5 giugno 2019
Il contratto a distanza si rivolve se al consumatore che chiede la riparazione del bene difettoso, non viene chiarito il luogo in cui debba mettere a disposizione detto bene per la riparazione
di Annalisa Spedicato
La Corte Europea è recentemente intervenuta (causa C‑52/18, sentenza 23 maggio 2019) a chiarire come debba essere interpretato l’articolo 3 della direttiva n. 44 del 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, intitolato "Diritti del consumatore". In particolare, i giudici hanno precisato come debba essere determinato, in caso di difetto del bene acquistato a distanza, il luogo in cui il consumatore è tenuto a mettere a disposizione del venditore il bene stesso, affinché ne sia ripristinata la conformità in applicazione di detta disposizione, e cosa accade se il venditore non comunichi tale luogo al consumatore.
Prima di analizzare il caso, si riporta alla mente il contenuto dell’art. 3 della direttiva n. 44:
«1. Il venditore risponde al consumatore di qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene.
2. In caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma del paragrafo 3, o ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto relativo a tale bene, conformemente ai paragrafi 5 e 6.
3. In primo luogo il consumatore può chiedere al venditore di riparare il bene o di sostituirlo, senza spese in entrambi i casi, salvo che ciò sia impossibile o sproporzionato.
Un rimedio è da considerare sproporzionato se impone al venditore spese irragionevoli in confronto all’altro rimedio, tenendo conto:
del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità,
dell’entità del difetto di conformità, e
dell’eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore.
Le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un lasso di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha voluto il bene.
4. L’espressione “senza spese” nei paragrafi 2 e 3 si riferisce ai costi necessari per rendere conformi i beni, in particolar modo con riferimento alle spese di spedizione e per la mano d’opera e i materiali.
5. Il consumatore può chiedere una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto:
se il consumatore non ha diritto né alla riparazione né alla sostituzione o
se il venditore non ha esperito il rimedio entro un periodo ragionevole ovvero
se il venditore non ha esperito il rimedio senza notevoli inconvenienti per il consumatore.
6. Un difetto di conformità minore non conferisce al consumatore il diritto di chiedere la risoluzione del contratto».
7. L’articolo 8 della direttiva 1999/44, intitolato «Diritto nazionale e protezione minima», al paragrafo 2 così dispone:
«Gli Stati membri possono adottare o mantenere in vigore, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più rigorose, compatibili con il trattato, per garantire un livello più elevato di tutela del consumatore».
I fatti
La questione che ci occupa è stata portata davanti alla Corte Europea dai giudici tedeschi, chiamati a dirimere una controversia tra un venditore ed un acquirente che, avendo ricevuto un bene difettoso ne aveva richiesto il ripristino della conformità mettendolo a disposizione dell’azienda venditrice nel proprio domicilio. Il consumatore non aveva rispedito il prodotto, né si era offerto di farlo. L’azienda, da parte sua, aveva respinto i reclami del consumatore riferiti al difetto di conformità del prodotto, ritenendoli infondati e non aveva comunicato al consumatore che era necessario che il prodotto fosse trasportato sino alla sua sede d’attività, né si era offerta di anticipare le spese di trasporto. Rispetto al luogo di riconsegna del prodotto nel caso di difetto, il contratto nulla disponeva. Il consumatore aveva chiesto allora la risoluzione del contratto ed il rimborso del prezzo di acquisto, in cambio della restituzione del prodotto. Non avendo ricevuto soddisfazione alla sua richiesta, il consumatore ricorreva in giudizio, che il giudice tedesco sospendeva rivolgendosi alla CGUE perché chiarisse come debba essere determinato, alla luce dell’art. 3 della direttiva del 1999 n. 44, il luogo del ripristino della conformità del bene controverso.
Così, incaricati di sciogliere la diatriba, i giudici europei, innanzitutto, hanno precisato che tale luogo deve essere idoneo ad assicurare un ripristino della conformità:
- senza spese;
- entro un lasso di tempo ragionevole e
- senza notevoli inconvenienti per il consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore lo ha voluto.
Tre criteri che il giudice nazionale deve tenere presenti nel decidere modificando se necessario anche la giurisprudenza consolidata, qualora essa si basi su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli obiettivi delle norme europee.
La ratio sottesa alla direttiva è infatti quella di garantire al consumatore una tutela effettiva che si può ottenere solo con riparazioni o sostituzioni senza spese, tempestive e senza troppe difficoltà a carico del consumatore. Di conseguenza, il luogo in cui un bene non conforme deve essere messo a disposizione del venditore per essere riparato o sostituito deve essere capace di assicurare che il ripristino della conformità nei suddetti termini. Ragion per cui, scrivono i giudici europei, deve escludersi qualsivoglia pretesa economica da parte del venditore che esegue tale obbligo, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga mediante riparazione o sostituzione del bene non conforme. Questo perché il consumatore deve essere protetto dall’operare una scelta di rinuncia a far valere i suoi diritti perché costretto a gravarsi di oneri finanziari, né il diritto del consumatore ad ottenere la riparazione o la sostituzione del bene difettoso può essere condizionato dal luogo in cui lo stesso è tenuto a mettere a disposizione del venditore un bene acquistato a distanza affinché ne sia ripristinata la conformità.
È vero che l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 1999/44 precisa nei commi primo e secondo che il venditore può rifiutare la riparazione del bene o la sua sostituzione senza spese, qualora ciò risulti impossibile o sproporzionato in quanto uno di tali rimedi impone al venditore costi sproporzionati rispetto all’altro. Tuttavia, i criteri che consentono di valutare il carattere irragionevole dei suddetti costi, elencati all’articolo 3, paragrafo 3, secondo comma, della direttiva in parola, si riferiscono al valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità, all’entità del difetto di conformità e all’eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore, e si applicano indipendentemente dal luogo in cui il consumatore è tenuto a mettere a disposizione del venditore un bene acquistato a distanza affinché ne sia ripristinata la conformità.
Per quanto riguarda, l’obbligo di ripristinare la conformità del bene «entro un lasso di tempo ragionevole», i giudici rilevano che la ragionevolezza del tempo in cui va eseguito il ripristino della conformità del bene può variare a seconda del luogo in cui il consumatore è tenuto a mettere il bene a disposizione del venditore a tal fine. Infatti, in determinate circostanze il venditore, in particolare se il bene si trova in un paese diverso da quello in cui è situata la sede della sua attività, potrebbe avere bisogno di un notevole lasso di tempo per organizzare l’ispezione in tale luogo del bene di cui trattasi, ai fini della sua riparazione o della sua sostituzione. In un caso del genere, pertanto, mettere a disposizione del venditore il bene nella sede di attività di quest’ultimo potrebbe assicurare una più celere riparazione. Se, diversamente, il venditore dispone già di un sistema di assistenza post-vendita o di una rete di trasporto fruibile nel luogo in cui si trova il bene, il ripristino della conformità di quest’ultimo può risultare più rapido se il venditore esamina tale bene nel suddetto luogo o se organizza egli stesso il trasporto di tale bene verso la sede della propria attività.
Ne consegue, da un lato, che il luogo in cui il bene deve essere messo a disposizione del venditore affinché ne sia ripristinata la conformità, deve essere scelto in base al caso concreto, considerando la natura del bene e lo scopo per il quale tale consumatore lo ha voluto, posto che tale messa a disposizione richiede solitamente un certo investimento, da parte del consumatore, in termini di tempo e di sforzi dovuti all’imballaggio e alla consegna del bene, ma tale sforzo non deve rappresentare un inconveniente notevole tale da dissuadere un consumatore medio dal far valere i propri diritti.
Quindi, per alcuni prodotti, a causa del loro peso, della fragilità o della loro funzione, la spedizione verso la sede di attività del venditore potrebbe rappresentare, per il consumatore, notevoli inconvenienti in contrasto con i requisiti enunciati all’articolo 3, paragrafo 3, terzo comma, della direttiva 1999/44. In altri casi, invece, potrebbe essere questa la soluzione migliore.
Alla luce delle suesposte considerazioni, i giudici concludono le loro argomentazioni stabilendo che il diritto del consumatore al ripristino "senza spese" della conformità di un bene acquistato a distanza non include l’obbligo del venditore di anticipare le spese di trasporto di detto bene verso la sede di attività del venditore, ai fini di tale ripristino della conformità, a meno che il fatto che il consumatore debba anticipare dette spese costituisca un onere tale da dissuaderlo dal far valere i propri diritti, circostanza la cui verifica spetta al giudice nazionale.
Nel caso in cui il consumatore abbia informato il venditore in merito alla non conformità del bene acquistato a distanza, il cui trasporto verso la sede di attività del venditore rischiava di presentare per lui notevoli inconvenienti, e che abbia messo tale bene a disposizione del venditore presso il proprio domicilio ai fini del ripristino della sua conformità, ha diritto alla risoluzione del contratto quando non gli viene proposto un rimedio entro un termine ragionevole, nel caso in cui il venditore non abbia adottato alcuna misura adeguata per ripristinare la conformità di detto bene, compresa quella consistente nell’informare il consumatore del luogo in cui il bene medesimo deve essere messo a sua disposizione affinché ne sia ripristinata la conformità. Pertanto, in tali circostanze, il giudice deve garantire al consumatore la risoluzione del contratto.
Annalisa Spedicato
Avvocato esperto in IP, ICT e Privacy