6 giugno 2017
Concorrenza sleale tra avvocati: appropriazione di know how, sviamento di clientela e storno di dipendenti
La ratio della disciplina della concorrenza sleale, quale strumento di presidio del libero mercato, nella prospettiva costituzionalmente orientata della tutela della libertà d’iniziativa economica in quanto tutela anche dell’interesse della collettività, e, quindi, del benessere dell’ utente/consumatore, pare consentire di valorizzare l’elemento che accomuna i due ambiti dell’attività d’impresa e dell’esercizio della libera professione,
ovvero il fatto che, tanto l’impresa, quanto lo studio professionale, sono realtà economiche ove si svolgono attività preordinate all’acquisizione ed alla conservazione di una stabile clientela, dunque di una “quota di mercato”; acquisizione e conservazione su cui certamente può incidere un atto di concorrenza sleale, senza che la dimensione dei mezzi preordinati al fine economico perseguito abbia alcuna rilevanza.
Non è detto che l’avvocato che collabori con altri professionisti in uno studio professionale associato possa rivendicare come propri i clienti che egli rappresenta in forza della procura ad litem in ipotesi ricevuta, stante la necessità di indagare la complessità dei rapporti tra le parti, ben potendo essere che un cliente si rivolga a realtà strutturate e complesse quali gli Studi Associati con più dipartimenti (ciascuno specializzato in una determinata branca del diritto), in forza non della presenza, in quello studio, di un determinato avvocato, bensì del know how vantato dallo stesso nel suo insieme.
Fonte: Giurisprudenza delle imprese