posizioni più rigide che quest'ultima ha manifestato negli anni rispetto all'AGCM sull'impiego della pubblicità; si è cercato in definitiva di trovare un alleato dal lato applicativo della norma!
L'Antitrust, nel suo parere, ritiene che tale attribuzione potrebbe determinare una commistione confliggente di competenze tra l'AGCM e l'AGCOM, in violazione della competenza generale dell'Antitrust a vigilare sul rispetto delle disposizioni introdotte nel Codice del Consumo, in sede di recepimento della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali scorrette tra imprese e consumatori. Al riguardo si ricorda che il legislatore italiano, con l'art. 1, comma 6, lettera a), del D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 (attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori), ha introdotto il comma 1-bis all'art. 27, Codice del Consumo, secondo cui: «[a]nche nei settori regolati, ai sensi dell'articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell'Autorità di regolazione competente. Resta ferma la competenza delle Autorità di regolazione ad esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta (..)».
Il Codice del Consumo, dunque, ha ribadito che sussiste la competenza esclusiva dell'Antitrust a valutare le fattispecie di pratiche commerciali scorrette in tutti i settori, compresi quelli regolati; competenza recentemente confermata anche dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 13 settembre 2018 (cause riunite C-54/17 e C-55/17).
Annalisa Spedicato
Avvocato esperto in IP, ICT e Privacy