26 luglio 2024
La nuova veste dell’influencer: adesso è anche agente di commercio?
di Valentina Gazzarri
Quello che stiamo trascorrendo è un periodo in cui, volente o nolente, si è visto registrare un cambiamento nella prospettiva di osservazione del popolo degli influencer. Certo, le vicende che hanno coinvolto Chiara Ferragni non hanno giovato alla categoria (V. caso Balocco).
Si sa, il popolo, soprattutto quello degli internauti, detiene un potere di condanna che, non solo risulta essere immediato, ma altresì molto vasto, per cui non contano confini territoriali o status sociale.
Nella migliore delle ipotesi, per decretare la fine della carriera di un influencer basta un click: “unfollow”; in altre, questa viene affondata a colpi di commenti negativi, più o meno feroci.
Insomma, si può passare dalle stelle alle stalle in un istante.
Ad oggi, si sente soffiare tra il popolo del web un certo “wind of change” (cit.), portatore di una insofferenza generale nei confronti di chi, impossibile negarlo, in molti casi si è improvvisato testimonial ed ha tratto un consistente beneficio, troppo spesso ostentato, da un’attività fondata su sforzi non altrettanto consistenti.
In questo contesto, analizziamo la pronuncia del Tribunale di Roma n. 2615/24 del 4 marzo 2024, che fa chiarezza in merito al rapporto di lavoro intercorso tra una attività di vendita online di integratori alimentari e tre influencer, ingaggiati dalla società per promuovere i propri prodotti. Una decisione che ha destato particolare attenzione, soprattutto nei confronti di chi attendeva spasmodicamente che una scure si abbattesse sul popolo degli influencer.
Tuttavia, sebbene sia innegabile che questa decisione abbia avuto un notevole risalto mediatico, essa è stata erroneamente interpretata da molti, non solo come l’ennesimo tentativo di incasellare l’immagine dell’influencer in una precisa categoria, ma anche di associare ad essa nuovi obblighi, impegni, incombenze.
In realtà, alcune precisazioni sono d’obbligo e si anticipa sin d’ora che, a seguito di detta pronuncia, se c’è qualcuno che è stato chiamato ad adempiere a nuove obbligazioni e, più precisamente, al versamento di contributi previdenziali e al pagamento di sanzioni civili, è stata solo la società inserzionista convenuta in giudizio.
Quest’ultima, in particolare, è un’azienda che commercializza all’ingrosso integratori alimentari anche attraverso una parafarmacia in provincia di Brescia, ma soprattutto online, avvalendosi di atleti professionisti, personal trainer, body builder e consulenti di analisi di mercato.
I rapporti con detti soggetti sono stati regolamentati, ove presenti, con contratti classificati a vario titolo e, si noti bene, anche con il nomen iuris di contratto di agenzia.
Ed è all’agente di commercio che il giudice ha ricondotto la figura dell’influencer, riportando più volte il dettato normativo che disciplina questa fattispecie giuridica: l’articolo 1742 del Codice Civile. In base a questa disposizione: “Col contratto di agenzia una parte assume stabilmentel’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata.”
Il Tribunale capitolino ha escluso l’inquadramento come agente di commercio per uno dei soggetti coinvolti e, più precisamente per un atleta professionista che si era impegnato contrattualmente e a fronte di un corrispettivo prestabilito, a partecipare a gare professionali, manifestazioni ed esibizioni a cui sarebbe stata presente la società, ad indossare indumenti personalizzati forniti dalla società e a pubblicare online video ed articoli informativi sul mondo fitness con una certa cadenza periodica.
Tale soggetto è stato classificato come mero testimonial dall’autorità giudicante, perché il contratto che lo legava alla società riportava detta denominazione. Peraltro, si noti bene, da ciò non deve derivare l’assioma per cui il testimonial sia una professione distinta da quella dell’influencer. Invero, l’influencer può essere anche un testimonial perché, come quest’ultimo, esprime la sua testimonianza in relazione ad un determinato prodotto/servizio nel suo ruolo di celebrità, opinionista o simili.
Nel caso concreto, l’atleta non è stato ritenuto qualificabile come agente di commercio perché, oltre al percepimento di un compenso stabilito slegato dalle vendite, non sono stati rinvenuti gli elementi tipici del rapporto di agenzia che, al contrario, sono stati ritenuti sussistenti con riferimento agli altri influencer.
In particolare, il Tribunale di Roma ha rilevato i seguenti aspetti:
- La promozione online dei prodotti della società inserzionista tramite codici sconto personalizzati. Proprio detto codice sconto è stato considerato il veicolo che crea il nesso tra l’influencer ed il preponente. Il Tribunale ha asserito che “il marketing influencer è un esperto di settore che, con i propri post, permette di offrire maggiore visibilità a prodotti e servizi da lui promossi, avvalendosi di canali web […]; proprio per il ruolo determinante che svolge all’interno di processi comunicativi, viene spesso incaricato dalle imprese […] di pubblicizzare i loro prodotti, andando così a svolgere un’attività promozionale delle vendite, che viene retribuito tramite il pagamento di un compenso”.
- Il versamento di una percentuale per ogni ordine concluso dai consumatori con il codice sconto è interpretato dal giudice come provvigione tipica del rapporto di agenzia.
- La stabilità dell’incarico conferito dalla società si rinviene nell’emissione di fatture regolari nel tempo e dalla durata pluriennale e continuativa delle collaborazioni;
- La zona assegnata all’agente è individuata nella “comunità dei followers dell’influencer, che acquistano i prodotti della società mediante il codice sconto personalizzato dell’influencer”.[1]
Il Tribunale precisa che “ […] risulta del tutto irrilevante il modo attraverso il quale egli [l’influencer ndr] induca i suoi followers all’acquisto, non essendo necessario che si rivolga individualmente a ciascuno di loro presentando le caratteristiche del prodotto, il prezzo, sollecitandone l’acquisto, atteso che nel mondo web la promozione di prodotti viene assicurata attraverso la pubblicazione sui vari social da parte dell’influencer di contenuti (post o stories) destinati alla platea dei propri followers”. Nonostante si parli apertamente di promozione di prodotti, come nel passaggio appena riportato, il giudice ritiene che la causa dei contratti analizzati non sia di mera “propaganda”, ma “quella di vendere i prodotti direttamente ai followers” attraverso il codice promozionale. In altri termini, l’influencer promuove la conclusione di contratti di vendita come un agente qualsiasi.
Tuttavia, non possiamo non soffermarci sugli interventi, susseguitisi nel tempo, provenienti da varie istituzioni nazionali e comunitarie, con cui queste ultime hanno cercato di definire ed inquadrare dette nuove figure di “persuader digitali”.
Tre la altre, riportiamo quanto espresso a riguardo dall’Unione Europea tramite l’Influencer Legal Hub, secondo cui gli influencer sono “content creators who often advertise or sell products on a regular basis – which means that in the eyes of European law are categorized as traders” (https://commission.europa.eu/live-work-travel-eu/consumer-rights-and-complaints/influencer-legal-hub_en).
Pertanto, per l’Unione Europea, gli influencer sono operatori commerciali e pubblicitari e, in quanto tali, subordinati al rispetto delle norme in materia di comunicazione commerciale, inclusi il nostro Codice del Consumo ed il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria.
E cosa è la pubblicità se non una comunicazione volta a sollecitare, orientare o, comunque, influenzare il comportamento economico dei consumatori ai quali si rivolge, in relazione all’acquisto di determinati prodotti e/o servizi?
È di immediata percezione che l’attività di promozione “pura”, come descritta sopra, è tipica dell’operato degli influencer, ingaggiati dalle società inserzioniste proprio per sfruttare la propria brand identity e gli effetti positivi che quest’ultima produce a cascata anche sui prodotti/servizi sponsorizzati tramite il loro endorsement.
Nonostante si faccia fatica a far coincidere la figura dell’influencer con quella di un agente di commercio, per di più “esperto di settore”, occorre tener presente che la sentenza del Tribunale di Roma non è definitiva, ma suscettibile di impugnazione. Inoltre, è lo stesso Tribunale a sottolineare la necessità di verificare, caso per caso, se l’influencer che svolge attività di promozione delle vendite dietro corrispettivo, possa essere considerato quale agente di commercio.
Pertanto, si suggerisce di prestare particolare attenzione al contenuto e alla struttura dei contratti con cui le società inserzioniste decideranno di regolamentare i rapporti con gli influencer, perché da essi potranno discendere particolari e non trascurabili obblighi per entrambe le parti.
[1] Occorre segnalare che, per corroborare detto assunto, il giudice ha citato una pronuncia della Suprema Corte secondo cui l’assenza della zona determinata non è determinante per escludere il contratto di agenzia (v. Cassazione n. 18303/2007). Tuttavia, si potrebbe obiettare che da ciò non deriva automaticamente che ove non via sia una zona determinata, il rapporto tra due soggetti sia comunque riconducibile al contratto di agenzia, dato che è la stessa normativa codicistica a menzionare il requisito oggettivo territoriale.
Avv. Valentina Gazzarri
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